Anno XX, n. 225
novembre 2024
 
Questioni di editoria
Elle più apostrofo:
redattori si diventa
Cronaca semiseria di un corso
per lavorare in una casa editrice
di Tiziana Bruzzese
Chi scrive è una corsista che, “per grazia ricevuta” (diciamo così) non per particolari meriti acquisiti durante i mesi di corso, è stata chiamata dal “grande Capo” (chi? Il “temibile” Fulvio Mazza, ovviamente!), a illustrare i vari risultati di un questionario anonimo che noi futuri redattori di case editrici siamo stati invitati a compilare. Il compito della sottoscritta, dunque, è quello di esporre gli esiti finali del test e – sotto sotto – magari anche dare prova delle competenze (speriamo!) assimilate. «Ma di che corso stai parlando?» mi direte voi lettori. Ma di quello per “Redattori di case editrici”, ovvio! È così famoso... Ecco il sito da consultare: www.bottegaeditoriale.it/bottega/contenuti/programma.htm, per quei pochi che non lo conoscono ancora…
Si tratta di un compito a cui per niente al mondo mi sottrarrei: se non altro per sondare l’animo dei compagni di viaggio perché il mio, purtroppo, al momento è intorpidito dall’entusiasmo, necessariamente trapelante (è vero che sono qui per grazia ricevuta, ma dice un proverbio: «aiutati che dio ti aiuta» ed io mi sono fatta aiutare).
Ma le divagazioni diventano trappole mortali se aggirano il traguardo. Torniamo al senso del mio scrivere…

Il questionavio e le sue visposte
Sebbene, come accennato, anonimo e fortemente sollecitati dagli stessi organizzatori a una massima cattiveria e criticità, devo dire che il quadro generale che emerge dalle risposte è decisamente positivo (al che mi pongo un dubbio: fosse stato negativo, mi avrebbero ugualmente chiesto di stendere un articolo?) soprattutto per alcuni punti essenziali del corso: la didattica, i contenuti delle lezioni, i tutor, le dispense, la tempistica, e – udite udite! – il basso costo.
Ma analizziamo alcune delle risposte più interessanti.
Alla domanda «come ha saputo del corso?» emerge un inquietante paradosso: la maggior parte dei corsisti, compresa la sottoscritta, ha risposto di averlo appreso tramite il “passaparola”. Ed ecco reminescenze ancestrali attraversarmi la mente… Il tribale tam tam trasforma il villaggio globale in una piccola riserva in cui relegare noi corsisti…
Non faccio in tempo a focalizzare l’immagine che il trillo impietoso del telefono mi riporta alla realtà: «…Signovina si vicovdi di aggiungeve le visposte dei covsisti on line» dice una voce maschile, caratterizzata da una signorile (vi prego di notare il dispendio di aggettivi quando si accenna al “Capo”) “erre moscia”, dall’altra parte del telefono… (abbandonando il dovere di cronaca eviterò, nel prosieguo, di riportare l’evve (pardon: “erre moscia”).
Interpreto la telefonata come il tacito invito a svolgere con solerzia e attenzione il delicato compito (evidentemente Mazza ricorda di avere a che fare con un’indisciplinata di poca memoria) di interpretare la vox populi della classe. Metto da parte le peripezie immaginifiche e ritorno al questionario ma senza trascurare la necessaria precisazione che oltre ai corsi “frontali”, Bottega editoriale offre la possibilità, ai corsisti più impegnati, di seguire on line (non vi capiti mai di scrivere on-line oppure online) le lezioni.
Con l’occhio “stanco” (per carità, colleghi, che non vi sfugga mai con Mazza) continuo a leggere l’elaborato resoconto farcito di percentuali e numerini che fanno saltare il cervello.
Sono solo quattro i “navigatori” del web approdati per questa via sull’isolotto di Bottega editoriale e uno solo è stato informato dal moderno tam tam: la posta elettronica. Il misterioso corsista starà forse rimpiangendo il suo eremitaggio?
Noto, però, con piacevole sorpresa, che noi corsisti rappresentiamo una controtendenza: se a livello europeo noi italiani siamo tra gli ultimi a leggere quotidiani, ben dieci di noi hanno saputo del corso dagli articoli sui giornali… Infine, ma non ultima, nell’ordine di importanza, la cara, vecchia locandina che ha persuaso ben sei corsisti. Eh, il potere delle idee!
Ma quale forza arcana (non credo che Mazza abbia i “superpoteri”) ci ha spinti a cominciare l’impresa?
La risposta più gettonata è: «la possibilità di avere un’esperienza lavorativa tramite i volumi Le città della Calabria e della Sicilia». Gli intrepidi sono stati selezionati uno ad uno durante le lezioni e la divisione dei compiti è avvenuta in base ad un’attenta analisi delle professionalità. Lo staff non solo ha mantenuto l’impegno, ma è andato oltre (quelli di Bottega sono generosi): il supplizio di passare in rassegna foto, didascalie, testi della collana da editare, è stato inflitto non solo ai volenterosi “professionisti” selezionati per la collaborazione, ma anche a quelli che si erano defilati. Ma si sa, in questo lavoro il «tutti per uno e uno per tutti» è necessario...
Guarda, guarda… Spulciando tra le altre risposte mi accorgo che ci sono anche due corsisti spinti a partecipare dal «basso costo». E chi saranno mai?
Mhhhhh… Non è che vi viene il dubbio che io sia tra questi, che il mio questionario sia stato spedito tramite email e, quindi, non in forma anonima? Graditissima a quasi tutti noi è stata «l’organizzazione dei tempi». Per i pigri e gli insonni le ore pomeridiane sono le migliori. Il corso, infatti, si svolge dalle 15:00 alle 18:00 con una sola pausa che nell’ordine prevede: bagno/caffè/sigaretta e la possibilità di inquadrare, fugacemente (e solo quando non si è perso tempo andando al bagno, bevendo il caffè e fumando una sigaretta all’agghiaccio) il viso di qualche collega.
Per qualcuno la conoscenza di alcuni “bottegai” è stata una garanzia (chissà a chi si riferivano… E che non venga in mente a nessuno di pensare a raccomandazioni); per altri il corso sembra essere l’occasione per ampliare le proprie conoscenze (temo che le mie, invece, continueranno a rimanere anguste). Due soli corsisti, sembrano essere realmente motivati: a quanto pare conoscevano già la figura professionale del redattore di case editrici. Meno male, cominciava a venirmi il dubbio che non esistesse!
Vi vedo già editare questo testo perché il nostro lavoro è fatto di pignoleria e un errore, anche piccolo, è necessario trovarlo sempre (è professionale). Ma qui vi anticipo io: il testo è zeppo di aggettivi. Il motivo ve lo lascio intuire o, se siete creativi, immaginatelo.

I tutor: custodi o angeli vendicatori?
Puntualmente, ogni martedì e sabato notte (i “bottegai” non amano lasciare niente al caso e nemmeno l’argomento delle lezioni, sempre anticipato per tempo) le nostre caselle di posta elettronica ricevono il materiale didattico necessario sia per le esercitazioni pratiche sia per familiarizzare con i tutor che ormai sono presenze fondamentali nella nostra esistenza e custodi della nostra serenità mentale. Quanti di noi non hanno sentito la mancanza, durante le vacanze natalizie, di Annalisa (Pontieri), Carmine (De Fazio), Christian (Biancofiore), Maria Assunta (De Fazio), Silvia (Tropea) e persino del “Capo”?
Quante volte, scaricando la posta e non trovando le “buone novelle” di Bottega editoriale, in preda al panico, hanno pensato: «ma non è che hanno preso l’influenza?», «non è che hanno avuto un imprevisto?», «chissà se hanno riposato durante le vacanze…».
Queste figure silenziose, composte e solerti, che accompagnano il “Capo” e i nostri lavori, con pazienza e competenza, meritano davvero la nostra stima.
Puntualissimi, impeccabili come orologi svizzeri, ma anche simpatici, gioviali, sembrano essere i vicini di casa con i quali siamo cresciuti, o gli amici con i quali condividere belle serate. Dalle nostre risposte i tutor, per motivi diversi, piacciono a tutti e a tutte (data la massiccia presenza di aspiranti redattrici).
Ma dentro ogni tutor che si rispetti si nasconde un angelo vendicatore: prima ci carezzano, poi ci bombardano con email cariche di pagine e pagine di materiale didattico da scaricare, da stampare, da ordinare, da leggere e da editare. Tanti verbi, tante azioni, tanta fatica.
La maggior parte di noi si considera stressato dall’eccessivo lavoro, altri, invece, gli “stacanovisti dell’editoria”, non si lasciano affatto impressionare: eccoli pronti e puntuali nella consegna di esercitazioni, di test, di recensioni perché il lavoro del redattore, Mazza docet, si basa: sulla puntualità, sulla creatività, sull’attenzione e sulla precisione.

Ma anche i “bottegai” non sono perfetti
Per fortuna anche quelli di Bottega editoriale ogni tanto sbagliano… D’altra parte, ogni cosa che si rispetti deve avere le sue imperfezioni. Persino gli amabili tutor se non risultassero umani per le loro timidezze e per i loro dubbi sarebbero odiosi e insopportabili.
La grande debolezza ascrivibile ai “bottegai” pare essere, almeno da quel che risulta dalla lettura dei questionari, la mancanza di uno stage finale: ma, loro, da abili strateghi, stanno già provvedendo ad assecondare le nostre richieste, organizzandone uno...
Altro neo, evidentemente più piccolo, visto che l’annotazione proviene da pochi, pare essere la ripetitività degli argomenti trattati. Evidentemente è lontano il repetita iuvant dei Latini che pare d’obbligo aggiornare con un: «dipende da che cosa si ripete». Su tale aspetto abbiamo, come noterete più avanti, posto una domanda specifica al “Capo”.
Certo è che qualcosa non quadra. Pare, infatti, che le lezioni più gradite siano state quelle relative alle regole di editing ma, paradossalmente, alcuni si sono stancati nell’applicarle praticamente.
Gradito a molti è stato il supporto di esperti esterni. Tre sono quelli che sinora si sono “esibiti” Germana Luisi (sulle «agenzie letterarie»), Demetrio Guzzardi (sulla questione del «conflitto collaborativo autore/editore») e Marco Gatto (sulle correzioni e titolazioni delle riviste on line).
La palma della vittoria, a leggere i questionari, è andata alla Luisi. Ma chissà se la manterrà sino alla fine. Nella seconda parte del corso abbiamo già avuto l’apporto di altri esterni, Fausto Cozzetto e Walter Pellegrini, e altri ancora sono previsti – Fiorenza Gonzales, Attilio Lauria e Florindo Rubbettino – e, quindi, non si sa se la Luisi riuscirà a rimanere al “top” dei gradimenti...

«Quando il discepolo è pronto il maestro appare…»
Credo di aver sintetizzato tutto.
Rileggendo il testo, però, mi accorgo di aver omesso qualcosa anzi, no, qualcuno: il “Capo”.
La sottoscritta, che è di ammutinamento facile, decide di prendere in mano la situazione andando oltre il compito assegnatole.
Sfodero la mia faccia tosta e lo chiamo chiedendogli se sia possibile inserire una sua intervista per mostrare, ulteriormente, l’immensa conoscenza assimilata.
Questi, inizialmente, rifiuta, spiegandomi come sia inopportuno far pubblicare un’intervista su una testata della quale è direttore responsabile. Ma notoriamente estranea alle buone maniere, insisto. Stremato dalla mia ostinazione, lo convinco. Esulto, ma per poco: cominciano così le assillanti incertezze su come impostare l’intervista, sulle domande da porgli… L’idea di “giocarmi la faccia” mi annichilisce. Dopo una notte insonne decido di chiamare nuovamente Mazza, questa volta con meno entusiasmo e con la voce impostata e moderatamente seriosa, per chiedergli un appuntamento.
Il “Capo” si offre di venirmi a prendere alla fermata dell’autobus e di fare in macchina l’intervista durante il tragitto verso Cosenza («odio i tempi “morti”» dice subito), dove il gruppo ci aspetta per una visita alla casa editrice Pellegrini.
L’idea di trovarmi, per un breve tragitto, in macchina, da sola con lui scatena tutte le mie nevrosi (che non sono poche!).
Salita in macchina passa ogni cosa. Dopo un cordiale saluto di rito, Mazza mi invita (sempre per bandire i tempi “morti”) ad arrivare subito al sodo.
«Che cosa vuole sapere?» mi dice con voce secca, puntandomi il suo sguardo glaciale che non mi lascia scampo…
Cerco rifugio tra gli appunti. Frugo nervosamente tra i fogli sparsi nell’agenda. Finalmente trovo le domande appuntate. Non ho più la tracotanza di prima ma, oramai, sono al “ballo” e devo “ballare”.

La difficile intervista

Quale le sembra il punto debole del corso?
Crepi l’avarizia: gliene dico due. Il primo è la formazione molto “differenziata” dei vari corsisti. Il secondo è la mancanza di uno stage finale.

Non mi sembrano problemi da poco...
Non esageriamo! Anche perché, a pensarci bene, il primo degli elementi di debolezza potrebbe anche essere considerato un punto di forza. Avere una platea con laureandi, neolaureati, laureati “storici” e professionisti già avviati significa consentire ai corsisti una sorta di controllo sulla nostra didattica. Inoltre, le esperienze diverse di ciascuno si intersecano in modo orizzontale creando uno scambio che contribuisce ad arricchire l’intero gruppo.
Sul secondo punto, quello dello stage, non mi nascondo dietro a un dito: abbiamo sottovalutato la problematica; ma stiamo già facendo ammenda e, conseguentemente, organizzando uno stage che inizierà a breve.

Quali stimoli trovate nel corso?
Innanzi tutto la gratificazione di fare un lavoro che piace e la speranza di trovare collaboratori validi per Bottega editoriale. Non tutti, ovviamente, potranno lavorare con noi. Ma ci piace anche l’idea di contribuire a formare dei professionisti dell’editoria che, come è avvenuto in precedenza, vanno poi a lavorare presso case editrici di tutta Italia.

Quindi, in un certo senso, svolgete anche il compito di “talent scout”?
Assolutamente sì. È un compito che ci piace anche e soprattutto perché noto come i giovani, e specialmente quelli laureati, siano assolutamente abbandonati – al termine degli studi – a loro stessi.

Qual è la cosa che, nel corso, più vi ha più sorpreso?
Il fatto che alcuni corsisti, in particolari settori specifici, siano più bravi di noi. Valutando alcuni test abbiamo notato che diverse persone rispondevano agli input non “bene”, ma “molto bene”: in qualche caso rilevando particolari ed errori che a noi erano sfuggiti.
Questo significa che l’insegnamento sta andando a buon fine. Cosa che non sempre accade: all’università, ad esempio, noto come molti studenti (e anche laureandi) che inizialmente sembrava avessero appreso, arrivati gli esami (e alla laurea), non rispondevano come ti saresti aspettato: segno che l’input non era, in quei casi, arrivato a buon fine.

Cosa risponde a quei corsisti che si lamentano dell’eccessivo impegno che viene dato loro?
Che non hanno capito niente della vita. Più impegno proponiamo loro e meglio, sempre per loro, è. Innanzi tutto perché è un corso a pagamento e, dunque, è giusto non deludere le aspettative di chi ha deciso di iscriversi per avere una formazione solida. Inoltre: la pratica, che è un’altra parte indispensabile di questo aspetto, per chiunque voglia fare seriamente questo lavoro, è fondamentale.
Poi mi lasci aggiungere un’importante sottolineatura: se è vero che noi diamo tanto lavoro è altrettanto vero che i tutor si impegnano il doppio per correggere tutti i vostri lavori. In ogni caso mi preme evidenziare che i vari esercizi e i diversi test sono sempre assolutamente facoltativi. I corsisti che li vogliono fare: ok. Quelli che non li vogliono fare (o che li vogliono fare in parte): okk.

Cambiamo argomento. In base a quale criterio sceglie i suoi collaboratori?
In base all’efficienza. Il compito di Bottega editoriale è creare e vendere idee che sono il bene più immateriale che possa esistere. Quando un autore o un editore si rivolge a noi è per la credibilità che ci siamo guadagnati. Pertanto l’efficienza dei collaboratori è assolutamente necessaria.

Come si misura l’efficienza?
Facciamo fare piccoli lavori esterni dei quali valutiamo l’esito, la qualità, l’esattezza formale, la puntualità con i quali sono stati fatti.

Quanto conta la passione in questo lavoro?
La passione è basilare. È un lavoro che certamente ti ripaga economicamente; ma le soddisfazioni morali sono insostituibili.

Ha individuato già qualche probabile collaboratore fra i corsisti?
Mi avvalgo della facoltà di non rispondere… Ma solo fino al termine del corso. A qualcuno chiederò certamente di collaborare; ma non ora!

Allora ripenso alla frase che, ai tempi del liceo, un professore mi disse: «Quando il discepolo è pronto, il maestro appare…».
A voi le conclusioni…

Tiziana Bruzzese

(direfarescrivere, anno III, n. 12, febbraio 2007)
 
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