Anche se siamo in Emilia e non in Romagna, un po’ di Fellini – ma anche l’Ermanno Olmi del bergamasco L’albero degli zoccoli – questa "novella" di Giordano Villani ce lo riporta alla memoria: vita contadina, grandi case con sterminate famiglie, miseria, eppure una gioia e una letizia che noi “contemporanei” abbiamo, con ogni probabilità, definitivamente perso, assieme all’ingenuità e alla purezza.
Si avverte, nel racconto, una sorta di arpeggio costituito da una filigrana musicale ed elegiaca, da ritmi lentamente umani, da sottofondi pudichi e sinceri.
Un mondo limpido, vitale, costituito da armonie mosse solo da funambolici movimenti infantili, seppure sullo sfondo aleggino la povertà e il fantasma sempre presente della fame. E le risonanze indefinibili, quasi estranee della “Storia ufficiale”, una dimensione incomprensibile, apparentemente distante dall’Arcadia immobile – laddove gli eventi storico-politici sono tumultuosamente dinamici – del mondo contadino.
Così, nel finale, nella perfetta, rispettosa commistione tra uomini e animali, pure questi ultimi, come la cavalla, percepiscono il dolore e l’assurdità della Storia: «Anche lei aveva fatto la guerra, vedendo con i propri occhi tutte quelle atrocità che vengono commesse, e questo non lo aveva mai accettato!».
Rino Tripodi
Correva l’anno… (viaggio tra storia e ricordi)
La mia famiglia, nei primi anni del Novecento, abitava in una casa colonica situata in aperta campagna, al centro di un grande cortile pieno di tanti animali e circondato da alberi secolari, che avevano visto stare all’ombra delle sue fronde più di una generazione.
Di fianco alla casa c’era la stalla, piena di vacche da latte, alcuni vitellini nati di recente, altri già in procinto di essere svezzati e una robusta coppia di buoi da usare nel duro lavoro quotidiano dei campi.
In un locale attiguo era tenuta con grande cura una cavalla, acquistata a poco prezzo ad una fiera, ma che nessuno era mai riuscito a domare completamente e spesso, quando veniva attaccata al calesse, si prendeva qualche libertà più del necessario. In uno spazio del cortile ben soleggiato c’era l’aia che svolgeva due servizi essenziali: principalmente serviva per l’essiccazione dei cereali, ma quando era libera... era la più bella pista da ballo che si potesse trovare a quei tempi.
Il concetto di famiglia, all’inizio del secolo scorso, era molto diverso da quello del giorno d’oggi, infatti la mia era composta da oltre venti persone: bisnonni, nonni, genitori, zii, cugini, ma soprattutto un grande esercito di bambini di tutte le età.
La miseria era tanta e spesso mostrava di sé l’immagine più spaventosa: lasciava intendere che da un momento all’altro potesse andare anche peggio. Però un piatto di minestra c’era sempre per tutti e ognuno aveva il proprio ruolo e cercava di svolgere il meglio possibile tutte le mansioni che gli venivano assegnate.
Le famiglie confinanti, oltre che per la miseria, erano simili anche per il numero di componenti, perciò, quando la voglia di divertirsi superava la stanchezza, bastava estendere l’invito a due o tre di queste... e la festa da ballo era fatta.
Fu in una di queste occasioni che mio nonno e mia nonna si incontrarono, per questo negli anni che seguirono ci furono tre bocche in più da sfamare e tre birichini in più nel “branco” di tutti i bambini.
Gli adulti erano occupati dall’alba al tramonto a svolgere il duro lavoro dei campi, perciò i bimbi restavano tutto il giorno in compagnia dei nonni che facevano il possibile per mantenere l’ordine, ma spesso la situazione sfuggiva loro di mano. La colpa era anche della loro malattia che a poco a poco li aveva resi ciechi, per questo quella marea di birichini spesso si sottraeva al loro controllo combinandone di tutti i colori.
Una volta i piccoli riuscirono ad attaccare la cavalla al calesse, cosa che spesso era difficile anche per gli adulti, visto il comportamento imprevedibile che aveva, ed a portarla fuori nel cortile.
Tutto pareva andare per il meglio, fino a quando alcune oche, starnazzando, la fecero imbizzarrire; poi la cavalla si lanciò in una corsa sfrenata attraverso i campi, portandosi dietro tutti gli occupanti del calesse, tra i quali mio padre. Alla prima buca un paio di bambini si trovarono con il fondo schiena sulla nuda terra, poi la cavalla, nella sua folle corsa, cambiò direzione, passando sotto ad alcuni filari di vite. Mio padre, che era il più piccolo, rimase indenne, mentre i più grandicelli vennero spazzati via dai fili, cadendo rovinosamente.
Quella corsa, che poteva trasformarsi in tragedia, finì nel podere confinante, dove alcuni uomini riuscirono a bloccare l’animale, trovando mio padre tutto impaurito, rannicchiato sul fondo del calesse.
Per fortuna nessuno si fece troppo male e, a parte qualche sculacciata per punire i responsabili, quell’avventura ebbe una conclusione positiva.
In seguito, i ragazzi più grandicelli furono impiegati in campagna per fare i lavori meno faticosi e mio padre, che era il più piccolo, ebbe un incarico altrettanto importante: fare da guida alla nonna cieca quando lei aveva bisogno di andare da qualche parte.
Un giorno, mentre andavano al mercato per vendere le uova, mio padre si arrestò di colpo ed il suo cuore cominciò a battere forte forte.
«Nonna... ho paura!».
«Dimmi, piccolo, cosa hai visto?».
«C’è una fila interminabile di soldati a cavallo con i fucili e le baionette!».
«Stai qui vicino a me, così ci fermiamo e li lasciamo passare. Stai tranquillo che non abbiamo nulla da temere, perché loro vanno per la loro strada e noi per la nostra!».
Mio padre si aggrappò alla sottana della nonna e rimasero tutti e due immobili finché quel battaglione di soldati sfilò loro innanzi e si dileguò in lontananza.
Correva l’anno 1918, la Prima guerra mondiale era da poco terminata ed i soldati stavano rientrando nelle loro caserme stanchi e malandati, con una grande tristezza nel cuore, perché molti dei loro compagni avevano perso la vita per liberare la patria dall’invasore.
Forse mio padre, nella sua innocenza di bambino, avvertiva dentro di sé anche un altro sentimento molto forte: la guerra, anche se è “giusta”, anche se è vittoriosa, lascia sempre tutti perdenti!
Persino la cavalla lo sapeva... quella cavalla che l’esercito aveva messo a riposo e che era stata acquistata per un modico prezzo dalla mia famiglia per lavorare i campi!
Anche lei aveva fatto la guerra, vedendo con i propri occhi tutte quelle atrocità che vengono commesse, e questo non lo aveva mai accettato!
Giordano Villani
Chi è
Cinquantotto anni portati benissimo, Giordano Villani è nato a Dugliolo di Budrio, piccolo paese della Bassa bolognese, in una casa situata in aperta campagna dove tuttora risiede con la famiglia. Attualmente pensionato e, per la serie “non è mai troppo tardi”, studente ai corsi serali di Elettrotecnica, a completamento di un’attività lavorativa svolta nel settore tecnico, sia come dipendente che in proprio.
La passione per il ciclismo amatoriale, con il passare degli anni, ha lasciato il posto ad un grande desiderio di contatto con la natura, lontano dalle strade trafficate, desiderio che trova appagamento nelle lunghe passeggiate in mountain bike.
Grande è il suo interesse per il dialetto – che spesso trova concretizzazione con componimenti, sia in prosa che in rima, secondo le regole della lirica bolognese, la cosiddetta zirudèla – e per la storia locale, per il momento ancora sotto forma di una serie di immagini e di appunti da riordinare.
I suoi desideri per il futuro? Vivere serenamente con la propria famiglia, con la società e in armonia con quella sterminata pianura della Bassa, della quale si sente parte integrante.
(direfarescrivere, anno II, n. 3, febbraio 2006)
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