Pubblicato da Bruno Mondadori un manuale su metodo e forma
di Luciana Rossi
La tesi di laurea è di solito la prima opportunità per un “aspirante studioso” di affrontare la sfida di un autentico lavoro di ricerca. È un momento magico, impegnativo, ricco di suggerimenti e di intuizioni per l’avvenire, ma anche disorientante, per certi versi, perché richiede – ancor più che nel resto della carriera scolastica e universitaria – un approccio autonomo e maturo allo studio, intraprendenza e accuratezza. Qualità che, insieme alla validità dei contenuti presentati, saranno esse stesse oggetto di valutazione da parte della commissione esaminatrice in sede di discussione della tesi.
Il libro di Monica Centanni, Claudia Daniotti e Alessandra Pedersoli, Istruzioni per scrivere una tesi, un paper, un saggio (Bruno Mondadori, pp. 120, € 10,00), seppur dedicato ai laureandi in materie umanistiche, come avvertono le autrici nell’Introduzione, affronta più in generale, in realtà, la questione della preparazione di un saggio o di uno studio, grazie anche alla presenza di sintesi e di schemi esplicativi applicabili ad ampio raggio.
L’idea del libro nasce – presumiamo – dall’esperienza maturata “sul campo”, anche nell’ambito dell’Università Iuav (Istituto universitario di Architettura di Venezia) di Venezia, dove Monica Centanni è docente di Archeologia e Tradizione classica.
La struttura del testo, articolato in tre parti – Sul metodo, Sulla forma, Sulla conclusione – e la presenza di un Indice delle parole chiave ne rendono possibile una rapida e mirata consultazione “operativa”, in conformità alla sua vocazione di manuale.
Focus sul metodo
Prescindendo (volutamente) dagli elementi tipici delle diverse materie oggetto della tesi o del saggio che ci si appresta a produrre, che restano giustamente affidati al docente-relatore o all’autore stesso, il testo si concentra innanzitutto sulla necessità di fornire gli strumenti metodologici indispensabili per impostare correttamente un qualunque lavoro di ricerca. Un approccio valido, a nostro avviso, ma progressivamente trascurato oggi che il mondo produttivo e intellettuale mutano velocemente e richiedono una grande dinamicità e forse si tende a prediligere la multidisciplinarità a scapito dell’approfondimento.
Iniziare un lavoro con “il piede giusto”, come anche – in fondo – saper gestire qualunque progetto, richiede attenzione, infatti, non solo ai contenuti, ma anche ai tempi, alle risorse disponibili e, soprattutto, ai vincoli da tenere presenti nella realizzazione. Ma richiede anche di applicare ordine, costanza, cura, lungimiranza; saper documentare efficacemente il proprio lavoro (questo davvero un talento scomparso!); saper prevedere le “trappole” che sono in agguato. In tutto questo le istruzioni elargite dalle autrici si rivelano davvero preziose, invitando a un approccio distaccato che, accanto alla passione di tuffarsi nella ricerca, mantenga uno sguardo lucido e vigile sui rischi e sugli obiettivi.
I consigli forniti sono molto pratici e operativi: tra gli altri, l’importanza di ordinare già dalla fase iniziale in un archivio gli articoli, i brani o le citazioni di testi che possono risultare fondamentali; di preparare fin da subito delle schede di riferimento dei libri consultati (su carta o su file) con i dati che serviranno a compilare la Bibliografia, includendo però anche informazioni che in un primo momento possono sembrare superflue (come ad esempio la collocazione fisica del testo in biblioteca) ma che risulteranno invece utilissime nella fase finale, quando i tempi di consegna diventeranno pressanti; tenere separati, anche materialmente su supporti distinti, appunti e annotazioni di natura diversa, per comodità di riferimento successivo. O ancora: effettuare salvataggi del materiale informatico adoperato, dotarsi fin dall’inizio di immagini a colori di ottima qualità, se il lavoro le richiede, e documentarle.
Si sottolinea anche l’importanza di scrivere di getto e generosamente degli appunti, subito all’inizio del lavoro – una sorta di diario – che preservino la “freschezza” e la “spontaneità” dell’intento, l’interesse o la curiosità iniziali che pian piano tenderanno a oscurarsi, sopraffatte dal carico di lavoro e dalle tensioni e incertezze che sorgono lungo il cammino.
Questi possono sembrare elementi “impalpabili”; tuttavia applicare un metodo contempla anche – onde evitare sorprese – saper gestire le proprie risorse mentali (ed emotive) durante le varie fasi del lavoro: sapersi dare un ritmo che faciliti la concentrazione, riuscire a portare avanti il lavoro con costanza e tenacia – al pari di un allenamento sportivo –; saper sfruttare i momenti di scarsa concentrazione per compiti più semplici, come ad esempio ordinare le schede bibliografiche, compilare delle parti descrittive o tradurre dei testi, anziché rimanere a fissare un foglio bianco; saper cogliere e “cavalcare” l’ispirazione quando si presenta; farsi aiutare; essere pronti a ricevere spunti creativi dalle persone o dalle letture che si incontrano. E poi stampare, rileggere, rileggere e – soprattutto – riscrivere.
Qualche parola in più, a nostro avviso, andava forse spesa sull’argomento della stesura vera e propria che viene trattato quasi esclusivamente da un punto di vista “quantitativo”, con attenzione alle scadenze da rispettare e alla lunghezza del testo, trascurando l’aspetto della qualità del linguaggio. Cioè: non solo riuscire a scrivere, ma anche qualche cenno su “come” scrivere. Pur non entrando nel merito dei contenuti, che dipendono grandemente – com’è ovvio – dalla materia della tesi o del saggio, infatti, non va dimenticato che la stesura di un lavoro di ricerca richiede l’uso di un registro linguistico particolare, ispirato a criteri rigorosi, scientifici e di precisione nell’uso dei termini, ad esempio, ma anche a un certo livello di formalità, all’espressione “spersonalizzata” dei concetti, a una scelta lessicale piuttosto elevata, a un uso attento ed elaborato della sintassi e alla cura della struttura dialogico-argomentativa del discorso. Insomma a tutti quegli elementi che fanno del linguaggio usato nella saggistica, in qualche modo, una “lingua speciale”. Alcuni di questi elementi li abbiamo brevemente toccati in un precedente articolo apparso in questa stessa rubrica (I saggi parlano... questione di stile! ).
Si arriva poi all’ultima sfida, di fronte alla quale però il libro non ci lascia soli: dominare le emozioni e rendere al meglio nella fase di discussione della tesi, perfezionando un sistema di preparazione che lasci il minimo possibile all’improvvisazione e che preveda dei piccoli trucchi per “uscire dal pallone”, se capitasse di entrarvi!
Forma e [“è”?!] sostanza
La seconda parte del libro, Sulla forma, fornisce una guida per la fase di stesura vera e propria del lavoro, con particolare riferimento agli aspetti formali, alle citazioni e agli apparati paratestuali delle Note e della Bibliografia. Si parte dall’assunto che un lavoro che si presenta bene dal punto di vista grafico, estetico e di coerenza formale, testimoni già di un certo grado di maturità dell’autore e contribuisca non poco a rendere fruibili i contenuti dello studio, mentre difficilmente una tesi rappresentata in un insieme sciatto e confuso di caratteri, di stili grafici e di codifiche, seppur brillante, riuscirà a oltrepassare la cortina di “fastidio” che la scarsa qualità della forma sollevano, istintivamente, in chi legge. Un esempio di una sola pagina “prima della cura” e “dopo la cura”, messe a confronto brillantemente nel testo bastano a far comprendere immediatamente la validità di questo assunto.
La ricca e particolareggiata trattazione di questi elementi formali e l’abbondanza di esempi ben illustrati, rendono questo libro – limitatamente agli argomenti trattati –quasi un manuale di editing piuttosto rigoroso, con “regole” generali e condivisibili, una guida utilizzabile in molte occasioni, laddove non sia richiesta l’aderenza a norme particolari dal destinatario della pubblicazione (l’ateneo, la casa editrice, ecc.).
La Bibliografia, ad esempio, viene distinta in due sezioni: la Bibliografia fonti e quella critica, e vengono individuate delle codifiche suggerite per le diverse tipologie di testi: raccolte di saggi; tesi, opere inedite o documenti o materiali di proprietà privata; pagine web, articoli di riviste o quotidiani, documenti d’archivio, manoscritti, testi tradotti, ecc.
Ugualmente, per le Note, a proposito delle quali vengono anche presi in considerazione degli aspetti maggiormente “contenutistici”, volti a mettere a fuoco il ruolo d’insieme che le note dovrebbero giocare in un testo: cosa è consigliabile che vi trovi posto, cosa è meglio che sia invece incorporato nel testo, se alcuni elementi – ancora – eccessivamente digressivi andrebbero invece eliminati del tutto, anziché costituire una sorta di “binario parallelo” delle argomentazioni discusse nella tesi.
Infine, le citazioni: quali? Quante? Impaginate “a blocchetto” in paragrafi rientrati o tra virgolette alte doppie o «a sergente» [promosse per l’occasione da quelle «a caporale» care alle nostre Regole di editing “di Bottega”, una curiosità]. Citare il testo originale apportando la traduzione in nota o viceversa? Tante risposte, per tanti dubbi che, nei momenti cruciali, assalgono chi si cimenta nella scrittura.
Un po’ di ironia
Insieme all’invito – tutto “femminile”, ci permettiamo di annotare – a non perdere il filo che guida nella ricerca e che rende vivo il testo saggistico e a «curare come si deve il proprio studio, oggetto di ricerca e d’amore», a vivacizzare l’insieme non manca una certa dose di ironia, parlando di autostima, ad esempio, e delle sue ingovernabili fluttuazioni nelle diverse fasi del lavoro, con oscillazioni che coprono un arco compreso tra l’esaltazione incontrollata e la profonda depressione. Sono sintomi, spiegano con acutezza le autrici, della sindrome iniziale del «laureaturo» che si sviluppa fatalmente nella conclamata sindrome del «laureabondo», man mano che la data finale si avvicina. Sindromi talmente reali che l’ambiente circostante e perfino gli oggetti sembrano riconoscerle: il secondo, infatti, di questi sventurati personaggi disistima e ha in odio il genere umano, venendo ripagato con uguale moneta, ha orari che non combinano mai con quelli degli uffici e delle biblioteche, è sfortunato e ha anche un pessimo rapporto con le macchine e con gli strumenti elettronici, che glielo dimostrano rifiutandosi di collaborare e andando incontro a bizzarri quanto inattesi malfunzionamenti. «Per fortuna – ci “rassicurano” le autrici – passa alla svelta e, per fortuna, di norma passa prima del giorno della laurea. Ognuno, dopo, ritorna (irrimediabilmente: felicemente o infelicemente) com’era. Con in più, davanti al nome, il titolo di dott.»