Nella storia della letteratura
molti hanno scelto l’anonimato
di Rosita Mazzei
La storia della letteratura è costellata di personaggi che, per un motivo o per un altro, hanno nascosto la propria identità, servendosi di uno pseudonimo che gli consentisse di continuare a scrivere in maniera anonima e sicura. I motivi di tale decisione possono essere diversi e nel corso dei secoli sono stati molti i letterati e le letterate che hanno abbracciato tale scelta.
Se per alcuni lo pseudonimo era un semplice nome d’arte, facendo comunque in modo che il pubblico conoscesse le vere origini dell’autore in questione, per altri il segreto doveva essere tale in ogni ambito, per evitare di scandalizzare i lettori con un’identità non sempre gradita.
Vi è comunque nella storia della letteratura un gran numero di autori, anche molto rinominati, che hanno deciso di intraprendere questa strada o, purtroppo, vi sono stati costretti.
Quest’articolo è nato dalla valutazione del fenomeno contemporaneo relativo alla scrittrice di fama mondiale Elena Ferrante, da cui siamo partiti per affrontare questa particolare usanza e come si è sviluppata nel tempo e, di conseguenza, far comprendere ai vari lettori l’importanza dello pseudonimo nel corso dei secoli.
Lo pseudonimo come arma contro la società
Una prima differenza da fare per poter meglio avventurarci in questo discorso è quello di discernere lo pseudonimo dall’eteronimo. Termini utilizzati apparentemente come sinonimi, ma non lo sono affatto. Lo pseudonimo è un nome differente di un letterato che, in questo caso, non ha intenzione o è impossibilitato a firmare le opere da lui prodotte con il suo nome reale. Il termine in questione deriva dal greco ψευδώνυμος [1].
Diverso è il discorso per l’eteronimo. Tale parola, che deriva da quella greca ἑτερώνυμος [2], sta a indicare un nominativo sotto cui si cela un autore che opera già con la propria identità, ma che per motivi diversi ha bisogno di un nome differente con cui presentarsi al pubblico che solitamente lo segue, oppure necessita di crearsi una nuova fascia di lettori.
Ciò avviene perché lo stile di scrittura, gli argomenti o le intenzioni perseguiti sono differenti da quelli solitamente perpetrati dal narratore in questione. In tal modo nasce una sorta di alter ego con cui lo scrittore o la scrittrice in questione possono affrontare tematiche che solitamente non affronterebbero con il loro vero nome. L’esempio più famoso di eteronimo, in questo caso, è sicuramente quello dell’autore portoghese Fernando Pessoa che ne utilizzava ben quattro: Ricardo Reis, Álvaro de Campos, Bernardo Soares e Alberto Caeiro. Un altro caso più recente è quello che ha interessato la “mamma” di Harry Potter, J.K. Rowling, che ha scelto di esordire nel genere giallo, con la saga dell’investigatore Cormoran Strike, utilizzando l’identità fittizia di Robert Galbraith. Un metodo che è servito a liberarla della sua fama pregressa facendole ottenere fan autentici e interessati alla storia e non all’autrice.
Lo pseudonimo, quindi, ha un connotato molto più forte in quanto può servire a preservare l’identità dell’artista per evitare rappresaglie politiche o per poter essere messo nelle condizioni di pubblicare un testo che, altrimenti, non verrebbe accettato dalle stampe. Nulla toglie che un letterato possa scegliere uno pseudonimo semplicemente perché il proprio vero nome sia in realtà poco musicale o troppo esteso, come nel caso del poeta cileno Pablo Neruda iscritto all’anagrafe come Ricardo Eliézer Neftalí Reyes Basoalto; la scelta del cognome fu anche un omaggio allo scrittore ceco Jan Nepomuk Neruda [3].
Altro esempio eclatante fu di Charles Lutwidge Dodgson, vero nome di Lewis Carroll, che è una riformulazione scherzosa dei due nomi dell’autore: Lewis è la trasformazione inglese del latino Ludovicus, da cui trae spunto proprio Lutwidge, mentre Carroll è la resa in britannico del latino Carolus, che tradotto diviene Charles. Non ci si poteva aspettare di meglio dal re vittoriano del nonsense e dei giochi di parole [4].
Quando lo pseudonimo è sinonimo di furto di identità
Nel corso dei secoli, poi, sono stati molti gli autori che hanno “ceduto” la propria opera a personaggi ben più famosi per evitare che quest’ultima venisse rifiutata in maniera categorica dal pubblico e dalle case editrici. L’esempio più eclatante in questo caso è quello di Mary Shelley. Figlia della filosofa, scrittrice e proto-femminista Mary Wollstonecraft e del filosofo e anarchico William Godwin, l’autrice passò alla storia per aver scritto uno dei capolavori del genere gotico: Frankenstein o Il moderno Prometeo.
Grazie anche alla trasposizione cinematografica Mary Shelley [5] del 2017, ormai il pubblico è a conoscenza della genesi di tale romanzo. La scrittrice inglese, insieme alla sorellastra, al proprio marito e agli autori George Byron e John Polidori si ritrovò in una villa a Ginevra nel 1816 e in tale sede, durante una sfida, decise di iniziare a dipanare la trama del suo celebre romanzo, mentre Polidori diede alla luce Il vampiro, di cui parleremo in seguito. L’opera di Shelley venne pubblicata anonima due anni dopo, questo perché all’epoca era assai sconveniente che una donna potesse scrivere di un mostro riportato in vita dalla scienza. La dedica a William Godwin, però, fece pensare immediatamente che il compositore di tale opera fosse Percy Bysshe Shelley, suo discepolo e genero, lasciando tutti di sasso quando si scoprì l’identità della giovanissima autrice.
Come citato poc’anzi, durante quella giornata di pioggia nella villa svizzera del 1816, l’opera di Shelley non fu l’unica a emettere degli iniziali vagiti. Anche il medico Polidori gettò le basi di un testo che vedrà la pubblicazione nel 1819 divenendo anch’esso uno dei capisaldi della letteratura gotica: Il vampiro. Il racconto è entrato nell’immaginario collettivo e ha trasformato questo mostro nella leggenda che conosciamo oggi. Il vampiro aristocratico, infatti, nasce tra le pagine di Polidori ed entrò immediatamente nella visione comune tanto che persino Alexandre Dumas ne fu influenzato. Quando Edmond Dantès, protagonista de Il conte di Montecristo, tornò in società, infatti, il suo pallore, causato dai lunghi anni di prigionia, venne paragonato a quello del personaggio creato dal medico britannico [6].
In ogni caso, il testo fu un enorme successo di pubblico e anche questo venne accreditato a Lord Byron. Tale autore, però, era invece la fonte di ispirazione per il racconto di Polidori. Il medico in questione, infatti, cercava in questo modo di screditare l’amico ben più famoso e apprezzato e da cui veniva continuamente sbeffeggiato [7].
Lo pseudonimo nel corso del tempo
Gli autori che hanno intrapreso la strada dell’anonimato sono stati davvero molti. Anche Mary Anne Evans decise di adottare un nome maschile dato che, nell’epoca in cui è vissuta, una donna votata alle lettere non era certamente ben vista. Le autrici donne, infatti, in epoca vittoriana erano considerate meno prestigiose rispetto ai colleghi uomini e le loro opere venivano declassate senza neanche essere lette perché considerate prettamente femminili e, dunque, inferiori. Inoltre, la scrittrice voleva tenersi lontana dagli scandali a causa della sua relazione con un uomo sposato. Fu così che già dal suo primo romanzo l’autrice adoperò lo pseudonimo di George Eliot.
Anche le sorelle Brontë pubblicarono sotto pseudonimo per non vedere svilite le proprie creature solo perché nate da una penna femminile. Charlotte, Emily e Anne inizialmente scrissero, dunque, sotto i falsi nomi di Currer, Ellis e Acton Bell.
Nel Novecento anche un’artista americana decise di omettere parte del suo nome per avere la stessa credibilità che era riservata solo agli intellettuali uomini. Stiamo parlando di Nelle Harper Lee e, in questo caso, non è un vero e proprio pseudonimo, quanto un nome d’arte. Quest’ultimo, infatti, non nasce con l’intenzione di rendere irriconoscibile il soggetto che ne fa uso, come avviene per lo pseudonimo. Il nome d’arte, inoltre, può essere assai simile al nome originario della persona che ne fa uso, come nel caso di Lee, ma può anche essere formato da un nome e/o un cognome diversi dagli originari come per lo scrittore Carlo Collodi, all’anagrafe Carlo Lorenzini oppure Alberto Moravia, nato Pincherle.
Quando lo pseudonimo diventa omaggio a persone o luoghi
I motivi che hanno spinto molti scrittori a scegliere un nome differente dal proprio sono stati i più svariati. Aron Hector Schmitz, per esempio, ne utilizzerà diversi. Il primo pseudonimo è quello di Ettore Samigli, con cui vedranno la luce i suoi primi lavori, ma poi adotterà il più conosciuto Italo Svevo come omaggio alla sua doppia origine.
Infine, arriviamo all’esempio più eclatante e conosciuto ai giorni nostri, da cui è partita la nostra ricerca: Elena Ferrante. La sua opera letteraria è così importante che ha portato all’inserimento dell’autrice nella lista redatta dal Time delle 100 persone più influenti al mondo. La scrittrice nega l’idea diffusa che il suo nome sia in realtà uno pseudonimo, ma che semplicemente preferisce non mostrarsi in pubblico. Il motivo che ha spinto Ferrante a mantenere l’anonimato è quello di preservare la propria sfera intima, non dovendosi adeguare a determinati parametri che il pubblico si aspetterebbe da lei come fa già con altri autori. Ma questa spiegazione non ha scoraggiato la ricerca di ipotesi, tra cui quelle più accreditate sono quella che vede in Elena Ferrante la saggista Anita Raja, oppure quella che riguarda la figura di Domenico Starnone, scrittore, sceneggiatore e marito della stessa Raja.
L’importanza della preservazione del sé
Quelli elencati all’interno di questo articolo sono solo alcuni dei nomi illustri che hanno scelto per un motivo o per un altro di adottare uno pseudonimo. Che volessero preservare la propria arte o la propria persona è irrilevante. Ciò che preme sottolineare è che spesso la libertà di espressione è stata messa a dura prova dalla politica o da una società troppo opprimente. Non dar credito a uno scrittore in base al proprio sesso o alle proprie origini è un problema che purtroppo si riscontra ancora oggi e che porta continuamente molti autori e autrici a dover utilizzare stratagemmi per poter pubblicare in maniera libera i propri pensieri in varie parti del mondo.
Il non dare il giusto peso a determinati artisti per i più svariati motivi ha portato molti di loro, come abbiamo visto all’interno di questo articolo, a doversi nascondere per poter pubblicare. Sorge spontanea la domanda su come sarebbero andate le cose se avessero scelto di agire diversamente. L’opera di Mary Shelley avrebbe avuto lo stesso successo di pubblico se non fosse stata attribuita erroneamente al marito? Era davvero così impensabile che una donna potesse avere visioni di creature e di fantascienza? Il mostro di Polidori sarebbe riuscito a entrare di diritto nella leggenda narrativa se i lettori non lo avessero “appioppato” alla figura romantica di Lord Byron? Le sorelle Brontë e le loro composizioni sarebbero finite nel dimenticatoio se inizialmente non avessero preso parti maschili? Queste domande, naturalmente, sono valide per tutti quei letterati che si sono dovuti nascondere dietro un nome fittizio per poter far nascere le proprie creature.
I vantaggi sono rappresentati dal fatto che venne data a loro e ai loro libri possibilità altrimenti negate; i contro, invece, si possono rilevare nella consapevolezza che spesso il talento e lo studio non bastano per oltrepassare la coltre di attese innestate da un pubblico da sempre troppo esigente. La vita privata dell’artista, infatti, ha costantemente rappresentato un di più nella realizzazione dell’arte.
Alcuni artisti usarono con consapevolezza lo pseudonimo, altri vi furono costretti per poi avere difficoltà a farsi riconoscere dal proprio pubblico. In ogni caso tale stratagemma tornò utile a molti e, ancora oggi, è un ottimo mezzo nelle mani di scrittori abili che sanno farne un ottimo uso nelle più svariate occasioni e che, in tal modo, offrono al pubblico le loro produzioni artistiche sotto varie vesti.
In ogni caso, sono molti a non vedere di buon occhio tale strategia. Tralasciando i casi di persecuzione politica, gli autori che decidono di mantenere l’anonimato spesso lo fanno per preservare la propria sfera intima da un eccessivo clamore mediatico. Se da una parte tale intenzione è nel pieno diritto dell’artista, vi è anche da dire che spesso il pubblico sente il bisogno di confrontarsi con l’autore o l’autrice della propria opera preferita. Conoscere la storia personale di chi ha intessuto nella nostra anima determinate emozioni tramite la scrittura è un sentimento abbastanza comune in molti lettori. Non sta a noi, però, decidere cosa sia meglio fare in determinate occasioni, resta comunque il rammarico di una riservatezza che, ad alcuni, potrebbe apparire come mancanza di fiducia o voglia di isolamento.
[4] Lewis Carroll, Nel Paese dello specchio, Istituto Editoriale Italiano, Milano 1914.
[5] Mary Shelley - Un amore immortale. Dir Haifaa al-Mansour. Con Elle Fanning e Douglas Booth. Notorious Pictures 2017.
[6] «“Attento!” disse la contessa ridendo. “Vedrete che il mio bel vampiro non sarà che un qualche nuovo arricchito che vuol farsi perdonare i suoi milioni. E lei. L’avete veduta?”». Da Alexandre Dumas, Il conte di Montecristo, BooksandBooks.it, pp. 282.