Anno XX, n. 225
novembre 2024
 
Questioni di editoria
I saggi parlano...
questione di stile!
Brevi note sulla speciale lingua
della saggistica, vista in pratica
di Luciana Rossi
Ci è piaciuto introdurre con il garbato doppio senso contenuto nel titolo, forse per alleggerirne il tono, questa panoramica sulle principali caratteristiche del linguaggio usato in un particolare genere di testi scritti: i saggi.
Per esaminarle più da vicino, prenderemo come esempio due brani tratti rispettivamente dalla Nota del curatore e dall’Introduzione alla parte prima del volume Messina (Rubbettino, pp. 368, € 45,00), entrambi scritti dal curatore Fulvio Mazza.
Ma cosa è una «lingua speciale»[1]? E da cosa nasce l’esigenza di poterne disporre?
A una prima impressione risulta forse innaturale, a un lettore ordinario, che la struttura di un testo, la sua sintassi e perfino le parole scelte per esso, siano il risultato di “regole” convenzionali, e non scaturiscano invece dai contenuti e dalla spontaneità dell’autore; come se ciò dovesse limitare la creatività di chi scrive. In realtà, l’uso consapevole e la padronanza del linguaggio rappresentano un livello di maturità espressiva superiore alla semplice naturalità e la capacità di adattare il proprio linguaggio a diversi obiettivi e contesti è, piuttosto che una limitazione, un’estensione notevole della libertà e dell’efficacia di comunicare, senza nulla togliere alla verità dei concetti che si vogliono rappresentare.
Il linguaggio si può immaginare come un vestito, anche se un vestito per le idee: indossare il vestito “giusto” nelle diverse occasioni, senza necessariamente tradire la nostra personalità, ha prima di tutto una funzione di utilità e poi ci permette di farci ascoltare e apprezzare, creando sintonia con le persone che incontriamo in un particolare ambiente.
Le «lingue speciali» o «lingue settoriali» servono proprio a comunicare in ambiti o discipline identificati e specialistici, come ad esempio la fisica o la biologia o la filosofia, in cui occorre, in primo luogo, ma non solo, disporre di un lessico condiviso tra gli stessi studiosi e adatto a definire in modo univoco e sintetico i termini della materia trattata. Ciò è vero in particolare, quindi, più che per la narrativa, per gli scritti a carattere scientifico, nei quali il linguaggio dovrà essere necessariamente rigoroso, sia nei significati che nell’articolazione logica del discorso − spesso volto alla dimostrazione o alla confutazione di tesi − al fine di evitare errori e fraintendimenti. Nelle scienze umanistiche questa connotazione può essere più sfumata, ma comunque permane.
Oltre a determinare il lessico, l’esigenza di comunicare con chiarezza, sintesi e precisione ha portato a preferire alcune soluzioni linguistiche rispetto ad altre anche nella sintassi o nella struttura dei testi, e a sviluppare, nel tempo, differenziate modalità espressive orientate a favorire la comprensione, adattando il tono e il livello del proprio linguaggio ai destinatari del messaggio. Per fare questo, il linguaggio adotta una serie di varietà espressive, dette “registri”, che dipendono «primariamente dal carattere dell’interazione e dal ruolo reciproco assunto da parlante (o scrivente) e destinatario»[2], considerando il «grado relativo di formalità o informalità della situazione comunicativa, e il grado di attenzione e di controllo»[3] con cui chi parla o scrive è capace di gestire l’interazione linguistica. Quanto più questi fattori saranno elevati, cioè quanto più l’interazione sarà formale, appropriata e attenta, tanto più il registro sarà “alto”, in opposizione a un registro “basso” che invece sarà tipico di interazioni informali, approssimative o spontanee, come ad esempio il parlare comune della gente. Quindi in relazione alle esigenze del contesto extralinguistico, cioè della situazione intesa nei suoi componenti cruciali («il destinatario, l’argomento, lo scopo»[4]), potremo avere diversi tipi di testo scritto con corrispondenti gradazioni di registro. Ad esempio, intorno allo stesso argomento potrebbero essere scritti:
• un discorso scientifico ufficiale, rivolto a politici o amministratori;
• un discorso scientifico-pedagogico, esempio ne sono i libri di testo delle scuole;
• un discorso di divulgazione scientifica, come nel caso di articoli su quotidiani e riviste destinati a lettori non specialisti;
• un discorso semi-scientifico, ad esempio una tesi universitaria;
• un discorso di semidivulgazione scientifica, che si può trovare su riviste destinate a lettori acculturati nella materia;
• un discorso scientifico specializzato, come un saggio destinato a studiosi e specialisti;
Questo solo per elencare alcune possibilità di una scala in cui il linguaggio, salendo via via nel livello di tecnicismo, si allontana progressivamente dal registro comune[5].

Cenni sugli esempi scelti
I due testi, scelti per osservare più da vicino in pratica alcune caratteristiche tipiche della saggistica storico-politica, fungono rispettivamente da nota introduttiva e da introduzione alla prima parte del volume Messina, a sua volta costituito da saggi di vari autori, che ripercorrono attraverso i secoli, interpretandoli sotto molteplici aspetti, i passaggi più significativi della storia e della vita della città, inserita nel quadro più generale della situazione italiana ed europea.
Nel primo saggio, Nota del curatore, l’autore, dopo aver illustrato brevemente l’impostazione del volume e la sua collocazione all’interno della collana Le città della Sicilia, ci presenta la struttura generale dei capitoli, introducendo brevemente i saggi dedicati alle varie epoche e dandocene una sintesi.
Nel secondo testo, Introduzione alla parte prima, l’autore analizza criticamente l’ipotesi che la pretesa discontinuità nello sviluppo della città di Messina e del suo ruolo in relazione ai centri e alle nazioni circostanti e, successivamente, all’interno dell’Italia unificata, sia da attribuirsi alla fatale ciclicità di gravi e luttuosi eventi sismici, come quelli del 1783 e del 1908, destinati a ripetersi quale inevitabile portato della sua collocazione geografica. L’autore, di seguito, ricostruisce invece un quadro dei diversi equilibri di potere nelle varie fasi storiche, mettendo in luce come, di volta in volta, l’invasione di potenze straniere o l’assoggettamento a logiche imperiali, dinastiche o statali poco premianti abbiano frustrato, con brevi ma rilevanti intervalli, le aspirazioni autonomistiche o egemoniche della città, nonostante la sua notevole dimensione demografica, la ricchezza e complessità della sua vita intellettuale e culturale – testimoniata da numerosi documenti storici – e l’intraprendente e abile spirito mercantile e commerciale che animava la sua vocazione a porto nevralgico del Mediterraneo.

Analisi dei brani
Passiamo agli esempi citati, di cui riportiamo dei brevi estratti. Ecco il primo, che si trova a pag. 9 del libro:

«È con grande e legittima soddisfazione che chi scrive, nella sua qualità di curatore della collana Le città della Calabria, dopo aver contribuito, assieme ai suoi collaboratori, alla pubblicazione di ben sedici volumi di tale collana, avvia con questo volume su Messina, la nuova collana Le città della Sicilia, frutto, come sempre, della collaborazione fra la Banca popolare di Crotone e la Rubbettino. Essa è rivolta a quanti amano rievocare con “intelletto d’amore” il passato dei popoli che hanno costituito la nostra Italia, all’agguerrita schiera di studiosi di grande valore scientifico che o la Sicilia annovera o che si sono in qualche misura occupati della più grande e più importante delle isole del Mar Mediterraneo. Confesso con sincerità che Fausto Cozzetto e chi scrive − insieme in questi anni abbiamo condotto in porto i volumi sulle città calabresi − ci siamo accinti a curare il primo volume di questa nuova collana, dedicato a Messina appunto, non senza una grande preoccupazione. Entrambi siamo calabresi e profondamente legati alla nostra terra e, proprio per questo, abbiamo vivissima coscienza che la Sicilia non è la Calabria, e questa è affermazione del tutto banale e scontata; meno scontata invece è l’altra, quella secondo la quale la Sicilia e Messina in particolare − che di questa grande regione insulare costituisce una realtà di primissimo piano − hanno offerto un contributo a dir poco formidabile alla storia del mondo mediterraneo. La preoccupazione, che è anche fattore primario di una sfida culturale e civile per entrambi − per il curatore e per il responsabile scientifico dei testi −, è che il volume su Messina e gli altri volumi di questa nuova collana che seguiranno (già è in redazione il successivo su Catania) possano esprimere quanto di meglio la storiografia italiana oggi è in grado di mettere in campo».

Leggendo questo primo paragrafo del brano scelto, notiamo:
• la sintassi elaborata, con periodi lunghi e un ampio uso di frasi incidentali (se ne possono contare ben 10);
• una alta densità semantica; solo nel primo paragrafo ci vengono fornite una grande quantità di notizie: che chi scrive è anche curatore della collana Le città della Calabria, che quest’ultima è di 16 volumi, che ci si è avvalsi di collaboratori, che questo volume è su Messina, che fa parte di una nuova collana, che è frutto della collaborazione tra la Banca popolare di Crotone e la Rubbettino, che lo era anche la collana precedente, che ci sono molti validi studiosi siciliani o occupatisi della Sicilia, che Messina è una realtà di primo piano nell’isola, che la Sicilia ha offerto un grande contributo all’Italia, che è in redazione il prossimo volume su Catania, che in questo volume si offre il meglio della storiografia contemporanea, che ciò rappresenta anche una sfida culturale e civile per il curatore e il responsabile scientifico dei testi;
• una scelta lessicale orientata all’uso di parole di registro alto o arcaicizzanti: «ben 16», «all’agguerrita schiera», «annovera», «a quanti amano rievocare», «accinti», «formidabile»;
• l’uso di espressioni ricercate: litoti («non senza una grande preoccupazione»), espressioni poetiche («“intelletto d’amore”»), metafore («abbiamo condotto in porto»), iperboli («a dir poco formidabile»), perifrasi («È con grande e legittima soddisfazione che», «a quanti amano rievocare», «quanto di meglio la storiografia», «confesso con sincerità»);
• un’aggettivazione abbondante: «grande e legittima», «più grande e più importante», «calabresi e profondamente legati», «banale e scontata», «culturale e civile»;
• il riferimento a se stessi in terza persona, «chi scrive», a significare un approccio scientifico e neutrale;
• l’uso di nominalizzazioni: «abbiamo vivissima coscienza», anziché, per esempio, “siamo profondamente coscienti”;
• una struttura dialogico-argomentativa, che valuta e commenta le proprie affermazioni mentre le espone, guidando il lettore nei passaggi logici del discorso: «questa è affermazione del tutto banale», «meno scontata invece è l’altra, quella che».
Il secondo brano che presentiamo, da pag. 17 del libro, ha caratteristiche simili, ma con sfumature diverse, eccolo:

«Eppure la ricostruzione storica del passato urbano, che i saggi qui introdotti operano, non sembra confermare tanta grandiosità, né di assetto naturale, né di assetto umano. Dal primo punto di vista, la lunga sequenza di eventi sismici e, soprattutto, le cuspidi orribili dei tre megaterremoti del Secondo millennio cristiano, non sembrano lasciare adito a dubbi sulla forte discontinuità nella crescita urbana messinese di cui sembra essere responsabile la faglia nello zoccolo continentale sottostante l’area dello Stretto. Eppure questa pretesa maledizione tettonica, e quindi geografica, non convince lo storico e neppure, che è ciò che importa, ha mai convinto i superstiti dei macrosismi, che non hanno mai inteso abbandonare il sito in cui la città terremotata risorgeva. Lo storico deve sempre distinguere e non si può proprio dire che il terremoto del 1783 sia paragonabile a quello del 1908, nel senso che il primo ebbe certamente conseguenze molto meno drammatiche del secondo. A loro volta, il coraggio e la volontà dei messinesi nel ripopolare l’ambiente urbano degradato dal sisma, non sono stati solo espressione di forte coscienza identitaria civica nonché di istintiva volontà di sopravvivenza, ma anche, e verrebbe da dire soprattutto, della realistica valutazione da parte del ceto dirigente locale del contesto storico e politico in cui la città viveva e delle energie che esso sarebbe riuscito a mobilitare per la rinascita cittadina».

Notiamo che qui è più evidente un largo uso di connessioni logiche nell’organizzazione del ragionamento, dato che, come si è detto, si vuole dimostrare una tesi: «Eppure [...] non sembra confermare [...] Dal primo punto di vista [...] non sembrano lasciare adito a dubbi [...] Eppure [...] non convince [...] e neppure [...] che è ciò che importa [...] Lo storico deve distinguere [...] non si può proprio dire [...] non sono stati solo [...] ma anche, e verrebbe da dire soprattutto».
Ritroviamo poi caratteristiche già osservate nel primo brano, come la scelta di un lessico ricercato e formale: «cuspidi orribili», «megaterremoti», «macrosismi», «il sito», «inteso abbandonare», «coscienza identitaria» e il largo uso di parole astratte e nominalizzazioni: «grandiosità», «discontinuità», «espressione di forte coscienza», «volontà di sopravvivenza», «realistica valutazione».
Un’ulteriore osservazione riguardo a entrambi i brani è che, nel complesso, la lettura procede lentamente, il ritmo dello scritto costringe la mente a rallentare, a considerare, ad approfondire − il che appare molto evidente se proviamo a leggerli a voce alta − e che dall’insieme scaturisce l’impressione di una notevole pacatezza espositiva.

Luciana Rossi

NOTE

[1] - ALBERTO A. SOBRERO, Lingue speciali in ALBERTO A. SOBRERO (a cura di), Introduzione all’italiano contemporaneo. La variazione e gli usi, Bari-Roma, Laterza, 2002, pp. 237 ss.
[2] - GAETANO BERRUTO, Varietà diamesiche, diastratiche, diafasiche in A. A. SOBRERO (a cura di) Introduzione all’italiano contemporaneo..., cit., pp. 70 ss.
[3] - ibidem
[4] - ibidem
[5] - Cfr. a questo proposito ALBERTO A. SOBRERO, Lingue speciali in A. A. SOBRERO (a cura di) Introduzione all’italiano contemporaneo..., cit., pp. 240-241

(direfarescrivere, anno IV, n. 30, giugno 2008)
 
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