Gli atti della quarta fase a Roma
tenuta da Annibale Bertola
di Maria Chiara Paone
Continuano gli appuntamenti con Nuove tendenze della Letteratura italiana contemporanea, il tema relativo al ciclo di convegni promossi dall’agenzia letteraria Bottega editoriale. Dopo la prima “puntata”, svoltasi durante il Salone internazionale del libro di Torino, i lavori si sono spostati presso la sala convegni della Federazione unitaria italiana scrittori (Fuis), il 16 novembre 2019 dove si sono tenute altri due stadi di questo percorso ideale sulla Letteratura contemporanea.
Abbiamo avuto una quarta e quinta fase di incontri durante la manifestazione di Più libri più liberi a Roma, nell’edizione di dicembre 2019. In questa occasione ci concentreremo sulla quarta puntata, tenutasi il 5 dicembre presso la sala Venere. L’incontro è stato mediato dal direttore dell’agenzia letteraria Fulvio Mazza mentre il presentatore è stato lo psicologo Annibale Bertola. I protagonisti di questo incontro sono stati: Fabio Bacile di Castiglione con Non ho un sogno (Emersioni Editore, pp. 124, € 14,50) di cui potete trovare la recensione qui e Alfio Giuffrida con Odore di sujo (il Seme Bianco, pp. 200, € 17,90) di cui potete leggere una recensione qui. Buona lettura a tutti!
Il primo libro introdotto nel convegno è stato quello di Fabio Bacile di Castiglione, Non ho un sogno, edito da Emersioni. Bertola è riuscito a intrattenere e, soprattutto, a coinvolgere la nutrita folla con una sua personale analisi dell’opera.
Il presentatore ha esordito con l’inevitabile assonanza del titolo con il celeberrimo “Ho un sogno” di Martin Luther King.
Ha poi continuato il suo discorso mostrando come in ciascuno alberga una aspirazione, un desiderio impellente che si avverte nella sua intensità soprattutto nei momenti nodali della propria esistenza. Uno di questi, indubbiamente, è il conseguimento del diploma di maturità: tanto decisivo, come momento di crescita, che per molti di noi rimane scolpito nella memoria tanto da essere costantemente sognato per tutto il corso della vita in una sorta di riedizione perenne della propria evoluzione personale.
In questo romanzo seguiamo la storia di Diego immediatamente dopo il superamento di questa tappa, allorché si trova a dover conciliare il mondo degli affetti familiari, gli echi delle tempeste ormonali che calamitano il suo interesse verso l’altro sesso, e un progetto di vita (un “sogno”, appunto). Mentre le prime due aree esperienziali subiscono l’inevitabile condizionamento del rapporto con l’altro (godibili l’incontro con la cruda realtà professionale dello zio commercialista, del padre ingegnere che senza volerlo lo aiuta proprio a realizzare il compito evolutivo della “uccisione del padre”, grazie alla scoperta delle irregolarità fiscali che si compiono nel suo studio. Così come l’incontro con le ragazze sollecita le sue ansie talvolta frustrate di maschio) il terzo compito evolutivo (la definizione dei confini “del sogno” e l’emergere di un vero progetto di vita) spetta completamente alle sue energie e alla sua capacità di confronto con il reale.
Inevitabili, come sempre Bertola ha continuato nel suo discorso, sono i contrasti con i crocevia obbligati di molti giovani delle generazioni dei nostri tempi: il rituale dello “sballo”, il senso di abbandono e di vuoto che ne consegue, il duro confronto con la scoperta che un attimo di godimento chimico viene amaramente pagato con il senso di vuoto esistenziale e di indefinibilità del proprio “essere se stessi” in rapporto ai propri sogni.
È a questo punto che lo stile dialogico del romanzo aiuta il lettore a evitare la trappola dell’“happy end” zuccheroso: la risoluzione della fase di crescita ha il nome di due personaggi che nella trama narrativa emergono senza artificiosità e senza soggiacere all’illusione che sia necessaria ad ogni costo una redenzione, sia pure umana. La soluzione che il lettore scopre con scorrevolezza e piacevolezza è la smentita piena dell’aforisma di Sartre per cui «l’inferno sono gli altri»: le figure del domenicano e di Francesca danno ragione del contesto in cui un sogno può costruirsi e segnalano la direzione attraverso cui il cammino della vita può cominciare senza smarrire la stella polare del valore cui ispirarlo. Un’analisi puntuale e basata giustamente in gran parte sulla psicologia del personaggio e sui topòs tipici del mestiere.
È poi seguita la presentazione dell’opera di Alfio Giuffrida, autore di Odore di sujo (edito da il Seme Bianco) un romanzo di cui, sempre secondo le parole del relatore, sarebbe riduttivo sostenere che rifletta nel suo svolgimento le ambiguità, le incertezze e le contraddizioni del nostro tempo. O, per meglio dire, lo potremmo dire assumendo paradossalmente che il “nostro tempo” è al tempo stesso monodimensionale nel senso marcusiano del termine e postmoderno, frammentato e “liquido”.
Le persone trovano nelle tensioni sociali che si sono manifestate a tutti i livelli una sorta di forza di inerzia che le spinge a rifugiarsi in un contesto ristretto, che apparentemente corrisponde alle loro scelte, ma che in realtà spesso è l’esito di forze impersonali che agiscono nella società e movimentano le leve della storia.
I personaggi di Odore di sujo (termine che da solo esprime la pesantezza di quale aspetto assuma oggi la “fatica di vivere” di junghiana memoria) si muovono in un arco temporale che risale alla mitica decade sessantottina, e spaziano in uno scenario che va dalla America Latina alla Spagna, a Rotterdam, a diversi scenari italiani.
La caratteristica principale della trama si caratterizza per il turbinoso intreccio fra eventi delle singole vite personali, ciascuna caratterizzata dalla sua individualità e dalla pregnanza delle proprie esperienze, e le grandi linee storiche che si impongono alla evoluzione dell’uomo d’oggi: la globalizzazione, la corruzione, la presenza minacciosa e incombente del problema della droga. Fantasma che segna e probabilmente segnerà ancora per lunghissimo spazio di tempo la nostra epoca e che genera come una matrice di odio e di sofferenza altri fenomeni antisociali: la criminalità in primo luogo (con il sordido codazzo bellicista della guerra fra bande) e gli effetti di ritorno sugli effetti distorsivi sulla vita collettiva.
L’ottica del protagonista, che si identifica con il personaggio di Alex, ci consente di assistere al mosaico sempre sorprendente e complesso dei personaggi e delle loro vicissitudini. La continuità della sua narrazione ci permette di superare una prima impressione che colpisce il lettore, quella di una incalzante rete di avvenimenti e di storie individuali che quasi è difficile in un primo momento seguire. Subentra infatti più tardi il senso complessivo delle esistenze individuali e le ragioni del loro interagire, in un groviglio intricato di eventi, di emozioni e di sensazioni.
Si tratta di un groviglio sotto al quale alla fine del racconto si disvela la continuità narrativa e il suo senso perennemente in bilico fra collettivo e personale, geografico e temporale. Una testimonianza preziosa che supera il colpo di scena finale in intensità e – contemporaneamente – semplice solarità.
Si tratta di una testimonianza preziosa della faticosa problematicità dei nostri giorni: ma per come Alex, ovvero l’Io narrante, chiude la sua cronaca il lettore scoprirà che esiste sempre la speranza di un cielo più sereno e di una vita sociale in cui i conflitti e le asperità vengono composti nel senso di una felicità interindividuale: difficile da realizzarsi, ma a disposizione di chi la sappia costruire.
Con questo finale abbastanza enigmatico Bertola ha concluso il suo intervento, segnando la quarta fase del ciclo di Convegni. A presto, con la quinta e (per ora) ultima parte!