Anno XX, n. 226
dicembre 2024
 
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La laicità nello stato democratico moderno di oggi:
una tematica molto delicata che anima il dibattito
Un ricco volume raccoglie interessanti interventi sulla questione:
si delinea un quadro secondo il quale, nel nostro paese, è limitata
di Mirko Altimari  
Il tema della laicità dello stato è un evergreen della politica italiana, o meglio probabilmente delle campagne elettorali: infatti molto più sbandierata, da un lato o dall’altro, e sempre meno analizzata e applicata, è tra i temi di dibattito forse più difficili e complessi, poiché va a toccare convinzioni e ideologie che tendono a essere impermeabili ad ogni discussione dialettica, perché da un lato si portano dietro “l’intangibilità” della fede dall’altra, a volte, la necessaria e indispensabile laicità dello stato sembra trasformarsi in laicismo o ancora in uno sterile anticlericalismo di maniera.
Il libro che oggi vi presentiamo intitolato Il principio di laicità nello Stato democratico (Rubbettino, pp. 360, € 15,49) a cura e con Introduzione di Mario Tedeschi, professore di Diritto canonico all’Università “Federico II” di Napoli, raccoglie i contributi di alcuni validi ed esperti giuristi italiani, ognuno dei quali si occupa di un particolare aspetto e di una peculiare declinazione del principio di laicità in un ordinamento moderno, in primis in quello italiano. È da sottolineare come questo volume sia stato editato dieci anni fa, nel 1996.
Ebbene nonostante la “vecchiaia”, e benché si occupi di Diritto che, come sappiamo, è tra le materie più “calde” e più freneticamente soggette a cambiamenti, talvolta anche febbrili (ovviamente ci riferiamo all’alluvionale massa di leggi e provvedimenti che fanno del nostro paese quello dei giuristi…) il testo curato da Tedeschi sembra essere “uscito” nelle librerie da pochi mesi.
Ora, se da un lato questo va sicuramente a merito del rigore delle analisi e dei saggi di chi ha contribuito alla formazione del volume, dall’altro vuol dire che, nel nostro paese, in dieci anni, le cose, su questo delicato argomento, si sono modificate poco o niente.
Anzi, a sentire le sempre maggiori ingerenze dei piani alti delle gerarchie ecclesiastiche (l’esito dei referendum del giugno dello scorso anno ne è un esempio lampante), le cose sono e stanno mutando… ma non necessariamente verso il meglio. Ben lo spiegava qualche settimana fa Curzio Maltese dalle pagine de Il Venerdì di Repubblica, in cui lui da laico non poteva far altro che confidare «nella laicità dei cattolici», visto invece il trionfo, nel nostro paese, dell’«ateoclericale, quello che non crede in Dio ma al cardinal Ruini», alla Giuliano Ferrara per intenderci…

Definizione di laicità: un concetto mutevole nel tempo
Ma innanzitutto, cosa dobbiamo intendere per laico? In poche righe ben lo delinea Guido Saraceni, che spiega come la laicità sia un valore che si plasma, in un certo senso, in base ai tempi e ai luoghi, e «che di volta in volta, modella al concreto possibile un’idea astratta di aconfessionalità dell’ordinamento sociopolitico-giuridico dello stato, anch’essa, del resto, soggetta alla varietà delle impostazioni culturali; più precisamente, alle esperienze storiche, nelle quali, come nelle democrazie di stampo occidentale, possa attuarsi un principio di laicità, quale, di volta in volta, determinato dalla dottrina e dalla giurisprudenza».
Altrettanto necessaria perché ci presenta le linee guida del lavoro, complesso, che con il volume il curatore ci mette a disposizione, è l’Introduzione dello stesso Mario Tedeschi, laddove spiega che, pur nelle differenziazioni che il termine laico e i suoi derivati si portano dietro, è possibile «un comune terreno d’intesa: la laicità, manifestazione ben diversa dalla secolarizzazione come dall’anticlericalismo, è un portato dell’illuminismo e della rivoluzione francese che in Italia ha avuto la sua più significativa espressione nello Stato liberale del secolo XIX».
Lo studioso continua affermando che egli non ritiene il nostro uno stato pienamente laico «per la mancanza di una norma costituzionale in tal senso, perché procede nei rapporti con le confessioni religiose attraverso continue negoziazioni bilaterali, perché tale non è la sua politica ecclesiastica e per le continue manifestazioni di strisciante confessionismo delle quali la nostra società offre costanti esempi. Né tutto ciò può essere ovviato da una sentenza della Corte Costituzionale che, se rettamente applicata, evidenzierebbe la sostanziale incostituzionalità di tutto quanto sottoscritto in materia ecclesiastica in quest’ultimo periodo, dal concordato alle intese».
Proprio da questa serie di sentenze, citate dallo stesso Tedeschi, parte invece Francesco Onida che nel suo saggio Il problema dei valori nello Stato afferma che «Per quanto certissimi che la costituzione repubblicana avesse dato vita a uno stato laico […] tuttavia pochi tra noi (e certamente non io) si aspettavano dalla Corte costituzionale l’affermazione esplicita di esso e la sua collocazione tra i principi supremi dell’ordinamento costituzionale italiano». Il giurista inoltre nel suo intervento mette in guardia su come appunto la laicità (come affermavano all’inizio dell’articolo) rischia di divenire «uno di quei principi-bandiera […] che è più facile svuotare di significato che combattere apertamente».
E questo anche a causa della sua traduzione in termini di ordinamento giuridico; la laicità infatti è un valore dal punto di vista del metodo ma per ciò che concerne più squisitamente il suo contenuto concreto sembra tradursi in una mera proposizione negativa: «lo stato non porrà come propri principi quelli religiosi o di altra ideologia sol perché tali».

La neutralità dello stato verso i problemi religiosi
Più prettamente filosofica e solo en passant giuridica è invece la puntuale analisi di Carlo Cardia, il quale tra l’altro insegna anche Filosofia del diritto. Ebbene, nel saggio intitolato Laicità, etica, spiritualità (frammenti di analisi), egli fa una carrellata storica di pensatori e studiosi che hanno analizzato il delicato problema della laicità: ovviamente l’illuminismo, coi suoi prodromi e, specularmente i suoi seguaci, ne è parte fondante.
Cardia scrive che pur essendoci una indubbia contiguità non bisogna confondere il piano della «neutralità in materia religiosa con la neutralità in materia morale»: quest’ultima deve rapportarsi al divenire sociale in perenne tensione, cercando di evitare due rischi possibili e opposti, vale a dire «quello di annullarsi identificandosi con un determinato sistema etico, e l’altro di naufragare in un relativo morale che cancella ogni significanza del concetto di bene». La neutralità dello stato in materia religiosa invece, per essere propriamente tale non può che essere assoluta, nel senso che «lo Stato e l’ordinamento non possono esprimere alcuna preferenzialità di principio per una fede religiosa, o per una Chiesa, rispetto a tutte le altre».

La Democrazia cristiana e la laicità dello stato
Più incentrato sulla realtà italiana, sempre da un punto di vista storico, è il contributo di Giovanni B. Varnier, il quale sottolinea il ruolo avuto dalla Dc (paradossalmente, ma nemmeno tanto se guardiamo alla storia) nell’affrancare, nel limite ovviamente delle sue possibilità e soprattutto volontà, dai dettami vaticani l’agenda politica italiana. Varnier infatti afferma di essere «d’accordo, anche se da un percorso culturale differente, con l’accusa rivolta alla Democrazia cristiana di aver consentito la scristianizzazione di questa società». Diverse ovviamente le vicende a cui lo studioso si riferisce, che qui non è possibile analizzare per ovvi motivi di spazio, che vanno dal ruolo dell’Azione cattolica negli anni del fascismo alla vicenda del divorzio.
Non si può non sottolineare come De Gasperi, «pur essendo cattolico osservante, non accetta il disegno di uno Stato cattolico e pone delle resistenze» tanto che, in quegli anni, «vennero dal Vaticano espressioni di insoddisfazione, di protesta per la scarsa aconfessionalità dello Stato italiano». L’altra vicenda alla quale non si può non accennare è, appunto, il divorzio il quale «nonostante i molti progetti proposti tra Ottocento e Novecento, non fu mai introdotto neppure dai governi anticlericali e ostili alla Chiesa, ma vide poi la conferma referendaria ed il voto di molti cattolici non solo tra le élites che vollero così affermare, pur disobbedendo alle direttive della gerarchia ecclesiastica, la libertà di coscienza e la distinzione del piano politico da quello religioso».
Distinzioni quest’ultime che nonostante siano state così ben comprese anche da moltissimi cattolici, sembrano non essere più molto chiare ai piani alti della nostra politica e della gerarchia ecclesiastica, come diverse vicende (dal referendum sulla fecondazione alla cosiddetta pillola abortiva o ancora alla possibilità di introdurre i cosiddetti Pacs) sembrano, ahinoi, confermare. E questo determina il fatto che l’Italia sia sempre in coda, al paragone con gli altri paese europei, in tema di diritti civili; ebbene quando si capirà che estendere i diritti non significa pregiudicare quelli già esistenti, allora anche il nostro ordinamento potrà darsi una salutare scossa.

Mirko Altimari

M. A. è esperto di Diritto. Si occupa, anche, di Letteratura, Politica e Storia. Collabora con varie testate culturali, tra cui www.scriptamanent.net e Rnotes.

(direfarescrivere, anno II, n. 5, giugno 2006)
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