Anno XXI, n. 230
aprile 2025
 
Un editore al mese
Il progetto culturale di Secondavista edizioni:
una ventata di novità che profuma di rivoluzione
Tra saggi e letteratura, una casa editrice in cerca di visioni altre.
Il fondatore, Massimiliano De Santis, risponde alle nostre domande
di Maria Rosaria Stefanelli  
Secondavista edizioni è «un laboratorio culturale libero, fatto di versioni contrastanti del mondo, in cui qualsiasi persona può presentare le sue idee». Sono queste le parole con cui la casa editrice esordisce e si presenta sul suo sito (www.secondavistaedizioni.it). Una casa editrice o, forse meglio, l’ultima tappa di un percorso culturale iniziato qualche anno fa e, per certi versi, ancora in divenire. Incontriamo Massimiliano De Santis, editore e ideatore, insieme a Cinzia Petraccone, di questo progetto: un giovane vulcanico, appassionato, una fucina di idee e di vividi ideali che emergono dalle sue parole, cariche di un entusiasmo contagioso. Una laurea in Dams, un solido background culturale, un forte gusto estetico e una spiccata sensibilità per tutto ciò che è arte – ha anche un diploma in flauto traverso al conservatorio –: un’ottima base che, unita a doti più pragmatiche quali spirito imprenditoriale e intelligenza pratica, lo hanno portato a fare di una passione il proprio mestiere. De Santis, che ha collaborato con squisita disponibilità alla realizzazione di quest’intervista, ci racconta in prima persona la sua esperienza e soprattutto questo suo primo, intenso, anno da editore.

L’intervista
La scelta del nome da dare a una propria “creatura” (che abbia o meno natura umana) può essere dettata da motivi diversi, ma in molti casi porta in sé un desiderio, una speranza, un augurio da donare al nuovo nato. È stato così anche per voi? Perché avete scelto “Secondavista”?
Ci sono due motivi principali: il primo è che da quando ho iniziato a organizzare i miei viaggi seguendo i consigli dei libri che amavo, ho cercato d’immedesimarmi nelle persone che incontravo, comparandole anche ai personaggi dei romanzi. Questi viaggi hanno contribuito a sviluppare un tipo di ragionamento autocritico, un’insistente empatia, uno sguardo sul mondo più comprensivo, appunto una seconda vista. Questa seconda visione della vita non solo è curiosità ma anche emendazione, autocoscienza, ripensamento, è un effetto generato da errori commessi e da nuove soluzioni. Questo punto di vista vuole essere quindi antideologico e si nutre delle visioni contrastanti dei partecipanti. È, pertanto, interrogativo.
Il secondo motivo risale al 2004, quando appena giunto a Milano, cosciente della mia preparazione culturale, mi proposi a diverse testate giornalistiche nazionali in qualità di giornalista e pubblicista, ma trovai poco spazio in piccole riviste, non riuscivo a trovare ambiti più consoni al mio profilo. Forse mi mancavano amicizie utili o la giusta raccomandazione? Nel frattempo dovevo vivere e quindi mi sono adeguato a un lavoro impiegatizio in un’azienda milanese. Qui conobbi Matteo Baratta, un eclettico e onnivoro economista milanese. Un giorno, dialogando insieme sulla mancanza di spazi per molti talenti della nostra generazione, ci è venuto in mente di aprire secondavista.info, per attirare persone come noi che avessero un progetto di riforma di questo paese, un’immaginazione particolare, una critica nuova, un alternativo e fresco punto di vista da cui poter attingere per arricchire la nostra società. La rivista secondavista.info era rivolta a persone che non facevano parte di nessuna casta e, quindi, erano e sono ancora oggi rappresentanti di una generazione esautorata dalla vita civile, culturale e produttiva dell’Italia.

Il nome della vostra casa editrice ha iniziato a circolare poco più di un anno fa, all’uscita di 24 fotogrammi. Storia aneddotica del cinema del giovane talento Francesco Clerici. Si tratta di un’opera originalissima: ventiquattro ritratti di ventiquattro personaggi del mondo del cinema raccontati attraverso un aneddoto, un racconto di poche pagine, uno spioncino su un’intera vita racchiusa in un singolo spezzone (o, trattandosi di vite “cinematografiche”, a buon diritto si può definire “fotogramma”). Questo libro ha costituito l’esordio per Clerici come autore, ma anche per lei come editore. Cosa l’ha spinta a investire proprio su questo progetto?
Francesco Clerici mi ha subito interessato perché proponeva una struttura del testo originale, delle storie basate su aneddoti e contrappuntate da note, in cui si sviluppavano altri racconti nel racconto. Anche la lettura del libro è interattiva, perché può essere letta in almeno tre modi diversi. Proprio come avviene nella memoria; ognuno ricorda quel che può e vuole ricordare, cos’è vero e cos’è falso? Nel libro si innesca questo meccanismo.
Il nome della nostra collana di letteratura è Pigpen (“recinto per maiali”, un sistema di crittografia settecentesco).
Il maiale è un animale onnivoro, e proprio come lui, la letteratura di Secondavista è vorace e si interessa a tutto.
Il sistema di crittografia, invece, parla del lato più enigmatico e misterioso della letteratura che vorremmo produrre. Già da adolescente ero attratto da un tipo di letteratura ermetica, dal concetto simbolico del labirinto, quindi mi interessava il percorso da fare nel trovare una ragione a qualcosa, la giustificazione a una scelta artistica o esistenziale.
Questi due significati si fondono in Pigpen.
24 fotogrammi è Pigpen, perché sono racconti sul mondo del cinema per alcuni lettori, sono storie inventate per altri, sono invenzioni letterarie, ironia e poesia per altri ancora.
Ho venduto questo libro personalmente e il feedback di alcuni lettori mi ha fatto capire come sia ambiguo e inaspettato un messaggio letterario letto da persone diverse.

Come definirebbe questa sua prima esperienza da editore?
Passionale, adrenalinica, stressante e inaspettatamente esplosiva. Quando la mia mente ha cominciato a vivere la realtà della casa editrice (intesa come rapporto con autori, contratti, fornitori, letture, collaboratori) e a trasformare i progetti in fatti, ho avuto come un’esplosione di idee, di correlazioni prima sconosciute tra diversi mondi dell’editoria (tipografia, illustrazione, filosofia, comunicazione), di stati di eccitazione e razionalità estremi. Direi che si possono avere grandi artisti come collaboratori, che ti danno grandi responsabilità ma anche ricchezza, riflessioni, prove continue, sconfitte e vittorie, lezioni imparate necessariamente con velocità. Direi che si può sconfiggere il tempo con un amore del genere. Una settimana potrebbe sembrare un mese.

La seconda pubblicazione firmata Secondavista edizioni segna un deciso passaggio dalla letteratura alla saggistica: Una possibilità per tutti. Proposta per un nuovo welfare di Francesco Giubileo è il contributo di un giovane sociologo del lavoro, che auspica un risveglio politico e sociale finalizzato alla riforma del welfare state italiano e propone soluzioni concrete per realizzare un cambiamento, soprattutto a favore dei giovani che oggi hanno così tante difficoltà a trovare lavoro. Se le chiedessi di selezionare una di queste proposte e di condividerla con noi, quale sceglierebbe?
Sceglierei il “reddito minimo universale”, cioè l’introduzione di un sussidio in denaro per le fasce economicamente più deboli. Esso andrebbe versato a ciascuno a scadenze periodiche brevi.
Credo che sarebbe una conquista di civiltà, sicuramente costosa da applicare in Italia, ma decisamente utile per la giustizia sociale che in questo paese è latitante ormai da troppi anni.

Che accoglienza e che risonanza ha avuto quest’opera? Arrivare alla gente è sicuramente un ottimo traguardo, ma l’importanza dei temi trattati potrebbe fare di questo libro uno strumento efficace per sensibilizzare anche la classe politica. Era tra i vostri obiettivi? Come vi siete mossi e cosa avete ottenuto?
Arrivare alla classe politica era il nostro primo obiettivo. Il risultato è che è arrivato nelle mani di molti “tecnici” (professori di Economia, Sociologia, Diritto, ecc.) e molti politici. La soddisfazione maggiore è che è stato letto da una collaboratrice diretta del ministro del Lavoro, Elsa Fornero, che ha trovato interessante le proposte descritte con una particolare attenzione alla riforma dei Centri per l’impiego. Alla promozione del libro sono seguiti dibattiti in sedi politiche, dove sono nate discussioni molto dure, perché tra la gente è diffuso il forte conflitto generazionale che è anche alla base della ricerca di questo libro.

L’ultimo evento a cui abbiamo aderito è stato “Creare lavoro”, che si è tenuto il 6 marzo all’Urban Center presso il comune di Milano. Hanno partecipato il nostro autore, la segretaria confederale della Cgil Vera Lamonica, l’assessore al Lavoro del Comune di Milano Cristina Tajani, i professori Carlo Dell’Aringa e Alessandro Rosina, e Filippo Barberis, esponente del Pd.

24 fotogrammi e Una possibilità per tutti: due opere diversissime, almeno a prima vista; eppure, a ben vedere, non è difficile scorgervi delle affinità. Qual è il filo conduttore che le lega, tra di loro e al vostro progetto editoriale?
Il fatto di poter scorgere delle affinità o meno è decisamente qualcosa di molto personale.
La nascita delle due collane Pigpen per la letteratura e Nicht per la saggistica indica due diversi fini e due diverse forme di comunicazione: la prima, immaginifica e letteraria; la seconda, invece, decisamente fattuale, analitica e propositiva.
Ciò che lega queste due collane è sempre una seconda visione dei fatti, sia che essi siano raccontati e falsificati, sia che essi siano fatti realmente accaduti da analizzare e criticare.

Si parla poco del rapporto tra autore ed editore, ma per confezionare un buon prodotto editoriale è certamente necessaria una perfetta sinergia tra le due parti, un’intesa che consenta di pervenire a un risultato che sia soddisfacente per entrambi. Com’è stata la sua esperienza con “i suoi” autori?
Ha ragione, soprattutto per una piccola casa editrice. Con Clerici c’è stata subito empatia. Entrambi abbiamo in comune passione e studi inerenti all’arte, al cinema e alla letteratura. Abbiamo avuto, e abbiamo ancora oggi, una visione del mondo affine e per alcuni aspetti diversa. Questa è ricchezza, ognuno dà gratuitamente all’altro stimoli e proposte. Ci siamo scambiati email alle 3:00 di notte, critiche aspre ma, allo stesso tempo, creative e fattuali, compromessi raggiunti con fatica e, infine, amicizia. Con Giubileo, invece, il rapporto è stato più di fiducia reciproca. I suoi studi e la sua imponente ricerca per creare questo libro gli infondono una grande autorevolezza, ma la sua simpatia, unita alla sua concretezza, lo rendono ai miei occhi più umano e sono, ancora oggi, alla base del nostro rapporto di lavoro e di amicizia. L’esperienza del libro insieme a lui è stata molto sincera e veloce: lui si è fidato del mio lavoro e io del suo. Mi piace imparare dalla sua incessante ricerca sui temi del welfare e quando abbiamo modo di incontrarci trascorro più tempo nell’ascoltarlo che nel parlare.

Investire in un progetto editoriale, in questo delicato momento storico, è certamente un atto di coraggio – se non una vera e propria sfida –, soprattutto se l’iniziativa parte da un giovane o da un gruppo di giovani. Quando poi ci si imbatte in una realtà pura, nuova e dinamica come la vostra, riaffiora un senso di fiducia e la speranza che è ancora possibile produrre qualcosa di buono con la sola forza del talento e della determinazione. Come ha mosso i suoi primi passi nel mondo dell’editoria e cosa si sente di consigliare a un ragazzo che sogna di aprire una casa editrice tutta sua?
Premetto che non sono un editore che fa editoria per passare il tempo senza pensare al pareggio di bilancio e al profitto. Non me lo posso permettere.
Prima di aprire Secondavista edizioni ho passato tre anni nei quali ho frequentato corsi sull’editoria indipendente, corsi di grafica, corsi come correttore bozze. Ho divorato quintali di libri sulla comunicazione, marketing libraio, type design e tipografia, per cercare di essere pronto su tutto.
Ciò a cui non ero pronto era l’incompetenza di stamperie che sbagliano una copertina, librai che vogliono essere anche scrittori e che ti vomitano le loro frustrazioni, distributori che non pagano e che dopo un anno non sanno nemmeno che libri fai, promotori che con un’email a settimana credono di fare promozione. Per non parlare dei grafici che in fase di impaginazione ti lasciano i refusi che avevi corretto. Paradossalmente in un mondo in cui si vende cultura c’è una strepitosa mancanza di attenzione e critica. C’è stato un distributore (medio alto) che mi ha chiesto se per caso aprendo una casa editrice cercavo donne da adescare, o volevo pubblicare una mia opera, o pensavo di pubblicare gli amici di scuola. Non voglio attaccare tutto il mondo editoriale – per fortuna e con tenacia, ho trovato anche persone serie –, ma la vanità e l’egocentrismo sono gli elementi contro cui si deve lottare per non pubblicare scritti illeggibili e non collaborare con persone ingovernabili.
Insomma in Italia, per quel che ho passato, credo che sia davvero avventuroso fare l’editore. Se hai però un cuore forte e sai gestire l’ira, se sai essere strategico e coprire ruoli davvero inaspettati (dal magazziniere all’intellettuale), ma soprattutto se hai un grande amore per la cultura e la missione che un libro nuovo pone al mondo, allora puoi cimentarti nell’opera.

Curiosando sul sito di Secondavista edizioni, accanto alla sezione dedicata ai libri, se ne può notare un’altra dal titolo Se|dizione. Vuole spiegarci di cosa si tratta?
Se|dizione è la rivista culturale di Secondavista edizioni, un laboratorio, una vetrina in cui proporre idee che poi diventeranno libri. Vorrei che proprio le persone della mia generazione, che alcuni politici danno per perse, facciano vedere il talento, la ricerca e le competenze in perdita a causa di un sistema clientelare e familistico che velenosamente ci sta facendo regredire. È come dire “queste idee sono realizzabili, questa letteratura esiste anche in Italia, se volete promuovetela come faccio io, usatela per migliorare le cose”.

Maria Rosaria Stefanelli

(direfarescrivere, anno IX, n. 88, aprile 2013)
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