Anno XX, n. 225
novembre 2024
 
Questioni di editoria
I resoconti odeporici:
una lingua in viaggio
Riflessioni sull’analisi lessicale
di un testo del Primo Ottocento
di Elena Torchia
La letteratura di viaggio ha una dimensione autonoma, individuata dalla posizione stessa del viaggiatore come mediatore tra la propria soggettività e la realtà esterna, tra l’obiettivo della propria narrazione e il destinatario dell’opera. Il ruolo che viene conferito a queste diverse componenti determina all’interno del genere odeporico una notevole flessibilità, che porta gli autori di testi appartenenti a tale genere a confrontarsi non con canoni e modelli unitari, ma con una serie di generi e sottogeneri specifici: così il resoconto di viaggio assume di volta in volta le forme della corrispondenza giornalistica, del diario intimistico, della relazione scientifica. Anche sul piano linguistico la Reiseliteratur non dispone di rigide convenzioni normative; anzi non è infrequente incontrare all’interno di uno stesso testo notevoli variazioni di tono e registro linguistico.
Il Secondo Settecento vede il proliferare dei viaggi europei, a cui prendono parte uomini di tutte le categorie; dalle testimonianze di molti viaggiatori italiani nasce dunque un contributo fondamentale al rinnovamento dello spirito, della cultura e della lingua italiana. Si tratta per lo più di individui mossi da uno spirito enciclopedico, che registrano notizie e informazioni di qualsiasi genere. Il Viaggio per diverse parti d’Italia, Svizzera, Francia, Inghilterra e Germania, edito dal botanico napoletano Michele Tenore nel 1828 (Stamperia francese, Napoli), è un’opera di divulgazione che contiene notizie tra le più disparate, dirette a un lettore colto e specialista. Il percorso che l’autore affronta gli offre lo spunto per poter constatare di persona fatti noti e divulgare conoscenze; non costituisce perciò di per sé l’oggetto della narrazione, ma un mezzo per attraversare esperienze e assorbire informazioni.

Una lingua «itineraria», tra scritto e parlato, aperta al divenire
La situazione dell’italiano preunitario è caratterizzata da un forte divario tra lingua scritta – l’italiano ufficiale, del quale possediamo un’ampia documentazione – e lingua orale – i dialetti locali. Un’analisi più attenta e stratificata della lingua, come acutamente il linguista Francesco Bruni suggerisce, porta a configurare questi due poli agli estremi di un continuum piuttosto che in uno schema dicotomico assoluto. Se ci proponiamo di rintracciare un repertorio di testi scritti che possano in qualche modo rappresentare la parte intermedia del suddetto continuum, senza dubbio dovremo prendere in considerazione il genere testuale del resoconto di viaggio. L’incontro tra il parlante locale e lo straniero nella maggior parte dei casi non avveniva all’insegna della parlata locale; questo tipo di contatto imponeva un allontanamento dalla lingua orale e il ricorso a un canale comune che rendesse possibile la comunicazione: il francese, la lingua ufficiale della cultura in Europa, oppure l’italiano, o meglio un tentativo di italiano, una “lingua di mezzo” che si separava dal dialetto ma non tanto da rientrare perfettamente nel polo della lingua scritta e ufficiale. Ecco la lingua che Foscolo definisce «itineraria»: una lingua provvisoria, che non è completa come quella scritta, ma è funzionale a rendere possibile la comunicazione di base tra parlanti di idiomi fondamentalmente diversi. Questo non è tuttavia l’unico modo in cui la letteratura odeporica del Primo Ottocento si discosta dal polo letterario; essa è altresì pronta ad accogliere tutte le novità che esulano dalla convenzionalità linguistica di quest’ultimo: i neologismi del settore tecnico-scientifico, ma anche termini ed espressioni locali registrati dalla pura curiosità dello scrivente o necessari per descrivere nuovi elementi della realtà. Ci viene offerta così l’opportunità di registrare l’evoluzione della lingua scritta tra Sette e Ottocento, sotto la forte pressione dei progressi scientifici e dei contatti culturali.

Spirito enciclopedico e varietà lessicale oltre gli schemi
L’interesse dell’autore è focalizzato soprattutto sulle scienze naturali (botanica, zoologia, mineralogia, petrologia), per poi aprirsi a una trattazione più limitata quantitativamente ma non meno accurata delle scienze umane. I francesismi rappresentano un blocco consistente del lessico analizzato, soprattutto se consideriamo l’alta frequenza di calchi strutturali[1] e la presenza, nei casi in cui la lingua italiana non possedeva termini comunemente codificati o diffusi, di parecchi prestiti[2] non adattati, molti dei quali non entrati nell’uso in questa forma (soprattutto nel lessico della zoologia: ablette, alouatte, mangouste, caracal, chacal, narval, guepard, jaguar, ménagerie). I grecismi sono ben rappresentati in tutti i vari settori tecnico-scientifici, sia da termini ripresi integralmente (agave, azalea, coleopteri) o composti da due parti trasparenti (macrodattilo, anemometro, esandria), sia da suffissi produttivi per le neoformazioni lessicali (-lite, -logo, -logia). Rilevante anche la presenza di derivati[3] da nomi di persona, utilizzati particolarmente nelle scienze naturali: in questi casi il termine viene formato a partire da un personaggio mitologico (amarillide, pomona), oppure dallo studioso scopritore dell’oggetto in questione (banksia, lobelia), oppure da un personaggio reale a cui viene dedicata la scoperta (eugenia, ortensia). I derivati da nomi di luogo invece costituiscono una presenza meno accentuata; molto frequenti tuttavia sono le polirematiche[4] che aggiungono a un determinato termine una specificazione di luogo per indicare una varietà particolare dell’oggetto in questione.
Il resoconto di viaggio concepito come trattazione scientifica costituisce dunque uno dei generi che meglio si presta a dare spazio alla varietà lessicale: la posizione intermedia tra scrittura letteraria e memorialistica privata, la curiosità enciclopedica dell’autore, il carattere divulgativo dell’opera contribuiscono a creare uno spazio letterario e linguistico autonomo, che si oppone a regole di genere e stile rigidamente definite e alle ristrettezze della censura puristica.

Elena Torchia

NOTE

[1] - calco: tipo di prestito (vedi sotto, nota [2]) in cui l’imitazione del termine alloglotto avviene mediante l’uso di materiale linguistico indigeno. Distinguiamo tra “calchi formali o strutturali”, che ricalcano la struttura del modello usando elementi preesistenti nella lingua ricevente (per es. grattacielo, dall’ingl. skyscraper), e “calchi semantici”, in cui l’imitazione del modello straniero porta all’ampliamento del campo semantico di una parola indigena (per es. angolo, nell’accezione tecnico-sportiva, dall’ingl. corner)
[2] - prestito: elemento acquisito in una lingua per effetto del contatto e dell’interferenza con un altro codice linguistico. In base al grado di integrazione nella lingua ricevente, distinguiamo tra p. adattati, modificati secondo la struttura grammaticale di quest’ultima (per es. bistecca, dall’ingl. beefsteak), e p. non adattati, accolti nella forma originale (per es. computer dall’omonimo modello inglese)
[3] - deonomastici: parole formate a partire da nomi propri. Distinguiamo tra “derivati da nomi di luogo” e “derivati da nomi di persona”
[4] - polirematica: espressione composta da più parole, ma che viene usata come un tutto unico, con valenza semantica propria

(direfarescrivere, anno V, n. 41, maggio 2009)
 
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