Nell’immenso campo della legislazione inerente al Diritto d’autore, si colloca a pieno titolo il principio di “Pubblico dominio”; un argomento poco conosciuto, sebbene rivesta un’importanza notevole in ambito editoriale.
Sorto in Europa circa tre secoli fa, ha subito un’importante evoluzione nel corso del tempo. Se fino alla metà del XIX secolo la locuzione “Pubblico dominio” indicava il complesso dei beni appartenenti allo stato – in relazione anche alle opere dell’ingegno non coperte da Diritto d’autore – intorno al 1860 il Dizionario dell’Accademia di Francia diede la definizione che maggiormente si avvicina a quella conosciuta attualmente: «essere nel Pubblico dominio, cadere nel dominio pubblico, si dice delle opere letterarie e delle altre produzioni dello spirito dell’arte, le quali dopo un certo tempo determinato dalle leggi cessano d’esser la proprietà degli autori o dei loro eredi» [1].
Esso, in linea di massima, rappresenta la linea di demarcazione della protezione legale garantita dal Diritto d’autore, stabilendone una durata limitata al fine di consentire a qualsiasi opera (libro, invenzione artistica, etc.) di poter essere utilizzata e pubblicata da chiunque.
È bene chiarire fin da subito che la parte di Diritto d’autore utilizzabile, decorso il termine fissato (settant’anni anni in Italia [2] e nella maggior parte dei paesi europei), è solo quello relativo alla parte patrimoniale o di “utilizzazione economica”. Il Diritto “morale” d’autore non può essere omesso, in quanto diritto inalienabile della persona che ha creato l’opera dell’ingegno. A esempio, tutti hanno il diritto di pubblicare I promessi sposi (ovviamente utilizzando l’originale e non opere edite di recente) ma nessuno può sostituire il nome dell’autore; come è possibile inserire qualsiasi tipo di commento – Prefazione, Postfazione o qualsiasi altra forma di paratesto – ma è assolutamente vietato intervenire sul testo stesso. In caso contrario, entrambe le situazioni configurerebbero una palese violazione della “moralità” del Diritto d’autore.
In ambito nazionale, molti paesi hanno inserito la locuzione “Pubblico dominio” nella normativa relativa al Diritto d’autore e ai diritti connessi. L’argomento riguarda non solo le opere librarie, ma anche quelle artistiche e musicali. Quanto esporremo da qui a breve riguarderà anche, se ben incidentalmente, argomenti estranei all’editoria libraria: tuttavia, le presenti considerazioni, ci teniamo a sottolinearlo, vogliono trattare pressoché esclusivamente il mondo dei libri e non entrare in mondi altri, che hanno particolarità differenti.
Fino a poco più di vent’anni fa, in Italia, era previsto un Diritto demaniale [3] a favore dello stato, che colpiva proprio le opere cadute in “Pubblico dominio”, sebbene non fossero più coperte da Diritto d’autore. In altri termini, chiunque avesse scelto di pubblicare un’opera non più coperta da Diritto d’autore (per il fattore economico) era obbligato a versare una tassa nelle casse dello stato, il che disincentivava questo desiderio di diffondere utili “strumenti culturali”.
L’abrogazione di questo “Pubblico dominio pagante” [4] ha agevolato notevolmente le pubblicazioni e il mercato editoriale per quanto riguarda i “grandi classici” in primis, assicurando enormi risparmi sia ai soggetti “offerenti” sia ai consumatori, sui quali ricadeva inevitabilmente il costo dell’opera. Il tutto è andato, naturalmente, anche a beneficio della cultura e della conoscenza.
Casi di “Pubblico dominio” nelle corti nazionali e internazionali
Il “Pubblico dominio” svolge un’importante funzione sociale: se al giorno d’oggi tutti hanno la possibilità di sfogliare un libro scritto secoli fa, di canticchiare una filastrocca antica, di guardare film di altre epoche, è proprio grazie all’assenza di copertura legale di Diritto d’autore, e dunque dei costi e degli obblighi che quest’ultimo implicherebbe.
Abbandonando per un attimo i nostri amati libri e facendo un’incursione in ambito musicale, notiamo come tantissimi sono i casi relativi alla “presunta” violazione del suddetto diritto, con conseguente decisione giuridica di ascrivere, o meno, le opere oggetto di discordia, proprio nel “Pubblico dominio”, previa verifica essenziale per la determinazione di tale status.
Chi di noi non ha mai cantato il famoso ritornello «buon compleanno a te» durante una festa? Eppure questa simpaticissima melodia qualche anno fa è finita di fronte alla Corte Federale del Distretto Centrale della California! [5] In seguito alla denuncia da parte di una regista, Jennifer Nelson, che aveva contestato il comportamento della società che da anni riscuoteva i diritti della canzone, la Corte si è pronunciata in merito, dichiarando che la stessa «happy birthday to you» non avesse alcuna copertura di Diritto d’autore. Ciò permetteva a chiunque di cantare liberamente la canzone in pubblico e che nessuna casa discografica potesse pretendere il pagamento di una tassa per la stessa, cosa che avrebbe potuto fare qualora fosse stata titolare dei diritti per un’opera ancora non caduta in “Pubblico dominio”. La questione è nata poiché la regista, dopo aver girato un documentario sulla storia della canzone in questione, ha sostenuto che la casa discografica Warner/Chappel Music – braccio editoriale della Warner Group che le chiese una somma per aver utilizzato la canzone – non avesse diritto di riscuotere alcun credito sulla stessa. La casa discografica aveva acquistato nel 1998 la Birch Tree Ltd, che a sua volta aveva rilevato, alla fine degli anni Trenta, la Clayton F. Summy Company e con essa i diritti sulla canzone. Il giudice californiano scoprì un errore di fondo: nel 1893 la Summy Company aveva pubblicato la prima versione della canzone scritta dalle sorelle Mildred e Patty Hill, che avevano composto la melodia con altre parole. Invece quelle attuali, note a tutti oggigiorno, vennero sovrapposte alla musica in un secondo momento, precisamente da Robert H. Coleman in un libro del 1924, anche se non è mai stato chiaro chi le abbia realmente composte. Solo nel 1935 la Summy Company registrò le parole della canzone. La Corte di Los Angeles quindi decise che la casa discografica in questione non aveva alcun diritto di registrare le “nuove” parole, dal momento che essa deteneva i diritti per la prima versione della canzone. Di conseguenza, anche la Warner Company non aveva mai acquistato i diritti per la versione attuale. «Happy birthday to you» è quindi un testo libero e di “Pubblico dominio”.
Va precisato che negli Stati Uniti d’America è di “Pubblico dominio” ogni opera scritta prima del 1923, a differenza di quanto accade nella maggior parte dei paesi europei, dove il limite prefissato per la copertura del Diritto d’autore parte dalla morte dell’autore e si protrae per ulteriori settant’anni. Per constatare una situazione di “Pubblico dominio”, invece, negli Stati Uniti incide anche la data di pubblicazione, a seconda dei casi, quando non si ha nessun autore identificato. Come abbiamo accennato, questa vicenda è ascrivibile proprio nella previsione legale appena descritta, poiché l’attuale versione della canzone è stata pubblicata nel 1924 ma è impossibile risalire all’autore.
Altro caso, stavolta italiano, per il quale è stato necessario un lungo processo civile conclusosi nel 2017 [6] ha riguardato il leggendario personaggio di Zorro, nato dalla penna di Johnston McCulley.
La vicenda si è mostrata molto complicata fin dall’inizio: la Corte d’Appello era giunta alla decisione che non fosse possibile applicare la normativa italiana di fronte a questo caso [7], e che andasse disciplinato mediante la legislazione statunitense. Nello specifico si utilizza il Copyright Act, approvato negli Usa nel 1909, che prevedeva la copertura del Diritto d’autore per ventotto anni. In sostanza, ai sensi di questa legge, già nel 1977 la Zorro Production Inc., società detentrice dei diritti sull’opera, non poteva più vantare i diritti sulla stessa. La Corte di Cassazione italiana, al contrario, ha stabilito che la controversia giuridica andasse disciplinata dalla legge italiana sul Diritto d’autore – n. 633 del 1941 – la quale, come abbiamo visto, fissa la “soglia” del Diritto d’autore fino a settant’anni dopo la morte dell’autore. Johnston McCully è morto nel 1958 e quindi fino al 2028 Zorro non può essere “liberato”, e chiunque volesse utilizzare (non pubblicare, in questo caso) l’opera è tenuto a pagare i diritti alla società che oggi li detiene.
Due esempi pratici, utili a comprendere l’utilità del “Pubblico dominio” e tutti i vincoli normativi che spesso possono costare cari.
Meglio se di tutti
Tornando ai nostri amati libri, ricordiamo Victor Hugo, che nel suo discorso d’apertura al congresso letterario tenutosi nel 1878 (citazione contenuta nel Manifesto del pubblico dominio) affermava che «il libro in quanto libro, appartiene all’autore, ma in quanto pensiero appartiene – senza voler esagerare – al genere umano. Tutti gli intelletti ne hanno diritto. Se uno dei due diritti, quello dello scrittore e quello dello spirito umano, dovesse essere sacrificato, sarebbe certo quello dello scrittore, dal momento che la nostra unica preoccupazione è l’interesse pubblico, e tutti, lo dichiaro, vengono prima di noi» [8].
Parole chiare e incisive, un ragionamento che deve riguardare non solo i libri ma ogni opera, creazione, e tutto ciò che è frutto dell’ingegno di qualcuno.
Fare in modo che il frutto dell’intelletto possa appartenere a tutti e diventare fonte di sapere e conoscenza è l’obiettivo primario del “Pubblico dominio”.
Ovviamente nessuno può, e deve, pretendere che il Diritto d’autore non debba esistere, né esso va percepito come una barriera insormontabile per la proliferazione del bagaglio della cultura. Una garanzia, economica e morale, a favore di chi “crea” conoscenza, è ineluttabile; ciò che si può pretendere è che tale forma di tutela sia limitata nel tempo. Solo così si possono bilanciare i diritti degli “inventori” e salvaguardare, al contempo, l’interesse pubblico.
Sull’argomento non abbiamo toccato volutamente due aspetti della trattazione: le creative commons, una rinuncia volontaria totale o parziale del Diritto d’autore e il ghostwriting, che permette di rinunciare completamente alla titolarità dell’opera.
È in questo compromesso che si realizza il rapporto, diretto o indiretto, fra autore e soggetti terzi; questi ultimi avranno l’onore e l’onere di divulgare le opere ma, per meglio dire, le idee del primo. Paradossalmente anche questa è una forma di tutela, propria del Diritto d’autore.
Luigi Innocente
[1] Accademia francese, Dizionario dell’Accademia di Francia (Dictionnaire de L’Académie français), 1687, traduzione presente nell’opera di Alessandro Manzoni, Memorie intorno a una questione di così detta proprietà letteraria, in Il Politecnico - repertorio mensile di studi applicati alla prosperità e coltura sociale, fascicolo n. 67, Editori del Politecnico, Milano.
[2] Termine introdotto dall’art.2 del Dlgs. n. 154 del 1997 «Nelle opere pubblicate per la prima volta dopo la morte dell’autore (…) la durata dei diritti esclusivi di utilizzazione economica è di settant’anni a partire dalla morte dell’autore», in sostituzione dell’art. 31 della legge 633 del 1941.
[3] Ai sensi dell’ex art. 175 della legge n. 633 del 1941 infatti «Per ogni rappresentazione, esecuzione o di diffusione di un’opera adatta a pubblico spettacolo o di un’opera musicale, quando, per qualsiasi motivo, essa sia di pubblico dominio, deve essere corrisposto allo Stato da chi rappresenta, esegue o radiodiffonde l’opera, con le norme stabilite dal regolamento, un diritto demaniale sugli incassi lordi e sulle quote degli incassi corrispondente alla parte che l’opera occupa nella rappresentazione, esecuzione o radiodiffusione complessiva, qualunque sia lo scopo della rappresentazione, esecuzione o radiodiffusione e qualunque sia il paese di origine dell’opera. L’ammontare del diritto demaniale è determinato con decreto reale da emanarsi a norma dell’art. 3, n.1 della L. 31 gennaio 1926, numero 100, La determinazione dell’ammontare del diritto demaniale sulla esecuzione di pezzi staccati di opere musicali o di brevi composizioni è attribuita alla Società italiana degli autori e degli editori (Siae), secondo le norme del regolamento, sulla base dell’ammontare del compenso normalmente richiesto dall’ente suddetto per le opere tutelate eseguite in analoghe condizioni».
[4] L’art. 175 della legge n. 633 del 1941 è stato infatti abrogato dall’art. 6 del decreto legge n. 669 del 1996, convertito in legge n. 30 del 1997.
[5] Cfr. Decisione della Corte Federale del Distretto Centrale della California, alla voce del 22 settembre 2015.
[6] Corte di Cassazione, Civile Sent., Sez. I, n. 32, anno 2017.
[7] Corte d’Appello, Sent. n. 5778, anno 2012.
[8] Victor Hugo, Discorso d’apertura al congresso letterario internazionale del 1878, preambolo del Manifesto del pubblico dominio, prodotto nell’ambito del progetto europeo Communia, network telematico sul Pubblico dominio digitale.
(direfarescrivere, anno XIV, n. 154, novembre 2018)
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