La traduzione letteraria e il miracolo che essa compie nel dar modo a tanti echi di un testo di risuonare dentro un’altra lingua. Una riflessione sul legame intrinseco che si crea tra la figura del traduttore e un progetto editoriale, su come la sua persona influisca e si lasci influenzare vicendevolmente da un’idea e dal mercato editoriale. Questi, a grandi linee, sono i temi principali trattati in uno stimolante saggio nato dalla cooperazione di più autori e frutto del lavoro degli studenti del Master in Editoria organizzato dal Collegio universitario “S. Caterina da Siena” di Pavia.
Gli autori di Echi da Babele (Edizioni Santa Caterina, pp. 280, € 18,00) ci propongono dei veri e propri “casi editoriali”, una ventina di esempi, mostrandoci tutte le problematiche della trasposizione di linguaggi e di significato in culture e contesti diversi, i possibili bivi di fronte ai quali un professionista della traduzione può “trovarsi”, oltre alla relazione costante che si crea fra traduttore e casa editrice.
Come si traducono i nomi dei personaggi e dei luoghi di un fantasy senza romperne l’incantesimo originale? Come si possono evocare le medesime sensazioni dei versi unici di una poesia di Dickinson o quelli bizzarri di una filastrocca, di un indovinello, senza finire nel piattume? Quali problemi compositivi pone la traduzione di un bestseller come Harry Potter? O pensiamo a Gomorra di Roberto Saviano e alla scelta, anche grafica, che la traduzione di un messaggio – arrivato in modo diverso dalla lettura dell’opera nei diversi luoghi del mondo – ha imposto alla copertina. Il testo lo spiega in modo attento e curioso. Quali peripezie editoriali può comportare l’assunzione di un libro in una cultura distante da quella da cui ha avuto origine? Pensate ai romanzi di Camilleri sulle vicende del commissario Montalbano, a tutte le sfumature del dialetto siciliano da trasformare e rendere concettualmente in un altro paese, come la Francia. E quali rischi, quando ci si scontra con culture di repressione e di morte scrivendo ad esempio contro l’Islam, e il traduttore più di altre figure può diventarne una vittima? I lettori si accorgono del professionista? O, meglio, può accadere anche per il mondo del libro come per i film stranieri che, fidelizzandoci alle voci dei protagonisti, non riconosciamo più un personaggio perché il suo doppiatore è cambiato? Queste le domande a cui cerca di rispondere il saggio, rivolgendosi all’interesse di lettori appartenenti a diverse fasce d’età e non solo agli esperti in materia e alla categoria trattata.
Chi è il traduttore? E il buon traduttore?
Con una sintassi articolata ma scorrevole, un lessico scientifico e tuttavia comprensibile, il testo cerca di evidenziare l’importanza di un ruolo che in tanti danno per scontato: quello del traduttore. Una professione essenziale nella catena editoriale, perché ha una funzione raffinatissima e delicata, fondamentale per il successo di un libro.
Benedetto Croce diceva: «Una traduzione può essere brutta e fedele o bella e infedele», facendo leva sul fatto che un traduttore può limitarsi a seguire il testo originale in modo fedele, senza però restituire nulla nella lingua d’arrivo. Pertanto è necessario, sempre salvaguardando lo stile dell’autore, porre attenzione al tono e all’impatto emotivo che egli vuole dare al testo (ad esempio il sarcasmo, lo stupore di un’espressione), rapportarlo al contesto culturale di adozione dell’opera, per garantire lo stesso significato più che le stesse parole. La sfida maggiore è cercare di rimanere umili, allontanando il pensiero di fare meglio dell’autore, perché il traduttore non è il “riscrittore”; sebbene egli abbia comunque una funzione creativa, in quanto ci mette del suo, le proprie abilità, la propria inventiva, le conoscenze culturali per comunicare le stesse intenzioni e sensazioni dell’autore. E non sarà un azzardo se facciamo un parallelismo con la figura dell’artista, che cerca di interpretare e plasmare in figure apollinee un’emozione, un desiderio, uno stato d’animo, sforzandosi di trasmettere al meglio le proprie sensazioni a chi vedrà la sua opera.
Il saggio è un’accurata riflessione che si spinge oltre i tecnicismi riscoprendo addirittura la traduzione come un veicolo possibile per spezzare le catene che limitano le menti, abbattendo così i pregiudizi culturali e permettendoci di capire che viviamo in un unico mondo.
Esempi di traduzione
Il saggio, come risultato di uno studio di ricerca, potrebbe apparire pesante nella lettura ma si rivela invece curioso e accattivante; probabilmente grazie anche all’utilizzo di esempi pratici che mettono il lettore davanti al fatto concreto, oltre che a materiale selezionato fortemente apprezzato nell’industria libraria.
E così si apprendono alcuni retroscena di alcuni dei libri più noti: nella traduzione de Il Trono di Spade, grande successo mondiale, il nome dei non-morti The Others si poteva esprimere con “gli Altri”, ma al traduttore sembrava troppo generico, perché other in inglese non ha la stessa connotazione che ha in italiano e possiede una sorta di sfumatura di estraneità, a volte anche inquietante: da qui la scelta di tradurre con il termine “gli Estranei”.
Anche la scelta dei diversi formati editoriali e dell’uscita in più volumi di un racconto investe il campo della traduzione. Ciò, però, espone il traduttore a dei rischi: dovrà negli altri tomi ricordare accuratamente lo stile, i nomi, i personaggi del primo libro della serie. Le insidie sono molteplici, soprattutto quando si ha a che fare con una saga non ancora conclusa. Il professionista, spesso, applicando la traduzione di un nome nella lingua d’adozione, scopre poi che la scelta da lui perseguita viene ripresa per nominare dall’autore un altro personaggio che compare solo successivamente. A quel punto la confusione dilaga, se non si pone attenzione e non si padroneggia bene la materia.
Un altro aspetto da non sottovalutare è che tra le parole di un romanzo vive un particolare contesto storico e sociale in cui il traduttore deve immergersi, tenendo conto del filtro rappresentato dalla sensibilità dell’autore.
Spesso la ricognizione di chi si occupa della traduzione ha dovuto farsi largo in una lingua del tutto immersa nella realtà dell’epoca e, come nell’esempio riportato all’interno del saggio, si preferisce andare ben oltre la rigida consultazione di un dizionario coinvolgendo partecipanti di età diverse, che in alcuni casi hanno vissuto gli anni in cui è stato scritto il romanzo o i periodi di poco successivi.
Passando per l’analisi de Il Piccolo Principe, si arriva al caso Harry Potter. Gli interventi più profondi riguardano il sistema onomastico: nomi e cognomi dei personaggi, toponomastica, tassonomia degli animali fantastici. Nel saggio si fa riferimento all’episodio in cui Rowling ha espresso il proprio disappunto sulla scelta traduttiva del nome Silente, così rinominato in italiano perché tante delle complicazioni nel racconto sono dovute proprio ai silenzi del preside, che in effetti si dimostra “silente”.
L’autrice, durante un’intervista, ha dichiarato: «Nella traduzione italiana il professor Dumbledore è diventato professor Silente. La traduttrice si è basata solo su una parte del nome,dumb. In realtà dumbledore è il termine Old English per indicare il bombo. L’ho scelto perché avevo in mente un mago affabile, sempre in movimento, che mormora continuamente tra sé e sé. […] Per me “Silente” è una contraddizione totale. Ma il libro ha riscosso molto successo in Italia, quindi evidentemente la cosa non interessa agli italiani». Come pure si fa riferimento al termine “mezzosangue” e al discorso che sta dietro questa scelta, o anche alla formula magica con cui Ron cerca di far diventare giallo il suo topo nel libro Harry Potter e la Pietra filosofale: nel primo verso dell’originale sono nominate tre cose gialle, allora il traduttore nella versione italiana ha usato: «Sole, mimosa e caciocavallo che questo topo diventi giallo!», come corrispettivo culturale associato a quel colore. Emergono dal saggio altri particolari riguardo alla scelta stilistica della copertina italiana del primo libro di Harry Potter in cui al protagonista erano stati tolti gli occhiali.
Il lavoro di traduzione oltre la pagina
In Echi da Babele si è poi voluto accennare all’atto traduttivo considerato non come semplice servizio al testo, ma come intervento editoriale attivo e determinante che venne eseguito all’estero su un testo di Rodari, Favole per cambiare il mondo. È un libro “bifronte”; nel quale, cioè, le favole originali e quelle tradotte si incrociano partendo dai capi opposti del volume, le prime sottosopra rispetto alle altre. Un libro composto di sole pagine dispari.
Questa è solo una breve presentazione, un “assaggio del saggio”, che offre altre interessanti curiosità e spunti.
Gilda Pucci
(direfarescrivere, anno XII, n. 131, dicembre 2016)
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