Nella suggestiva piazzetta di Le Castella, in provincia di Crotone, campeggia, sul tragitto verso il Castello aragonese, il busto bronzeo di Occhialì. Cosa c’entri un uomo dal turbante con quell’angolo di mondo che si affaccia sullo specchio di mare calmo e placido e che nelle notti d’estate si riempie come un mercato a mezzodì è una storia particolare dai più ignorata tranne che dai “cristiani” di quella riva.
Soltanto nella scorsa estate del 2006, la storia dimenticata di Occhialì è rimbalzata, agli onori della cronaca, tra le colonne del Corriere della sera e de La Padania: quest’ultima, col titolo forte «Per i calabresi il Rinnegato è un eroe», ha innescato una polemica dal vago sentore antimeridionalista, come ha sottolineato anche Gian Antonio Stella.
Ma ancora prima del busto bronzeo, con il quale pure la sua terra l’ha voluto ricordare nel 1989, Nino Gimigliano ne aveva raccontato la storia nel romanzo fanta-storico, Occhialì historiae (Postfazione di Pier Paolo Colosimo, pp. 188, £ 15.000), edito da Rubbettino nel 1988.
Rinnegare… per essere rinnegati
La figura del “rinnegato” ha da sempre affascinato schiere di scrittori e sceneggiatori. Persona dura, che smentisce il proprio passato e si rifugia in un presente che è anomalia in un percorso di crescita, ma più che di cammino interiore, si può parlare di un fenomeno che coinvolse migliaia di individui fra il ’500 e il ’600, e che oggi forse ha ragione di riproporsi, viste le numerose conversioni che vanno ad alterare un rapporto già logorato come quello tra Occidente/cristianesimo e Oriente/islam.
Il modello più celebre è proprio l’episodio dello schiavo nel Don Chisciotte di Cervantes e probabilmente non è un caso come si potrà leggere più avanti.
Occhialì ha una storia incredibile, da captivus a medico di corte, ad ammiraglio nella battaglia di Lepanto a emiro e bey di Algeri.
“Al secolo” Giovanni Dionigi Galeni, era stato assalito sin da piccolo da un fungo maligno che gli aveva infestato di larghe chiazze erimatose il cuoio capelluto e che aveva preferito poi nascondere sotto il turbante o altri caratteristici copricapo orientali, meritandosi l’appellativo di “Occhialì Fartax” datogli dai maomettani che sembra equivalesse a “tignoso rinnegato”.
Se è vero che egli rinnegò la propria fede e la propria patria, corre l’obbligo di dire anche che fu a sua volta rinnegato dall’unica donna che amò – Immacolata armoniosa e slanciata, occhi e trecce corvini, trovata ancora bambina e sperduta sulla spiaggia – e soprattutto dalla madre che con sdegno lo licenziò dalla propria vita con parole durissime: «Hai cambiato Iddio, puoi cambiare anche madre!».
L’incontro con Cervantes
A Miguel detto «lo Spagnolo», schiavo ma «parlatore forbito pur se a volte lezioso e monotono», innamorato de L’Orlando furioso e del Decameron, Occhialì affidò l’incarico di redigere la sua prima biografia – andata purtroppo perduta – che non fu particolarmente gradita dal protagonista, deplorandone il tono ironico e dissacratorio e prevedendo che Miguel mai sarebbe divenuto grande, a meno di un’insperata quanto immeritata fortuna e salvo che non si fosse dato al genere eroicocomico.
Anzi per citare il giudizio di Occhialì: «Avrebbe meritato anche il taglio della mano destra che quelle carte ha vergato».
In effetti divenne quello che oggi noi conosciamo come Miguel de Cervantes.
Zoraide
La rovina di Occhialì fu una donna: Zoraide, innamorata proprio del poeta/schiavo spagnolo. In quanto convertita al cristianesimo, era una «rumìa» ed era nota quanto il suo amore per lo Spagnolo monco.
Donna dall’incredibile bellezza e perfezione, incominciò ad infestare i sogni del pirata, soprattutto in virtù della sua posizione di debolezza: ella vi si recava per avere in cambio la libertà del suo uomo.
A Occhialì Venere mostrò il valore semantico della parola (cioè di venenum) – senza togliere l’inconsueta dose d’oppio e pozioni di aneto e coriandolo per rinvigorirsi – e fu così che il terrore dei mari ebbe un mancamento mortale che dal trono lo abbatté pesantemente al suolo.
Questo evento fu la fine per la stessa Zoraide, giudicata colpevole di infamia, le sottrassero i gioielli e la murarono viva in quella che poi da lei prese il nome di “Torre della Cristiana” dove fu lasciata morire.
La fine come ritorno
Pur se “rinnegato”, in morte si fece accompagnare dal fedele fra Cardone nella sua terra natale, per tornare Dionigi Galeni ed essere seppellito in vista del Mar Jonio.
Probabilmente non è riuscito – nonostante le sue credenziali – ad entrare nel paradiso musulmano, e la sua ombra smarrita e dolente ha errato a lungo nelle tenebre prima di presentarsi nell’oltretomba della sua fede antica.
Gimigliano conclude il romanzo con versi che riassumono tutta la filosofia che sottende, quella per intenderci della storia scritta dai vincitori… versante pericoloso che ci accingiamo però a lasciare in vista di una burrasca che prima o poi arriverà:
«Che ogni cosa ha poi il colore degli occhiali in cui si guarda. Passando dagli occhiali ad Occhialì il senso della storia è tutto qui».
Annalisa Pontieri
(direfarescrivere, anno III, n. 15, maggio 2007) |