Anno XX, n. 226
dicembre 2024
 
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«Non l’avevo più in mente, ma è bastato sentirla
al telefono, ed improvvisamente un vento forte…»
Un mancato amore adolescenziale si trasforma in un impensabile
rapporto erotico, vissuto tra mille dubbi e paure, con ironia finale
Un racconto di Davide Piazzi, analizzato da Rino Tripodi  
Raramente capita che i rapporti uomo-donna vissuti come amicizia si evolvano poi, col tempo, in passione amorosa. Ma tutto, nella vita, può accadere. Così quelle pallide luminescenze, quei palpiti di luce accennata, quei bozzoli fosforescenti di un passato che poteva apparire ormai travolto dalle sabbie del tempo, diventano brucianti abbagli, prodigi fulminei, furiose esplosioni, che travolgono la coppia (già mancata).
Ed è questa la situazione straordinaria che ci racconta Davide Piazzi, che, su una trama stilistica semplice e lineare, introduce varie tonalità. Da quella malinconica a quella ansiosa, da quella memorialistica a quella ironica.
Il tempo del racconto è molto breve, e si dilata solo in qualche rapido flashback, che ripercorre più le situazioni emotive del passato che fatti e avvenimenti precisi.
Gli sciocchi dubbi, le esitazioni di un “lui” impegnato in uno sterile, nevrotico dialogo “mistico” con se stesso, sono ben evidenziati dal corsivo. Non a caso, appunto, l’io narrante è quello maschile (simile, in questo, allo sveviano Emilio Brentani di Senilità, quando si trova ad interagire con la splendida, vitale, Angiolina).
Ma tali indecisioni, tali colpevoli irresolutezze, tali imperdonabili titubanze vengono travolte, si sciolgono – ed era pur venuta l’ora! – nel «finalmente» di lei. Ancora una volta la donna ha compiuto la scelta più bella. Più bella perché dettata dalla natura e dall’istinto e non dalla tortuosità mentale di chi non sa abbandonarsi a ciò che è davvero “buono e giusto”...

Rino Tripodi


Amica, amata, amore

Mio Dio, cosa mi sta succedendo? Sono qui su di un divano, e al mio fianco ho una cara amica finalmente ritrovata. Era da tanto tempo che non ci vedevamo, il destino ci aveva condotti su strade diverse, anche se oggi capisco che non si sono mai divise, ma hanno continuato semplicemente a viaggiare parallele, in attesa di trovare prima o poi, fortunatamente ed inevitabilmente, un nuovo punto di incontro.
Da qualche mese abbiamo ripreso a contattarci: prima un suo messaggio sul mio cellulare, una sorpresa bella e inaspettata. Uno squarcio di luce in una delle tante giornate buie. Poi le telefonate, la gioia di riscoprire il piacere di parlare tra noi, di scherzare, di stuzzicarci con battute e frecciate. Come ai vecchi tempi, come parecchi anni fa, prima che smettessimo di farlo senza sapere ancora oggi il perché.
Il suo modo di ridere, quell’esplosione di allegria e di voglia di vivere che è racchiusa dentro lei. Me la ricordavo proprio così, anche se non l’avevo più in mente. Mi è bastato sentirla al telefono, ed improvvisamente un vento forte ma non violento ha spazzato via la polvere sui miei ricordi, che, così, sono riaffiorati, tutti. Così ho ricordato il suono delle sue risa e quello della sua voce di ragazzina, il profumo della sua pelle, i primi turbamenti, le confidenze, le fughe in moto.
Non siamo mai stati assieme io e lei, non nel modo canonico con cui generalmente si immagina una storia d’amore o un’avventura. Non c’è nemmeno mai stato nulla di troppo intimo, se non qualche bacio, qualche timida carezza. Però di certo non eravamo solo amici, eravamo quasi fratelli; due ragazzini che ancora dovevano capire cosa volevano dalla vita, e cosa potevano offrirle. La grande sintonia che c’era tra noi era anche arrivata a confondermi: ero troppo ingenuo ed acerbo per capire i miei sentimenti, non sapevo con quale metro misurarli, e non riuscivo a capire bene cosa provassi. In un certo momento ho pensato che fosse amore, e forse lo era davvero, ma poteva essere anche solo un’infatuazione, la classica “cotta” adolescenziale, quella che ti fa battere il cuore e fare follie. Di certo per me non è mai stata un’amica qualunque, è sempre stata qualcosa di più, anche se fino ad oggi, forse, non sono ancora riuscito a capire bene cosa.
E stasera sono qui, con questa persona per me speciale seduta al mio fianco, sul suo divano, a casa sua. Sono venuto qui con l’intento di parlare con lei, di ricordare le cose passate, di colmare il vuoto della memoria degli anni in cui non ci siamo né visti né sentiti. Sono qui per ritrovare un’amica e per passare qualche ora in piacevole compagnia. Ma, allora, perché sono turbato? Perché improvvisamente le nostre parole, il modo di scherzare, le reciproche allusioni sul sesso, come tante altre volte avevamo scherzosamente fatto, questa sera mi creano imbarazzo?
La desidero? Dio mio, sì, è così! Ecco perché mi sento turbato… Io la desidero… E non c’entra niente il sesso: ho voglia di fare l’amore con lei, ho voglia di fondere il mio corpo con il suo, ho voglia di abbandonarmi con lei. E questo non mi dovrebbe forse turbare? Cosa penserebbe se glielo dicessi, se lo capisse… Che non sono più il ragazzo che conosceva? Quello che riusciva a farla sentire a proprio agio sempre e comunque? Direbbe che non è più solo la mia voce ad essere cambiata, ed essere diventata quella di un adulto, ma che sono cambiato io! Direbbe che sono diventato un uomo, che ragiona come un uomo, desidera come un uomo e agisce come tale. Un uomo come tanti altri, come tutti gli altri.
Ma io sono Davide, ti ricordi di me? Sono quello che ti asciugava le lacrime quando piangevi per un amore non corrisposto, sono quello che ti faceva far tardi alla sera facendoti ridere e divertire. Ti ricordi chi è Davide? Hai ben presente che, anche se è inevitabilmente cambiato, cresciuto, è sempre quel tuo amico di cui ti puoi fidare?
Ma, allora, perché provo questo?
Dio mio, fa’ che non succeda.
Togliti dalla testa questi pensieri, non rovinare tutto per una sciocchezza.
Fermami, ti prego, fermami!
So che posso essere superiore e più forte di questo desiderio, so che sono sempre stato in grado di dominarmi e di controllarmi, anche e soprattutto in queste cose. Fermami!
Almeno ferma la sua mano che mi cerca. La sua bocca che sento avvicinarsi alla mia. Non lasciare che accada, non far sì che due amici si perdano ancora, per colpa di un’ora d’amore.
La sento… Sento il suo corpo sotto il mio, sento il suo respiro farsi affannoso, le sue labbra umide sulle mie.
Dio mio, dammi la forza.
Sento il calore del suo ventre. Vedo l’espressione dolcissima del suo viso mentre sto entrando dentro di lei… La vedo chiudere gli occhi, lasciarsi andare dolcemente, reclinando il capo all’indietro, leggermente di lato, e non riesco a distogliere lo sguardo dal suo volto, dalle sue labbra, che si schiudono lentamente, lasciando uscire un dolcissimo, tenerissimo e struggente «finalmente…».

Dio mio, perdonami. Anche questa volta, come sempre, avevi ragione tu.

Davide Piazzi

Chi è
Tenace trentenne dell’hinterland bolognese, Davide Piazzi si divide tra il lavoro e la passione per la narrativa e le belle cose.

(direfarescrivere, anno II, n. 3, febbraio 2006)
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