L’Ue impone nuovi vincoli
contro l’abusivismo digitale
di Michela Mascarello
A tutti coloro che realizzano un’opera dell’ingegno a carattere creativo, sia essa di natura letteraria, musicale, figurativa, teatrale o cinematografica, spetta per legge il diritto noto come “diritto d’autore” o copyright.
In Italia, le disposizioni legislative in merito si fondano sulla Legge 22 aprile 1941 n. 633, che negli anni ha subìto varie modifiche e integrazioni, soprattutto in ottemperanza alle disposizioni dell’Unione europea, volte a uniformare il più possibile la normativa per tutti gli stati membri.
Oggigiorno, assistiamo alla messa on line sempre più massiccia e incontrollata di contenuti di ogni sorta (testi, canzoni, video, ecc.), senza riguardo verso chi quei contenuti si è impegnato a crearli. Per questo motivo, l’Ue ha ritenuto opportuno, già da qualche anno, cercare di arginare tale fenomeno con una nuova direttiva.
Responsabilizzare le grosse aziende digitali
Il testo della direttiva era già stato steso dalla Commissione europea nel 2016, con il proposito di aggiornare la regolamentazione sul copyright risalente al 2001, che faceva riferimento a una situazione dell’e-commerce e del Web ormai profondamente mutata e pertanto anacronistica[1].
L’Ue ha dunque deciso di adattare le disposizioni sul diritto d’autore alle condizioni del mercato digitale attuale, monopolizzato ‒ come ben sappiamo ‒ dai giganti del Web come Google, YouTube e Facebook, sinora sostanzialmente liberi di promuovere a fine di lucro l’utilizzo (gratuito) di contenuti realizzati da terzi.
La nuova disposizione prevede che le grosse aziende digitali, e gli aggregatori di notizie come GoogleNews, agiscano in modo più responsabile, impegnandosi a stipulare accordi con i legittimi detentori del copyright: i quali, mediante tali accordi bilaterali fra aziende ed editori, dovrebbero così godere di una maggiore garanzia di rimunerazione.
Un altro aspetto fondamentale della direttiva mira a una più attenta considerazione del diritto d’autore da parte delle piattaforme digitali, chiamate a rimuovere dal Web tutti quei contenuti che risultano protetti da copyright.
La presente disposizione, comunque, si rivolge principalmente ai grandi colossi della rete; un occhio di riguardo, invece, è indirizzato verso le aziende di piccole dimensioni, con un fatturato annuo inferiore ai dieci milioni di euro, e verso le startups, esistenti da meno di tre anni: entrambe le categorie saranno soggette a oneri più leggeri.
Un traguardo significativo
Oggetto di violento dibattito tra imprese digitali da una parte e gruppi editoriali dall’altra, a marzo, dal Parlamento di Strasburgo, è giunta l’approvazione della direttiva. Ora manca soltanto l’“ok” da parte del Consiglio europeo e poi finalmente si potrà passare alla fase esecutiva.
Dal nostro punto di vista, certamente un po’ parziale ma ‒ ci auguriamo ‒ condivisibile da tanti altri, anche non interni al settore editoriale, sebbene sia questo il punto su cui ci battiamo più strenuamente, l’avallo di questa normativa è, indubbiamente, un traguardo molto importante.
Nonostante tutto riteniamo giusto che gli autori vengano salvaguardati nei loro diritti, in special modo in quest’epoca in cui informazioni e contenuti sono generalmente trattati e trasmessi con grande superficialità, con assai scarso rispetto nei confronti di chi ha impiegato tempo, impegno e denaro per realizzarli.