Delle tante figure del mondo editoriale del passato, segnato, citando Gian Carlo Ferretti, dallo strapotere degli «editori protagonisti» [1], ce n’è uno di cui sicuramente si è parlato ma che merita ancor più attenzione. Stiamo parlando di Angelo Fortunato Formíggini e del volume qui recensito, Lezioni di editoria (Italo Svevo edizioni, pp. 184, € 16,00), dedicato a mettere in risalto la sua elettrizzante personalità attraverso gli scritti pubblicati su una delle sue più importanti creature: L’Italia che scrive.
Il testo è introdotto dal prezioso intervento di Gabriele Sabatini, curatore dell’intera opera, dal titolo A mo’ di profilo.
Nella lettura di questa raccolta – «Si tratta di polemiche, analisi, cronache, aneddoti e suggerimenti» – si viene pervasi da una fortissima ironia ma, allo stesso tempo, non vi è pagina che non custodisca un insegnamento. Leggendo gli scritti di Formíggini, infine, si ha l’impressione di entrare in quel mondo editoriale di inizio Novecento che può sembrare lontano e obsoleto, mentre la penna dell’editore modenese ha la capacità di essere di un’attualità sconcertante.
Le due “collane portanti”
Due sono i principali simboli dell’avventura editoriale di Formíggini, vale a dire le collane che già dal nome scelto offrono immagini di grande impatto: i Classici del ridere e i Profili.
Sabatini nella sua nota introduttiva asserisce che «Formíggini propugnava la diffusione della lettura e della cultura in quanto strumento imprescindibile di solidarietà», da qui può essere estrapolato l’intento che Classici del ridere, collana nata nel 1913, si prefiggeva e che viene rafforzato da una citazione dello stesso editore: «nulla è più umano del ridere, nulla è più fautore di affratellamento in questo mondo di cani ringhiosi, nulla è più conciliante con la vita in questo secolo di surmenage e di irrequietezza e di nausea». Dunque, il riso come mezzo per giungere alla solidarietà tra gli esseri umani: ridere insieme è crescere insieme, si potrebbe dire.
L’altra collana a cui vogliamo fare riferimento e che abbiamo citato in precedenza rappresenta, invece, «la prima iniziativa (1909) rivolta a una platea più vasta». I Profili, come suggerisce il nome, sono dei testi biografici riguardanti le gesta di «artisti, letterati, pensatori, di eroi in genere, senza limiti di tempo e di spazio», come riporta il programma scritto direttamente dall’editore e riportato dal curatore di Lezioni di editoria. Il prezzo economico e la possibilità di scoprire informazioni personali circa importanti personaggi storici da una parte conferisce alla collana un intento “pedagogico” e, dall’altra, mette in risalto le strategie editoriali di Formíggini.
Ma c’è un’altra fondamentale creazione dell’autore-editore, forse quella a lui più cara e attraverso cui ha lasciato ai posteri una quantità di spunti sul mestiere dell’editore davvero ammirabile. Si tratta de L’Italia che scrive, «rivista di informazione bibliografica» che l’editore fonda nel 1918.
Di seguito analizzeremo i contenuti e il tono, talvolta ironico talvolta preoccupato, di Formíggini sulle colonne della sua “creatura” che lui abbrevia affettuosamente in Ics o, addirittura, semplicemente “X”.
L’ironia dei corsivi
Gli articoli raccolti nell’opera qui recensita sono numerosi, di argomento vario e sono posti in ordine cronologico (dalla nascita de L’Italia che scrive nel 1918 alla morte dell’editore avvenuta nel 1938). Uno di quelli che colpisce di più per il suo tono ironico e pungente è quello su cui intendiamo concentrarci ed è uno degli ultimi tra quelli pubblicati. Già il titolo, Diffida del padre dell’editoria alla reale accademia d’Italia, è particolarmente provocatorio, poiché, come si sarà già compreso, il “padre dell’editoria” è Formíggini stesso. Lo è ancora di più se si pensa a chi è rivolto. Il sottotitolo, infatti, contiene il nome dei destinatari, accomunati dall’essere importanti personalità nel mondo culturale, letterario e editoriale italiano: Lettera aperta alle LL.EE. Bertoni, Panzini e Papini.
Tra i passaggi più interessanti vi è quello del dovuto riconoscimento allo stesso Formíggini del titolo di “padre dell’editoria”: «Affermo soltanto che, quando l’“Ics” venne rumorosamente alla luce, c’era sì l’arte editoriale, l’attività editoriale, c’era l’editore, c’eran le case editrici, le aziende od imprese editoriali, c’erano le edizioni, si diceva che un libro era stato edito, ma di editoria non si era mai fatto parola».
Infatti, l’editore prosegue dando un’indicazione nel caso in cui si fosse sfogliato un dizionario «alla voce Editoria segue la sigletta: s.f. che potrebbe significare: sostantivo femminile, ma anche… signor Formíggini».
Cosa ci lascia l’editore e l’uomo Formíggini
L’articolo di Formíggini citato comincia con grande ironia ma, in realtà, si chiude con tutt’altro tono e il contenuto assume delle tinte fosche: «chiedo anche che mi sia riconosciuta la paternità di una parola che esprime un concetto a cui ho consacrato tutta la vita; una parola che perciò mi è cara, anche se mi è costata un po’ troppo cara».
Come detto, era il 1938 e in quello stesso anno, esattamente la mattina del 29 novembre, Formíggini prese la decisione di suicidarsi lanciandosi dalla Ghirlandina, la nota torre della sua città natale. L’atto estremo venne compiuto per difendere la sua famiglia dalle leggi razziali appena entrate in vigore – l’editore era di origini ebraiche pur non essendovi un religioso praticante – e, molto probabilmente, perché la speranza di poter continuare a lavorare nell’amato mondo dell’editoria era ormai tramontata. Chissà quali furono gli ultimi pensieri di Formíggini, a cosa e a chi erano rivolti. A noi piace pensare che il centro, o uno di questi centri, fosse l’editoria; d’altronde nell’emblematico articolo Come si diventa editori possiamo leggere: «Elemento discriminativo fra la passione verace e la vanità è che questa si accascia ai primi contrasti, mentre la passione dura per tutta la vita e supera i limiti della vita stessa».
Questo è certo: la passione dell’editore e dell’uomo Formíggini è andata ben oltre la sua stessa vita, è arrivata fino a noi e rappresenta un esempio da seguire, un tesoro di idee e di “praticità libraria” che ha pochi eguali nella storia editoriale e letteraria italiana.
Emiliano Peguiron
[1] G. C. Ferretti, Storia dell’editoria letteraria in Italia. 1945-2003, Einaudi, Torino, 2004.
(direfarescrivere, anno XVIII, n. 203, dicembre 2022)
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