Già in tempi antichi, come dimostra l’ut pictura poesis oraziano, non era insolita la stretta relazione che intercorreva tra l’arte visiva e quella della scrittura. Quindi è assolutamente normale come in età contemporanea questa relazione non solo non si sia interrotta ma anche arricchita da moltissime produzioni. Basti pensare, per il mondo fantasy, alle saghe cinematografiche legate al ciclo tolkeniano de Il Signore degli Anelli e a Harry Potter; per quanto riguarda i titoli italiani vi sono, tra i tanti, Il giardino dei Finzi-Contini, scritto da Giorgio Bassani e divenuto film diretto da Vittorio De Sica, e la trasposizione de Il nome della rosa, romanzo di Umberto Eco, che Jean-Jacques Annaud diresse nel 1986 (e di cui ci sarà, a breve, una nuova trasposizione televisiva in onda su Rai uno); inoltre, come dimenticare la fortunata e lunga serie tv su Montalbano, che vede Luca Zingaretti alle prese con il commissario siculo uscito dalle pagine dei romanzi di Andrea Camilleri?
Con questa lunga tradizione alle spalle, è stato solo questione di tempo la messa in onda de L’amica geniale, serie televisiva tratta dall’acclamata tetralogia omonima di Elena Ferrante, di cui cercheremo di fare una piccola analisi allo scopo di incuriosire un futuro spettatore o lettore. Una fama certo causata dal mistero legato dietro l’autrice – di cui è sconosciuta la vera identità – ma non per questo immeritata grazie alla bellezza e alla godibilità dell’intreccio, dietro cui si dipana la storia di Elena e Raffaella, Lenù e Lila, bambine, ragazze e infine donne che si incontrano e si scontrano a Napoli dagli anni Cinquanta fino ad oggi. Le loro avventure vengono raccontate dalla voce dell’anziana Elena, trascinandoci in una complicata storia di amicizia al femminile in bilico tra intelligenza (la succitata genialità), aspirazioni e gelosia; un’amicizia che è riuscita ad entusiasmare non soltanto la nostra nazione.
Il fenomeno tra Italia e America
La serie, di cui per ora è andata in onda solo la prima stagione corrispondente agli eventi del primo libro, ha infatti visto la collaborazione della Rai e della Hbo, emittente televisiva americana. Entrambi i canali hanno trasmesso le puntate questo inverno quasi in contemporanea con alcune piccole particolarità nelle due versioni. Infatti, al di là dell’oceano, le puntate sono state viste senza la realizzazione di alcun doppiaggio, mediante sottotitoli in inglese, mantenendo così la genuinità dei dialoghi e della parlata in italiano e in dialetto napoletano. Tuttavia, sono state presentate anche delle modifiche durante la trasmissione, non dovute al rispetto dell’originale ma semplicemente alla censura, seppur lieve. Infatti nella versione italiana sono state tagliate due scene molto brevi su episodi abbastanza sconvenienti che riguardavano direttamente le protagoniste adolescenti. Forse la giovane età delle attrici da un lato, e la delicatezza di alcuni argomenti dall’altro hanno influenzato questa scelta che ha fatto molto polemizzare il pubblico, trattandosi anche di un tempo scenico eliminato veramente esiguo che quindi, a nostro dire, non avrebbe influenzato la visione della serie né con la sua presenza (sicuramente importante) né con la sua effettiva assenza.
Libro vs serie: chi è il migliore?
Tralasciando le differenze di montaggio passiamo a visionare quelle effettivamente importanti e che riguardano la fedeltà della parola scritta trasposta in immagini. Certamente il messaggio e le intenzioni di fondo non possono essere stati traditi dato che la sceneggiatura è stata scritta “a otto mani” dal produttore Saverio Costanzo, da Francesco Piccolo e Laura Paolucci insieme alla Ferrante stessa.
Un plauso va certamente dato alla scelta del cast principale, composto quasi interamente da visi freschi – tra le “vecchie leve” spicca Dora Romano nel ruolo della sibillina maestra Oliviero, chiave di volta per il futuro delle due ragazze – e che dimostrano quindi realmente la loro giovane età; Lila e Lenù sono ben rappresentate dalla scelta delle attrici, rispettivamente intepretate da Ludovica Nasti ed Elisa Del Genio (nell’infanzia) e Gaia Girace e Margherita Mazzucco (nell’adolescenza), che dimostrano una forte chimica tra loro nel sapersi attrarre e respingere con la stessa forza ed eleganza.
Molte scelte stilistiche sono state ben raffigurate grazie alla minuziosità della scrittura della Ferrante. Tra le più particolari ricordiamo la scena in cui viene rappresentata l’ira che, a detta di Elena, colpirebbe le donne come animali invisibili che strisciano ed entrano in loro, attraversandone il corpo e avvelenandolo. Sulla scena vengono visti come “innocui” scarafaggi che escono dalle fogne del rione, una scena quasi normale che si intensifica in maniera iperbolica, accompagnando il disagio dovuto alla visione con il frastuono del frinire degli animali. Anche la violenza, molto presente nei romanzi, è ben rappresentata non solo nelle parole ma soprattutto nelle azioni, con scene di pestaggi e minacce così intense da sembrare realmente accadute.
Tuttavia, come in tutti i prodotti che sono tratti da una materia scritta, qualche differenza c’è, stranamente non a livello di contenuto ma di presentazione dei personaggi a volte troppo semplificati: uno tra questi è, stranamente, proprio Lenù che sembra quasi marginale al confronto con l’affascinante e “cattiva” Lila. Una scelta che sembra tanto ironica quanto ingiusta essendo proprio la giovane Elena la narratrice e, quindi, quella su cui l’autrice si è focalizzata maggiormente attraverso pagine di riflessioni personali e rievocazioni del passato che consentono di avere un quadro psicologico abbastanza chiaro e preciso. Ovviamente un prodotto visivo deve mostrare più che raccontare ma dato che è presente proprio come filo conduttore tra le varie puntate la voce di Elena da adulta – “prestata” da Alba Rohrwacher – non si vede alcuna giustificazione sul non poterla sfruttare di più e, soprattutto, al meglio.
Certamente non è ancora possibile vedere un prodotto assolutamente perfetto sulla carta e sulla scena, proprio perché gli strumenti a disposizione sono molto diversi anche se complementari, ma non dovrebbe essere questo l’obiettivo principale (anche se auspicabile): quello a cui si cerca di puntare è non solo la realizzazione delle fantasie dei cosiddetti “lettori forti” ma di promuovere un prodotto valido concedendogli una fruibilità globale e, perché no, magari far avvicinare alla lettura!
Maria Chiara Paone
(direfarescrivere, anno XV, n. 158, marzo 2019)
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