Il mese di aprile è stato cruciale: terminato il countdown, cominciato almeno dall’inizio dell’anno, si è andati a votare, per scegliere la coalizione che guiderà il paese durante il prossimo quinquennio. Elezioni contrassegnate dall’applicazione della recente legge elettorale che, superando il criterio maggioritario, ha (re)introdotto quello proporzionale.
Tra le operazioni che hanno preceduto la campagna elettorale, vi è da annoverare il ricorso alle elezioni primarie, per la designazione del leader candidato premier per lo schieramento di centrosinistra, fortemente volute, per avere una base di legittimazione popolare, proprio dal leader riconosciuto della stessa, ossia Romano Prodi, ma forse anche per stabilire pesi e misure delle varie componenti. Un fenomeno, quello delle primarie, che nel centrosinistra si sta sempre più diffondendo anche a livello locale: pensiamo a quelle svoltesi in Calabria e in Puglia oppure alle più recenti di Milano per la scelta del candidato a sindaco.
Consultazioni che si sono svolte, non senza dubbi e polemiche, ma soprattutto in un contesto di scarsa esperienza storica.
Com’è noto le elezioni rappresentano uno dei momenti principali della vita democratica di un paese, in quanto consentono la partecipazione libera e garantita dei cittadini alle decisioni più importanti sulla gestione della “cosa pubblica”.
Con l’obiettivo di incrementare il livello di partecipazione, e magari, in prospettiva, anche il ricambio all’interno delle élites di partito e di realizzare una riforma strutturale del sistema partitico, interrompendo, ad esempio, il dominio oligarchico sulle candidature, è stato “introdotto”, appunto, l’uso delle elezioni primarie. Ma non dimentichiamoci però che spesso esse si sono rese necessarie per il fatto che i vari partiti non hanno trovato un accordo sulla figura da candidare nelle varie consultazioni locali.
Una sfida: rispondere alle esigenze dei cittadini
Allo scopo di «stimolare una riflessione più sistematica sulle elezioni primarie come opportunità per la riqualificazione della rappresentanza politica» – per usare le parole di Silvio Gambino, preside della Facoltà di Scienze politiche dell’Università degli studi della Calabria –, risulta utile rileggere un testo, pubblicato nel 1995, a cura proprio di Gambino ed intitolato Elezioni primarie e rappresentanza politica. Il dibattito politico in Italia e l’esperienza degli Stati Uniti (Rubbettino, pp. 210, € 10,33).
Il libro è strutturato sotto forma di raccolta di saggi, con i contributi degli studiosi Enrico Caterini, Giovanna Chiappetta, Guerino D’Ignazio, Alfonso Lorelli, Alessandro Mazzitelli, Ezio Marra, Giovanni Moschella, Saverio Regasto, Albino Saccomanno e Tullio Romita.
L’idea di fondo, che traspare sin dalle note introduttive, è che le sfide della modernità impongono una profonda revisione dei metodi di rappresentanza politica, in modo da indebolire le logiche di partito e privilegiare, invece, la formazione di una classe dirigente ben agganciata alla sua base elettorale e rispondente alle esigenze ed alle aspettative dei cittadini.
Come scrive Mazzitelli, docente di Diritto pubblico, è necessario «il ristabilimento di più stretti rapporti con l’elettorato e quindi un intervento nell’ambito della dinamica società-partiti». Infatti «un sistema politico democratico presuppone la possibilità di decidere in maniera politicamente responsabile».
Si diceva, dunque, del ruolo che le elezioni primarie possono svolgere come strumento di coinvolgimento diretto del corpo elettorale. Un paese che ha una tradizione ormai secolare in tema di “primarie” sono gli Stati Uniti d’America, dove, a detta di D’Ignazio – docente di Diritto regionale –,«le elezioni primarie dirette hanno rappresentato un elemento d’innovazione particolarmente rilevante nel quadro politico statunitense, in quanto non solo hanno trasformato gli strumenti di selezione della classe politica, ma hanno messo in moto processi di riforma dell’intero sistema dei partiti». In tal modo si trasferisce «dalla leadership del partito al corpo elettorale il momento decisionale delle candidature trasformando in senso più aperto e trasparente i modelli di partecipazione popolare al sistema politico».
Il sociologo Marra ci offre, invece, un’esauriente spiegazione delle modalità di voto, ponendosi la domanda: Primarie. Come si vota?. Le primarie si possono suddividere in una serie di categorie: aperte, semiaperte, semichiuse, chiuse, a seconda del grado di libertà degli elettori di dichiarare o meno la propria appartenenza partitica e di votare, di conseguenza, per un solo candidato oppure per tutti coloro che si presentano per ricoprire una carica monocratica di governo. Ogni modalità ha un risvolto strategico, ma bisogna anche studiare con metodi rigorosi «le relazioni tra la struttura sociale e le preferenze individuali da un lato e le scelte di voto dall’altro».
Emerge la considerazione che la teoria dei giochi, “presa in prestito” dalla matematica e applicata all’economia, sia uno strumento importante per cercare di «individuare la formula elettorale più appropriata in rapporto al contesto in cui si vuole operare e ai risultati che si vogliono raggiungere».
Obiettivo delle elezioni primarie, sia che venga adottato un conteggio basato sul majority o sul plurality, con soluzione unica oppure a doppio turno, è quello di puntare a scegliere il candidato migliore, ossia «quello con maggiori probabilità di vittoria in uno scontro elettorale con il candidato più forte dello schieramento avversario», oltre, naturalmente, a stimolare il coinvolgimento della società civile e la partecipazione di gruppi e partiti minori.
Il peso dei media
Un altro set di saggi riguarda, invece, il rapporto tra rappresentanza politica e mezzi di comunicazione, valutando anche le opportunità di rilevazione corretta dell’opinione pubblica.
È innegabile, infatti, che la comunicazione politica costituisce un nodo problematico della competizione elettorale. Le modalità d’uso strumentale dei media possono “spostare”, allontanando o attraendo verso l’un partito o l’altro, ampie quote di cittadini. Diventa dunque cruciale sapersi appropriare di tutte le potenzialità delle forme di comunicazione e di contatto con l’elettorato.
Inoltre, bisogna conoscere, e saper evitare, anche i possibili effetti perversi che
un uso distorto dei media può produrre. Un esempio immediato di vantaggio/svantaggio è costituito dalla pubblicazione dei sondaggi preelettorali.
Certo, questi risultati possono aiutare e recuperare consensi, ma possono facilmente generare polemiche aspre e controproducenti se non vi è unanimità di opinioni, se si dubita della fonte statistica e della metodologia da questa adottata nella raccolta e nella elaborazione dei dati. Romita, sociologo, non manca di rilevare, appunto, che «i sondaggi sono uno strumento molto delicato, ma anche molto utilizzato nelle campagne elettorali».
A questo punto non è possibile apporre una conclusione, dal momento che si tratta di un fenomeno, quello della rappresentanza politica, continuamente in fieri, nel senso che il dibattito è sempre aperto, in evoluzione, attraversato da istanze di rinnovamento e di flessibilità.
L’unica cosa che si può dire riguardo le modalità di svolgimento del confronto politico è che: questo, sì, ha il dovere di essere fair, ossia leale e al servizio dei cittadini.
Olimpia Scopelliti
O. S. è esperta di Economia e Politica. Collabora con varie riviste culturali.
(direfarescrivere, anno II, n. 4, maggio 2006)
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