Anno XX, n. 225
novembre 2024
 
Questioni di editoria
Problemi dell’editing
attuato su traduzioni
Il lavoro di squadra di traduttore
e revisore, tra intese e contrasti
di Renata Lo Iacono
L’editing è uno scrupoloso lavoro di cesellatura su un testo allo scopo di verificarne l’accuratezza ed eliminarne errori di contenuto e difetti stilistici. Consiste sostanzialmente in una revisione che, pur senza intaccare lo stile dell’autore, possa rendere uno scritto più scorrevole e di più facile comprensione per il lettore.
Per svolgere al meglio questa attività, è fondamentale che l’editor possieda un’ottima padronanza della propria lingua madre e una forte attitudine alla lettura, elemento che si rivela utile sia per acquisire dimestichezza con diversi stili di scrittura sia per conoscere le tendenze del mercato editoriale.
L’international editing, invece, è la revisione che si esegue su testi tradotti.
Chi lavora in questo campo deve necessariamente possedere le competenze sopra elencate, e si troverebbe senza dubbio avvantaggiato se conoscesse anche la lingua di partenza del testo. Su questo requisito, che non è comunque indispensabile, ci soffermeremo però più avanti.

I compiti dell’editor
Le fasi del lavoro di revisione si snodano attraverso una serie di riletture caratterizzate dalla caccia agli errori (di ortografia, grammatica, punteggiatura, ecc.) e dall’attenzione dedicata alla struttura delle frasi, alle scelte lessicali, all’uso dei tempi verbali e alla chiarezza espositiva in generale.
A seconda del grado di tecnicità del testo, può inoltre rendersi necessario un certo controllo anche a livello contenutistico (citazioni, date, nomi di luoghi o di personaggi storici, ecc.). Compito dell’editor è, infatti, anche quello di rendere il testo coerente e uniforme.
L’uniformità va perseguita in particolare in relazione alle prassi di solito adottate dalla singola casa editrice e descritte nelle cosiddette “norme redazionali”, sulle quali il revisore si basa per rendere omogeneo l’uso di elementi quali corsivo, maiuscolo, virgolette, ecc., nonché l’indicazione di titoli, note, citazioni e così via.

Accortezze aggiuntive per un testo tradotto
Nel caso della revisione di una traduzione, però, possono rendersi necessari ulteriori interventi rispetto a quelli effettuati su un testo che è già in partenza redatto in lingua italiana.
Premesso che di solito viene richiesto al traduttore di mantenere lo stile dell’autore – nonostante ci possano essere, prevedibilmente, delle differenze operative da traduttore a traduttore – e che il revisore sarà attento, a sua volta, a non sovrapporsi con il suo stile a quello del testo che gli viene presentato, bisogna tenere presente che il revisore ha la possibilità di rileggere con occhi più freschi un testo sul quale il traduttore ha lavorato talmente tanto da rimanerne particolarmente coinvolto e da perdere il distacco necessario per riuscire a riconoscere l’influenza esercitata su di lui dalla lingua sorgente.
È proprio a questo proposito che entra in gioco l’elemento precedentemente anticipato, relativo al fatto che il revisore conosca o meno la lingua di partenza.
Nel caso in cui non la conosca, evenienza tanto più probabile quanto più esotica sia la lingua in questione, egli deve affidarsi totalmente alla sua padronanza dell’italiano, base dalla quale partire per andare a caccia di errori, termini inappropriati, ripetizioni, costruzioni troppo complesse, ecc.; ferma restando la possibilità di rivolgersi al traduttore per chiedergli di effettuare una verifica dell’originale.
Nel caso, in cui, invece, il revisore conosca la lingua originale, magari perché anch’egli è o è stato un traduttore da quella lingua, e abbia la possibilità di lavorare con il testo originale a fronte, ne risulterà facilitata la ricerca di eventuali errori di interpretazione, nonché dei cosiddetti “calchi” sfuggiti al traduttore. Ci riferiamo, con questo termine, a quei particolari casi di traduzione letterale che producono frasi modellate sulla struttura della lingua di partenza, le quali finiscono per stonare in un testo in lingua italiana. Per quanto riguarda, invece, gli errori di interpretazione, i più tipici sono quelli dovuti alla traduzione dei famosi “falsi amici”, cioè termini stranieri molto simili (dal punto di vista fonetico o morfologico) a termini italiani, ma dal diverso significato, come “attualmente” per la parola inglese actually (che vuol dire “in realtà”) e “libreria” per library (che significa“biblioteca”), oppure “salire” per lo spagnolo salir (“uscire”) e “subire” per subir (“salire”).

Sulla visibilità del traduttore
A questo proposito non si può non citare Umberto Eco, secondo il quale buon traduttore è chi riesce a rimanere invisibile, mentre i libri in cui si avverte la presenza del traduttore sono quelli tradotti peggio, perché in essi si percepiscono forzature della lingua italiana o giri di parole complicati che non sempre passano inosservati, in quanto «il lettore avvertito [...] subodora subito un errore di traduzione, e addirittura dall’errore è capace di indovinare che cosa diceva il testo originale»[1]. Uno dei casi in cui ciò si verifica più frequentemente, per esempio, è quello delle traduzioni di frasi inglesi in cui viene impiegato il present perfectsimple o continuous.
Quella dell’invisibilità, però, è una questione piuttosto dibattuta all’interno della comunità dei traduttori. Molti, infatti, pur concordando sul fatto che un testo perfetto sia quello che non sembra più una traduzione, perché il traduttore è diventato, appunto, invisibile, adducono a motivazione della produzione di traduzioni poco accorte – in cui, quindi, sono presenti errori o imperfezioni che tradiscono l’intervento del traduttore – i tempi di consegna sempre più ristretti imposti loro dalle case editrici. Essi reclamano invece – su un altro piano − una giusta “visibilità” per il proprio lavoro, che consiste non tanto nella vacua pretesa del nome in copertina, quanto in un giusto riconoscimento dell’importanza di questo mestiere, che ritengono sia ad oggi sottovalutato.
Ma, a maggior ragione perché tali professionisti si trovano ad operare in condizioni difficili, bisogna considerare positivamente la possibilità di far rivedere il testo a un’altra figura editoriale qual è il revisore; seppure anche questa figura, ahinoi, sia sempre più spesso a sua volta precaria e scarsamente remunerata.

Il rapporto traduttore-revisore
Tuttavia, affinché il lavoro di revisione risulti proficuo, è auspicabile che si instauri un dialogo fra revisore e traduttore (così come sarebbe necessario che lo stesso dialogo si fosse già precedentemente instaurato fra traduttore e autore, nel caso, ovviamente, che quest’ultimo fosse in vita).
Per il traduttore, infatti, confrontarsi con gli interventi apportati al suo lavoro dovrebbe rivelarsi occasione di crescita; in quanto per il revisore è più facile riuscire a cogliere le note stonate di un testo che appare al primo ormai intoccabile.
Il traduttore ritiene, invece, e magari anche a ragione, di conoscere la lingua e la cultura di provenienza del testo meglio del revisore e si sente, inoltre, caricato della responsabilità di garantire l’adeguatezza del testo tradotto a quanto espresso dall’autore nell’originale.
Questo fattore, che può finire per vincolare troppo il suo lavoro, è invece meno rilevante in quello del revisore, il quale ha la possibilità di accostarsi in maniera più libera al testo.
Ma il revisore, d’altro canto, sente una maggiore responsabilità nei confronti della casa editrice (della quale spesso è una figura interna) relativamente al fatto di rendere il testo un buon prodotto editoriale.
L’ideale sarebbe riuscire a pervenire a una sintesi armonica delle varie posizioni, evitando di porsi in atteggiamenti di chiusura o di difesa, per cui il revisore dovrebbe mostrarsi rispettoso delle ore di ricerca e di riflessione che sottendono determinate scelte traduttive e tenere in considerazione le motivazioni addotte dal traduttore a sostegno delle proprie decisioni; il traduttore, per contro, dovrebbe riconoscere che il revisore è un collega esperto e persegue il suo stesso obiettivo, che è quello di portare a compimento un testo in maniera ottimale.
In realtà, di solito, sono le ragioni del revisore a prevalere. Quando la revisione è completata, infatti, è (o dovrebbe essere) prassi consolidata inviarla al traduttore per la definitiva accettazione; ma si verifica spesso che, in assenza del dialogo auspicato, finisca per andare in stampa la versione del revisore.
Il nome che figurerà in copertina (salvo casi particolari) sarà comunque quello del traduttore, e a quest’ultimo andranno le lodi o le critiche dei lettori, indipendentemente dal fatto che errori clamorosi o mirabili intuizioni siano addebitabili a lui o al revisore.

Renata Lo Iacono

[1] - Umberto Eco, Cappelli alti di forma, nel sito de «L’espresso», 28 settembre 2007, (espresso.repubblica.it/dettaglio/Cappelli-alti-di-foma/1796108).

(direfarescrivere, anno VI, n. 49, gennaio 2010)
 
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