Anno XX, n. 225
novembre 2024
 
Questioni di editoria
Il conflitto
collaborativo
Il dialogo tra redattore e autore:
problematiche, sfide e soluzioni
di Ernesto Carannante
Quando si tratta di pubblicare un libro, varie sono le forze motrici chiamate in campo perché il prodotto finale sia apprezzabile e spendibile sul mercato letterario. È dunque facile immaginare come il processo di lavorazione e di produzione dell’opera non sia sempre fluido e come spesso la collaborazione tra le varie figure professionali coinvolte, prime tra tutte quelle del redattore e dell’autore, rischi di degenerare in un vero e proprio conflitto.
Le dinamiche editoriali, infatti, seppur dettate di volta in volta dai diversi casi, sono scandite da un iter piuttosto comune: l’autore, dopo aver finito e rivisto il proprio dattiloscritto, contatta un redattore, la cui funzione è quella di assicurargli che rispetti tutti gli standard necessari per la pubblicazione. Gli interventi e le opinioni di quest’ultimo, tuttavia, non vengono accolti sempre di buon grado e, nella maggioranza dei casi, i problemi emergono principalmente sul piano stilistico: ecco perché risulta fondamentale comprendere e definire in prima istanza i margini d’azione di entrambe le parti in causa.

Il conflitto collaborativo
Sarà stata sicuramente esperienza comune la vista di una persona molto ben curata nell’aspetto e nell’abbigliamento, ma, inaspettatamente, guastata dalla scelta di un dettaglio così stonato rispetto all’insieme da attirare l’attenzione dell’osservatore esclusivamente su di esso. Immaginiamo che questa persona chieda un consiglio a uno stilista, il quale, da esperto in materia, le farà subito notare il particolare fuori luogo.
A questo punto due sono le reazioni possibili: il suggerimento verrà accettato e addirittura gradito (l’immagine della persona sarà salva!) oppure sarà respinto in maniera categorica, in quanto quel dettaglio è particolarmente caro all’interessato e non può essere in alcun modo eliminato. In fondo, non gli si può imporre qualcosa che non gradisce o che non lo fa sentire a proprio agio. La decisione è sua.
Ecco la genesi di un piccolo conflitto collaborativo: c’è stata la richiesta di un parere professionale, dietro la quale, tuttavia, più che una reale disponibilità a mettersi in discussione, si celava il desiderio di ricevere una conferma personale.
Questo esempio così semplice è utile a comprendere in maniera immediata le variabili che possono rendere difficile l’interazione tra redattore e autore. I meccanismi sono, infatti, abbastanza simili: un autore vuole pubblicare una sua opera, intende cioè servirsi di una produzione propria per farsi conoscere dal pubblico; è comprensibile che ce la metta tutta per sfruttare al massimo le proprie potenzialità e per questo si rivolge a un esperto del settore, il redattore. Bisogna però mettere in conto che non sempre il feedback dell’esperto corrisponde alle sue aspettative e il necessario accordo tra i due si rivela spesso tutt’altro che di facile attuazione. Al di là delle dovute eccezioni, di norma, il dialogo tra autore e redattore è una via di mezzo tra le due situazioni prima delineate.

Le problematiche più frequenti
Esaminate le dinamiche di questa difficile interazione, bisogna considerarne le cause più comuni.
Vale la pena, a tal proposito, partire proprio dalle problematiche relative all’autore e alla concezione che egli ha della propria opera: c’è, infatti, una differenza molto forte, ma spesso ignorata, tra la sua personale percezione e quella del redattore o degli stessi lettori. Si può dire che l’autore instauri un rapporto molto particolare con il suo testo, assimilabile quasi a quello tra padre e figlio, e per ovvi motivi non è sempre facile condurlo a valutazioni ragionevoli e obiettive. A ciò si aggiunge anche il fatto che non sempre l’intento di partenza corrisponde perfettamente all’effettivo risultato finale: l’autore è solitamente sulla difensiva perché non vuole che la sua ispirazione, ciò che ha immaginato e che ha tentato di comunicare venga in qualche modo modificato, rovinato, o peggio ancora, spersonalizzato. Teme cioè che il testo perda l’impronta del suo “padre biologico”, ignorando spesso di non aver utilizzato gli strumenti adeguati per far arrivare in maniera esatta al pubblico il messaggio che aveva in mente.
Non da ultimo c’è da considerare il rischio continuo e latente che prevalga l’orgoglio dell’“artista”: capita di frequente che l’autore sia convinto che ogni singola parola generata dalla sua penna sia immacolata.
Analogamente, anche il redattore dovrebbe stare in guardia da alcuni errori facili da commettere, soprattutto a causa di una scarsa esperienza, a cominciare dalla mancanza di oggettività nelle sue correzioni. È molto probabile, infatti, che egli commetta un abuso di potere: convinto di correggere ciò che è necessario, non si accorge di intervenire anche laddove l’autore non ha commesso errori insindacabili, né ci sono reali criticità da risolvere.
Talvolta nel redattore è ravvisabile anche un’incapacità di cogliere l’intento dell’autore: di fronte a un periodo scritto male, poco chiaro e quindi oggettivamente problematico, egli propone una soluzione personale che migliora la forma e crea un collegamento funzionante, ma che getta completamente nell’oblio l’idea originale.
Infine, anche il redattore può correre il rischio di voler a tutti i costi lasciare la propria impronta sul testo, ritenendola una garanzia di qualità, e finendo così per compromettere lo stile dell’autore, ovvero l’identità dell’opera.

A scuola di stile…
Proprio perché quella dell’editing è un’operazione così rischiosa e delicata, soprattutto in quei punti opinabili come le questioni stilistiche, non si può prescindere da una completa comprensione di cosa sia esattamente lo stile.
Quando parliamo di persone, è relativamente semplice capire cosa sia: quel particolare modo di essere che caratterizza un individuo e lo differenzia da un altro. Sulla base di quest’osservazione si possono distinguere differenti tipi di stile: da quello dell’abbigliamento a quello dell’atteggiamento, al modo di camminare o di parlare. Da qualsiasi punto di vista lo si consideri, lo stile si fonda su due presupposti basilari: una certa consapevolezza e cura nel coltivarlo, e una reale corrispondenza alla natura della persona, onde evitare di risultare forzato o artificiale.
Di fronte alla scelta di un abito, infatti, l’acquirente ne osserva la fattura, il colore, il modo in cui calza, accertandosi innanzitutto che rispecchi la propria personalità, ovvero che, indossandolo, si senta a proprio agio. Dunque, fuor di metafora, lo stile letterario è descritto da ciò che si ripete in un autore e da ciò che, nella sua scrittura, ci permette di riconoscerlo e di diversificarlo da tutti gli altri.
Si può dunque definire “stile” la commistione di alcuni elementi tipici della lingua scritta: ognuno di essi, in sé, non caratterizza un autore, ma nell’insieme tali elementi lo qualificano e lo rendono unico.

La sintassi
Un’analisi puntuale dello stile deve innanzitutto partire dalla sintassi.
Un testo può presentare una struttura sintattica molto semplice, costituita da frasi brevi e prevalentemente coordinate tra loro: la coordinazione, detta anche paratassi, dispone le frasi in maniera sequenziale, limitando i legami formali tra esse ed evitando una gerarchia d’importanza tra i contenuti.
Al contrario, un testo in cui prevale la subordinazione, o ipotassi, presenta periodi lunghi e articolati, che favoriscono la complessità concettuale.
È ovvio che non possa essere espresso un giudizio di valore sul tipo di sintassi adoperata, né che vada squalificato a priori uno stile prevalentemente paratattico solo perché più semplice; non sempre, infatti, una più complessa concatenazione dei periodi corrisponde a una fluidità del discorso e a un maggiore ispessimento del pensiero.
Dalla tipologia di sintassi e dal modo in cui si susseguono le scene dipende, infine, anche il ritmo della narrazione, che procede in maniera dinamica e veloce nel testo paratattico e con lentezza e frequenti pause ove prevalga l’ipotassi.

Il registro
Altro elemento caratterizzante lo stile è il registro. L’esperienza quotidiana mostra come l’uso della lingua differisca notevolmente a seconda della situazione, dell’interlocutore o del tipo di messaggio che si vuole trasmettere. Tali diversi utilizzi della lingua vengono appunto definiti “registri” e ognuno di essi conferisce una particolare fisionomia alla scrittura dell’autore.
Per esigenze di semplificazione, possiamo distinguere cinque tipologie di registri:
- registro aulico: corrisponde a un linguaggio estremamente raffinato, con termini eleganti e affettati, ed è usato piuttosto raramente;
- registro alto: prevede l’utilizzo di termini distinti e poco comuni, ma non eccessivamente ricercati, ed è proprio dei contesti piuttosto formali;
- registro medio: attinge a un vocabolario abbastanza elegante e di uso comune, che ricorre raramente a termini troppo familiari, e viene utilizzato tra persone che intrattengono un rapporto di semplice conoscenza;
- registro basso: comprende parole ed espressioni di tipo dialettale o colloquiale, ed è tipico dei contesti più intimi e familiari;
- registro infimo: è caratterizzato da termini ed espressioni di tipo volgare o gergale, talvolta finanche offensivi, e viene utilizzato in contesti particolarmente confidenziali.
Se, dunque, la scelta di un registro e del relativo grado di formalità è condizionata dalle norme sociali che regolano le interazioni in una data comunità o dalle intenzioni stesse degli interlocutori, che possono voler creare distanza o vicinanza, strettamente vincolata al registro resta la scelta specifica delle parole, ossia del lessico (vocabolario).

La voce di chi scrive e il tono espressivo
A determinare uno stile vi sono infine altri due fattori significativi: la voce e il tono espressivo. Qualsiasi testo, infatti, è un dialogo tra l’autore e il suo lettore. La voce dell’autore deve perciò essere facilmente riconosciuta da chi legge e restare familiare durante tutta la narrazione. Se durante la lettura di un libro dovessimo percepire delle interruzioni in questo dialogo, ossia l’impronta di più mani (e quindi più voci), ci troveremmo di fronte ad un testo editato male.
Il tono espressivo definisce invece la particolare modulazione del flusso narrativo stesso (può essere umoristico, drammatico, oggettivo ecc.).

L’editing: abilità da acquisire nel tempo
Ogni aspirante editor dovrebbe muovere i suoi primi passi dalla consapevolezza che non potrà farsi bastare uno studio “teorico” per imparare il mestiere. Lo farà necessariamente sul campo, tra successi e fallimenti.
Alla luce di quanto discusso, però, gli sarà senz’altro utile ricordare alcuni principi: innanzitutto è necessario capire bene che tipo è l’autore, se ricerca continue conferme o preferisce delegare interamente il lavoro; se si pone in maniera assertiva o insicura; se ha un atteggiamento accomodante o è piuttosto suscettibile.
Ulteriore oggetto di studio da parte dell’editor deve essere il fine che si prefigge l’autore. Il caso più fortunato e auspicabile è quello dello scrittore consapevole dei propri limiti e capace di sana autocritica, disposto a lasciare che la propria opera venga liberamente rimodellata dalla mano sapiente del “chirurgo”, perché ne siano valorizzati al massimo i punti forti ed eliminati quelli dolenti.
L’altro estremo è il caso più disperato: quello di un autore che, pur avendo richiesto un editing, non lo gradisce realmente e spera di aver restituita la propria opera con correzioni minime, che saranno messe comunque continuamente in discussione con atteggiamento critico e capriccioso.
In ogni caso, poiché non sono le eccezioni a dettare la regola, il più delle volte l’editor dovrà districarsi tra richieste, esigenze e aspettative del tutto imprevedibili, servendosi allo stesso tempo di competenze tecniche e abilità comunicative, con uno sguardo sempre attento alla psicologia dell’autore, affinché egli si fidi e si senta al sicuro. Dovrà sollevare dubbi, evidenziare problemi e proporre alternative, attendendo infine che l’autore assimili ed elabori il tutto in maniera personale. È, infatti, il rispetto reciproco dei ruoli a costituire il presupposto basilare per una collaborazione serena e di reale profitto.

Ernesto Carannante

(direfarescrivere, anno XII, n. 125, maggio 2016)
 
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