Da tempo si sentiva il bisogno di un manuale che approfondisse l’arte del disegnare testi nel fumetto: il lettering. Pratica, questa, spesso sottovalutata, ma di fondamentale importanza nella costruzione di quel particolare tipo di opera che chiamiamo fumetto; da cui la creazione di uno strumento utile e interessante rivolto a tutti coloro che vogliano approfondire l’argomento. Si tratta dell’agile libro di Marco Ficarra, Manuale di lettering. Le parole disegnate nel fumetto (Tunuè edizioni, pp. 194, € 14,90), concepito per aiutare il letterista a risolvere i problemi che può incontrare nel suo lavoro, fornendo numerose informazioni utili sulle tecniche di realizzazione. Ma il testo si può configurare anche come un buon punto di partenza per coloro che vogliano conoscere più a fondo il fumetto, aiutati anche da interviste a esperti del lettering e della calligrafia.
Con un breve percorso storico vengono descritti la nascita della scrittura, dalle antiche incisioni rupestri fino ai fonts da computer, l’uso sapiente del lettering dei maestri del fumetto, i tanti esempi nel fumetto di oggi, gli strumenti del lettering manuale e digitale, la sua concreta realizzazione tecnica, il lettering dei testi, ma anche le nuvolette e le onomatopee, includendo tutti i passaggi per poter realizzare un font partendo dal disegno delle lettere fino alla digitalizzazione.
L’opera nasce dall’esperienza di grafico informatico del suo autore, che ha avuto la fortuna di lavorare per il fumetto proprio nel momento in cui era in atto la rivoluzione digitale che stravolgeva il mondo editoriale, in un settore che per sua natura è soprattutto disegno manuale. Questa rivoluzione tecnologica, iniziata con l’avvento dei primi scanner, le stampanti laser, i fonts digitali, ha trasformato profondamente l’editoria del fumetto, a volte, paradossalmente, influenzando in negativo la qualità del lavoro: innalzamento dei ritmi di produzione, sottovalutazione delle figure professionali, abbassamento delle retribuzioni.
Il volume si apre con una prima parte di approfondimento sulla scrittura e le sue diverse applicazioni, presentando tanti maestri e giovani autori. A essa fa seguito una seconda parte che offre le risorse utili per creare un carattere a mano, la digitalizzazione con FontLab 5, la realizzazione del lettering manuale e digitale, oltre alle tecniche e agli strumenti indispensabili, dai pennini ad inchiostro ai più moderni e professionali software per la grafica e l’impaginazione.
Nascita della scrittura
Il bisogno di lasciare una traccia che avesse un significato particolare fu l’inizio dello sviluppo di una comunicazione che rimanesse nel tempo, che andasse oltre il gesto o il suono, che per loro natura sono temporanei. Si pensi, ad esempio, alle incisioni primitive, chiamate pittogrammi, che erano originariamente graffiti sui muri e avevano la funzione di rappresentare ciò che veniva disegnato: un animale, un uomo, una donna, una freccia. È probabile che queste rappresentazioni fornissero un accompagnamento visivo ai racconti orali, facilitando l’espressione delle storie narrate.
Tornando ai nostri giorni, con la grafica digitale si assiste ad un rifiorire della ricerca estetica della progettazione di nuovi caratteri. La potenzialità espressiva scaturita dall’infinita possibilità di manipolazione grafica dei caratteri ha determinato un’esplosione di forme che non è facile, oggi, classificare. In particolare, la progettazione del disegno dei caratteri non è orientata solo verso la produzione di caratteri per testi, quindi a fini editoriali, ma spesso il fine della progettazione è il disegno grafico del carattere stesso, che viene adoperato come un logo o come elemento grafico di un particolare messaggio promozionale. In tipografia e in informatica, il tipo di carattere o font è un insieme di glifi (immagini) che rappresentano i caratteri accomunati da un determinato stile grafico. Un tipo di carattere può contenere, oltre alle lettere, i numeri e la punteggiatura, anche ideogrammi e simboli come caratteri matematici, note musicali, segni geografici, icone, disegni e anche le lettere di diversi alfabeti. Da quando, trent’anni fa, sono arrivati i computer, il font ha preso sempre più piede nella comunicazione per immagini, trasformandosi da elemento della scrittura della comunicazione visiva a elemento preponderante e onnipresente. Oggi, con la continua evoluzione dei pc e la sempre maggiore diffusione dei mezzi per la comunicazione visiva, i caratteri presenti nei nostri computer sono migliaia e dalle forme più diverse e insolite. L’utente può scegliere quale utilizzare e, con gli strumenti sempre più alla portata di tutti, può modificarli o ridisegnarli a piacimento. La nascita di nuovi fonts non risponde più all’esigenza di composizione del testo per l’editoria, come avveniva agli albori della stampa tipografica, ma può avere gli impieghi più diversi. La comunicazione visiva spazia dall’applicazione stradale a quella pubblicitaria stampata, a quella televisiva, alla rete Internet. Quindi i fonts non si prestano più alla creazione di alfabeti, ma a un utilizzo specifico, come le parole necessarie a un titolo di una sigla televisiva.
Proviamo a definire il lettering e le sue diverse interpretazioni. Oggi, se parliamo di scrittura grafica, pensiamo alla calligrafia o al type design, cioè l’arte della scrittura e della progettazione delle forme delle lettere. La calligrafia è l’arte della scrittura manuale, un complesso equilibrio tra segno e disegno, significato e significante. Il progettista di caratteri si è confrontato, soprattutto negli ultimi secoli, con i processi di stampa tipografica, dove tecnica e cultura si sono intrecciate in un continuo e proficuo confronto. Oggi, nella sua forma digitale, il carattere ha ampliato i confini delle applicazioni e della sua presenza nella nostra vita quotidiana, divenendo oggetto di continue sperimentazioni in ambito progettuale grazie anche ad una maggiore diffusione degli strumenti informatici.
Scrittura grafica: il fumetto
Un altro ambito che abbraccia la scrittura grafica è il fumetto. Nel fumetto c’è una fase della lavorazione in cui vanno disposti i balloons, le didascalie e la scrittura grafica dei testi contenuti in essi, oltre al disegno dei suoni chiamati onomatopee. Questa fase si chiama lettering e spetta al letterista. Il ruolo di questa figura prevede spesso la progettazione e la scrittura calligrafica di uno o più caratteri, per cui anche il letterista di fumetto può essere definito un type designer e, se lavora manualmente, anche un calligrafo. Il type designer, attento al buon risultato finale, si è sempre confrontato con le richieste della tipografia. Richieste non solo di carattere tecnico, come la quantità dei caratteri a pagina, ma anche di resa di stampa, di peso visivo del carattere, di leggibilità e altre caratteristiche di rapporti tra i segni all’interno della pagina. Questo nonostante la presenza di una forte tradizione storica di disegnatori che fanno riferimento al mondo delle tipografie, con esempi illustri come Raffaele Bertieri o la fonderia Nebiolo che annoverava personaggi come Alessandro Butti e soprattutto il più noto Aldo Novarese, con una ricchissima produzione di caratteri. La tendenza che si conferma sembra essere sempre di più quella del grafico che teorizza la prevalenza dei segni distintivi della produzione editoriale, come copertine, sopraccoperte, elementi caratterizzanti delle collane, quella che cioè chiamiamo la grafica editoriale. Con calligrafia, invece, intendiamo la scrittura a mano. Per mezzo della calligrafia si assiste ad un ritorno allo studio del disegno della scrittura.
Il lettering nel fumetto è il posizionamento e il disegno delle nuvolette e delle didascalie che contengono i testi, la scrittura dei dialoghi, dei pensieri, dei suoni, dei rumori in tutte le loro possibili variazioni all’interno della storia narrata. Nel lettering vengono identificati tre distinti momenti:
1. trovare la posizione corretta dei balloons all’interno delle vignette e delle altre aree che racchiudono il testo (per esempio box, il più delle volte di forma rettangolare), usati come didascalie descrittive o come luoghi alternativi per i dialoghi o pensieri, dotati di una specifica forma grafica e dimensione, corrispondente alla funzione linguistica che devono svolgere nella storia;
2. scrivere i dialoghi all’interno delle voci di cui sopra;
3. disegnare e posizionare visivamente le onomatopee (Bang!, Boom!, ecc.) che possono essere richieste dallo sceneggiatore.
La data di nascita di questo linguaggio coincide con la pubblicazione, nell’edizione domenicale, di una pagina illustrata da Richard Felton Outcault nel 1895 dal titolo iniziale di Hogan’s Alley, in cui successivamente farà la sua comparsa Yellow Kid, il famoso personaggio con il camicione giallo. In queste pagine, che all’inizio erano a vignetta unica, vediamo l’interazione tra il disegno e il testo “parlato”. I fumetti sfruttano due sistemi di comunicazione fondamentali, le parole e le immagini. Il potenziale espressivo del mezzo risiede nella capacità di fondere abilmente linguaggio verbale e iconico. Il lettering per il fumetto non è semplicemente la trasposizione di un dialogo parlato: è la rappresentazione di un dialogo disegnato, in cui la lettura visiva è il medium della sua enunciazione. L’intrinseca essenza del fumetto è quella di essere un mezzo “sordo” e “muto”, dove le parole e le onomatopee costituiscono la “colonna sonora” della storia. Il fumetto, grazie al lettering, è un mezzo audiovisivo e multisensoriale; incoraggia e guida i lettori ad immaginare l’espressione delle voci, dei suoni e dei rumori suggeriti dai testi nei balloons e dalle onomatopee grafiche.
Il fumetto è nato nel XX secolo. Uno degli esempi più apprezzabili di lettering è Pogo di Walt Kelly, disegnato dal 1954 fino alla morte dell’autore. Kelly era stato un disegnatore della Disney e i disegni dei suoi personaggi ricordano alcune rotondità di quel mondo. L’illustratore dedicò una grande cura al lettering di questa striscia quotidiana, successivamente raccolta in volumi e ancora oggi pubblicata con successo tra i classici del fumetto mondiale. Egli disegnò e utilizzò, all’interno della stessa storia, diversi caratteri al fine di rendere evidenti, anche attraverso il lettering, le personalità dei protagonisti. In Pogo abbiamo molti esempi di caratteri tipografici usati per esprimere determinati momenti o per meglio rappresentare i dialoghi tra i personaggi. Questo intervento grafico è l’esempio di come la tipografia classica venga utilizzata per il fumetto. L’effetto è anche quello di mostrare come la tipografia faccia parte del mondo della parola disegnata. Se guardiamo uno dei tanti balloons di Pogo ci accorgiamo di come Kelly abbia avuto una grande capacità di modulare il segno delle lettere, non solo utilizzando continui cambi di stile, grassetto, corsivo, grassetto in corsivo e testo tondo, ma anche usando variazioni del corpo delle lettere all’interno della stessa nuvoletta. Ne deriva un testo ricco di informazioni grafiche che contribuisce al disegno del dialogo e al senso estetico del fumetto nel suo complesso. Il lettering è molto leggibile e curato.
Una delle particolarità nelle storie di Pogo è l’abitudine da parte di Kelly di lasciare delle dediche ai fan nelle sue vignette. Così può capitare spesso d’imbattersi in barche con nomi di autentici ammiratori: un canale diretto di comunicazione tra l’autore e i suoi lettori. Tra i disegnatori che hanno dato maggior risalto al lettering c’è Andrea Pazienza, «che disegna con la punta morbida di un pennello o pennarello, giocando su bruschi cambiamenti di tonalità, e masse di bianco e di nero. Il lettering di Pazienza è una componente essenziale del suo disegno, praticamente inseparabile, composto di linee che sono esattamente le medesime linee, con i medesimi andamenti grafici, delle linee delle figure, e persino delle linee di contorno dei balloon».
In molte sue storie vediamo come il lettering sia un continuo alternarsi di toni grafici, passando dalle scritte larghe nere o bordate a un testo regolare e graficamente curato. Anche nei balloons più regolari ci sono evidenziazioni di parti del testo che sembrano dare un ritmo alla lettura. I punti esclamativi o interrogativi, a volte bordati o grossi e neri, contribuiscono a rendere più scorrevole il testo sempre abbondante in Andrea Pazienza. L’autore ci accompagna nella lettura scandendo i toni del dialogo.
In questa breve panoramica abbiamo potuto osservare come il lettering sia parte integrante del disegno del fumetto e di come sia errato dedicargli poco tempo nella fase di elaborazione di quel tipo di opere. Per molti autori il lettering non è un momento separato del disegno ma ne fa parte a pieno titolo.
Excursus sul fumetto giapponese: il manga
Nel fumetto giapponese, la disposizione delle vignette e la lettura della tavola è differente dal fumetto occidentale e il lettering e le onomatopee hanno un peso diverso. La lettura di un libro a fumetti procede in senso inverso alla nostra; si comincia da destra, la nostra ultima pagina, e si continua verso sinistra, la nostra prima pagina.
All’interno della pagina l’andamento è lo stesso, dalla vignetta in alto a destra fino a quella in basso a sinistra.
Nella società giapponese l’informazione viene trasmessa da una molteplicità di vettori, dei quali la parola è solo uno fra i tanti. Per un giapponese, “tutto è segno”: lo sguardo e la gestualità, caratterizzati in modo perfino infinitesimale, ma anche i rumori che accompagnano un’azione. Lo scoppiettio di un ceppo permette di percepire tutta l’atmosfera che avvolge una scena, laddove per l’occidentale “si vede solo del fuoco”: un semplice elemento scenico. La pioggia del manga può cadere in molti modi diversi, ai quali corrispondono altrettante onomatopee. Lo stesso silenzio ha una qualità significativa, alla quale la cultura giapponese è più sensibile della nostra: infatti nei manga esiste una precisa onomatopea che descrive proprio il silenzio – Shiin – mentre in Occidente, più prosaicamente, “non si sente nulla”. I giapponesi distinguono mille e un suono laddove noi non udiamo che un indifferenziato brusio. Ne è prova la scarsa varietà di onomatopee con le quali i traduttori occidentali cercano di rendere quelli che per loro sono dei veri e propri rompicapo: Gata gata (sedie che strisciano), Zawa zawa (folla scatenata o inquieta), Wai wai (folla felice e agitata) e Wara wara (folla che si riunisce), o ancora Ssu (una ciotola della cerimonia del tè sospinta sul tavolo verso colui che dovrà berne) o Gasa-gasa (un personaggio che rovista nella sua borsa)… Messi alle strette, incapaci di “dare a intendere” azioni fornite di adeguate onomatopee in italiano, inglese, francese, tedesco o spagnolo, i traduttori europei e americani, forse anche per scarsa fantasia, spesso le descrivono usando verbi al posto di suoni astratti veri e propri. Di qui la propensione dei mangaka a utilizzare espedienti grafici, invece che testuali, per trasmetterle. Per sortire quest’effetto, essi fanno uso di procedimenti dai principi universali. Ogni amante del fumetto conosce le icone simboliche che permettono di illustrare delle sensazioni: le scintille o le stelle che danzano intorno a un personaggio stordito (dalle botte o dall’alcol), o la lampadina che mostra che questi ha avuto un’idea “brillante”. Coadiuvati dalla cultura dei kanji (ossia gli ideogrammi di importazione cinese), i mangaka hanno inventato delle icone ancora più numerose e astratte. Alcune, come “la goccia della vergogna” sulla tempia o “il fulmine della percezione intuitiva” sullo sfondo di un personaggio dall’espressione arguta, o euforica, o comunque intensa, si decifrano istintivamente. Altre richiedono un po’ di familiarità, come la “croce della collera”, che mostra due vene a croce rigonfie sulla tempia del personaggio, a significare uno stato di rabbia, il solo sentimento che le norme sociali giapponesi vietano categoricamente di manifestare apertamente; o “il vento della solitudine”.
In Occidente, dove il soggetto individuale si vede al centro di tutto, la narrazione a fumetti fa del personaggio parlante il vettore fondamentale, se non unico, delle emozioni; nel manga, queste costellano l’intera situazione e i personaggi vi ci sono immersi. Nel sovraccaricare i fondali di fiori o nel disseminarli di torte o polpi, nel saturare le ambientazioni di linee cinetiche o di tensione o di fiamme di collera, è l’intera immagine che il mangaka mobilita allo scopo di esprimere, a scapito del realismo, l’emozione del momento e la tonalità generale della scena. Non è più la nuvoletta a dirci cosa pensare dei sentimenti dei personaggi: è il disegno nella sua interezza che ci parla.
La scarsa attenzione riservata ai letteristi – il cui nome viene inserito tra i tanti che compongono il colophon del fumetto – ha contribuito a svalutare questo momento del processo creativo. A parte alcuni nomi famosi del genere americano, come Todd Klein e Richard Starkings di Comicraft, o qualche autore che è noto per la cura e la particolarità del suo lettering, come Chris Ware e David Mazzucchelli, entrambi premiati con i “Best awards” al Comic-Con, il festival di fumetto di San Diego, proprio per il miglior lettering, gli altri letteristi passano inosservati, anzi tutto il loro lavoro risulta invisibile al lettore. Non è raro, anzi avviene sempre più spesso, che i tempi di lavorazione vengano continuamente ristretti, costringendo i letteristi a veri e propri tour de force per poter consegnare il lavoro in tempo per la stampa, con pesanti conseguenze sul risultato finale.
Altra causa centrale della malagestione della produzione fumettistica è l’accentramento di più ruoli sulla stessa persona: traduttori che fanno anche gli editor o i curatori dell’albo a fumetti o, addirittura, correttori che sono gli stessi traduttori. Tale atteggiamento mortifica questi ruoli che sono fondamentali per la buona riuscita dell’opera. Il supervisore, l’editor, il traduttore, il letterista, il correttore di bozze e il grafico sono tutti ruoli diversi e importanti che affiancano il lavoro degli artisti che hanno realizzato l’opera a fumetti: sceneggiatore e disegnatore.
Un elemento fondamentale di trasformazione del lettering è il passaggio dal processo manuale a quello digitale che si è verificato gradualmente nei primi anni Novanta. In seguito si è diffusa la possibilità di gestire con dei programmi il processo di digitalizzazione di caratteri disegnati a mano. Grazie allo scanner e a Fontographer i letteristi hanno avuto l’opportunità di scansionare le lettere da utilizzare per creare il proprio font digitale. Il lettering digitale ha trasformato notevolmente il lavoro del letterista.
Il lettering: l’arte della calligrafia nel fumetto
Le due modalità per la realizzazione del lettering sono quella manuale e quella digitale. Queste rappresentano due tecniche differenti di lavoro. Entrambe vanno adoperate con cura sfruttando al massimo le possibilità che offrono; in molti casi, hanno bisogno l’una dell’altra.
La prima regola da seguire consiste nell’immaginare quale tipo di carattere deve essere usato per il fumetto per il quale vogliamo realizzare il lettering. È fondamentale avere uno sguardo d’insieme dell’opera e valutare diversi fattori:
1. il segno grafico dei disegni;
2. i personaggi della storia;
3. le diverse caratterizzazioni del testo (dialoghi, didascalie, scritte, onomatopee e altro);
4. i balloons, le didascalie, ecc.
La modulazione del segno dei caratteri disegnati manualmente ha una grande importanza nella valorizzazione del segno grafico del lettering.
Ciò che dobbiamo fare per cominciare a disegnare il nostro lettering, è stabilire la tipologia del carattere, ossia le caratteristiche grafiche che tengano conto degli elementi segnalati sopra.
Fino a prima del 1993, il lettering per fumetti veniva realizzato totalmente a mano. Solitamente erano gli stessi autori dei disegni a inserire il testo delle proprie storie nelle nuvolette. Questo, almeno, avveniva nei fumetti più autoriali, mentre nei fumetti seriali da edicola esisteva già il ruolo del letterista. A volte erano dei disegnatori di fumetto che per arrotondare lo stipendio realizzavano il lettering delle storie dei loro colleghi più impegnati o più in ritardo.
Nei primi anni Novanta inizia ad affermarsi, negli Usa e in Inghilterra, l’uso del pc per il lettering. Grazie a un’impostazione rivolta fortemente alla grafica, con i computer Macintosh della Apple vennero fuori i primi tentativi di scrittura dei testi per fumetti su pc.
La prima metodologia sviluppata si basava sulla stampa del lettering digitale su carta o pellicola che successivamente veniva montata sulla tavola del fumetto. In questo modo vi era sempre una parte di lavoro manuale da realizzare. La possibilità di acquisire digitalmente alfabeti già esistenti e precedentemente utilizzati per i fumetti ha contribuito alla diffusione di questo sistema. Il lettering digitale può essere effettuato utilizzando diversi programmi: QuarkXpress o InDesign per l’impaginazione e il lettering, Illustrator per i titoli, le onomatopee e i balloons. Per la creazione dei fonts digitali ci sono diversi programmi e il più completo è FontLab Studio.
Il lettering digitale ha avuto un profondo impatto su tutto il mondo dell’editoria a fumetti. La realizzazione del lettering per i fumetti è passata dai bravi calligrafi di una volta a dei bravi computer grafici che con molta probabilità non avevano mai disegnato un carattere a mano in vita loro.
Tornando alle diverse metodologie, quindi ai diversi risultati tra lettering digitale e manuale, possiamo dire che la sostanziale differenza era quella di ottenere, nel caso del lettering digitale, una parvenza di lavorazione artigianale in un processo totalmente computerizzato, impoverendo in parte la ricchezza grafica tipica del lettering manuale. L’elemento più appariscente di contrasto tra i due procedimenti è la ripetitività del disegno delle lettere, dal momento che, rispetto al lettering manuale, nel procedimento digitale il disegno non ha varianti per ogni lettera. D’altra parte la lavorazione manuale mal si sposava, e oggi ancor di più, con le tempistiche dei nuovi processi della stampa editoriale.
L’obiettivo di un moderno letterista, adesso, è quello di mantenere viva la qualità artigianale utilizzando i moderni sistemi digitali che permettono maggiore intervento sui risultati finali. Il punto di partenza comune a entrambe le procedure rimane il disegno del carattere da utilizzare, e questo processo deve essere reso graficamente coerente con il disegno del fumetto stesso. Una volta che il carattere è stato disegnato si valuterà come procedere, o meglio, si procederà secondo le varie competenze. Infatti, i letteristi si dividono in due categorie: i grafici che usano il pc e i calligrafi che usano pennino e inchiostro.
Uno degli elementi che può contribuire alla buona riuscita di un lettering digitale è determinato dalla possibilità di variare anche la spaziatura tra le lettere a seconda dell’esigenza. Diventa utile stabilire, con leggere e impercettibili variazioni di grandezza, le lettere o gli spazi tra esse, al fine di determinare l’andamento del testo e la relativa sillabazione. Quest’ultima può essere variata anche nel lettering digitale, sebbene risulti un procedimento usato più con parsimonia e necessità legate più alle tempistiche che all’assoluta naturalezza, come avviene nella scrittura manuale.
Di contro, il lettering manuale ha diverse problematiche che fanno sì che venga usato sempre meno e solo per lavorazioni che si vogliono rendere molto particolari. Quando si decide di procedere con la scrittura manuale bisogna aver stabilito per bene tutto, perché è impensabile ritrovarsi a metà dell’opera e accorgersi di dover adoperare un carattere diverso per un determinato personaggio o di dover caratterizzare graficamente da capo i balloons dell’intera storia. Il testo elaborato dallo sceneggiatore deve aver già superato la fase di correzione di bozza prima di passare al letterista, in quanto intervenire per apportare delle correzioni implica, a volte, il dover riscrivere l’intera nuvoletta.
Il lavoro del letterista manuale deve procedere mantenendo uno stesso stile grafico per tutta l’opera e non può risentire di cambiamenti legati alla fretta o alla stanchezza. Per questo bisogna programmare bene i tempi di lavorazione che non possono essere troppo compressi. La qualità finale risentirebbe di una lavorazione approssimativa e frettolosa. Soprattutto per questo motivo la scrittura manuale ha ceduto il passo ad una più veloce lavorazione digitale.
Ciò che abbiamo considerato un vantaggio o uno svantaggio nel lettering manuale diviene l’esatto opposto in quello digitale: la valorizzazione estetica nella differenziazione delle lettere per quello manuale, l’omogeneità in quello digitale, rappresentano una dicotomia che sta per essere superata dalla nascita di nuovi caratteri che prevedono l’uso di varianti di lettere, nonché la maggiore facilità di adattamento della lavorazione del lettering digitale a fronte di una difficoltà d’intervento in corso d’opera e in presenza di una compressione dei tempi di lavorazione per il lettering manuale. Con le nuove tempistiche di produzione sempre più stringenti, la lavorazione digitale ha permesso una maggiore ottimizzazione del rapporto qualità-tempo, nonché la possibilità di fare parecchi interventi, soprattutto per la parte più grafica degli adattamenti e dei titoli. Grazie a programmi come Illustrator o Photoshop, o ancora InDesign, è divenuto molto semplice creare dei disegni particolari e riprodurre degli stili grazie all’uso delle librerie, un sistema di archiviazione di stili di disegno. Il lettering manuale permette all’autore di modificare e caratterizzare le lettere in modo rapido a seconda delle esigenze del momento rappresentate dallo spazio e dal significato del testo stesso. Nel lettering digitale, solitamente il testo non viene letto dal letterista perché già scritto, quindi non vi è una sua partecipazione attiva, bensì meccanica. Questo fa sì che il letterista tenda ad uniformare tutto il testo, a meno che non vi siano delle note dello sceneggiatore o vi sia un fumetto scritto in un’altra lingua come modello. In ogni caso l’esigenza di ridurre i tempi determina una minore partecipazione del letterista digitale alla buona riuscita del lavoro.
Anche con il lettering digitale si possono comunque raggiungere degli ottimi risultati. Anzi, con la tecnologia a disposizione e il tempo necessario, è possibile ottenere un risultato molto curato e dal sapore artigianale.
Un altro aspetto importante è quello delle metonimie, cioè quei simboli grafici come il punto esclamativo, il punto interrogativo, la sega che taglia il tronco, le stelle, i cuoricini, la lampadina o la sequenza di tre-quattro simboli come il teschio, la spirale, il segno del dollaro e del cancelletto che rappresentano le condizioni fisiche o emotive del personaggio. Vengono disegnati all’interno dei balloons, a volte anche fuori, e rimandano a un concetto o a uno stato d’animo come la sorpresa, il vedere le stelle per lo stordimento, l’avere un’idea, il provare amore, una rabbia indicibile o un sonno disturbato.
Quando parliamo di lettering non bisogna considerare solo il testo dei fumetti, ma anche altre componenti grafiche che partecipano attivamente all’opera. Si tratta delle nuvolette o balloons, delle didascalie, delle onomatopee, dei titoli e dei credits.
Se prendiamo come esempio la prima pagina di una storia della Marvel, vediamo come tutti gli elementi citati siano presenti e partecipino a creare una sorta di preparazione alla storia che seguirà. Per fare il paragone con il cinema possiamo pensare ai titoli iniziali di un film sovrapposti alle prime scene.
Dopo avere stabilito il carattere, o i caratteri, da utilizzare per il fumetto, è necessario stabilire la grafica dei balloons. Questi ultimi possono avere svariate forme e stili grafici, diversificati a seconda del personaggio che sta parlando o usati per indicare al lettore diverse qualità di dialogo, per esempio un sussurro, un pensiero, una voce proveniente da una radio, un televisore, un computer, un urlo di paura o di rabbia. Dopo aver scritto il testo sulla tavola, o comunque avere individuato l’area dove andrà posizionato, bisognerà disegnare lo spazio che andrà ad occupare il balloon.
Uno degli errori più classici, per chi è alle prime armi nel disegno dei fumetti, è quello di non prevedere lo spazio per i balloons, creando la spiacevole ma necessaria condizione di dover coprire alcune parti del disegno alle quali era stato dedicato tempo e cura. Per questa ragione è quindi importante, quando si disegna, individuare uno spazio ampio.
Le didascalie, dette anche filatteri, sono solitamente dei riquadri rettangolari dove vengono inseriti dei testi che servono da raccordo tra le vignette. A volte aiutano a comprendere meglio la situazione, altre danno indicazioni temporali. Ci sono dei casi in cui svolgono la funzione di voce narrante fuori campo o di rappresentazione di un diario scritto. Tutto ciò che non è dialogo parlato viene inserito in una didascalia. Abbiamo quattro differenti categorie di didascalia. La prima è quella che indica luogo o tempo in cui si svolgono le azioni. La seconda contiene la voce narrante del protagonista della storia: questo tipo di didascalia interagisce con i dialoghi e aiuta a comprendere meglio il pensiero del personaggio. Del terzo tipo fanno parte quelle che presentano un narratore esterno, un osservatore o qualcuno che racconta: a questa didascalia appartengono i diari. Al quarto tipo appartengono quelle didascalie che rappresentano simultaneamente più contenuti, sia pensieri dei protagonisti che informazioni relative alla storia. Un suggerimento che può rivelarsi utile è quello di evitare un eccessivo uso di didascalie, perché rompono il ritmo dell’azione e affaticano la lettura. Come per tutte le regole di buon senso, però, ci sono sempre le eccezioni.
Spesso, per differenziare ancora di più la funzione della didascalia, si usa un font diverso da quello usato per i dialoghi. In molti fumetti viene usato un carattere da stampa tipografico e non uno disegnato manualmente, proprio per accentuare il ruolo della didascalia.
Le onomatopee nel fumetto prendono vita nel disegno che contribuisce alla definizione del significato. I rumori, i suoni, vengono rappresentati sotto forma scritta con una forte caratterizzazione grafica, che non viene racchiusa in un balloon ma si sovrappone e si lega al disegno, diventandone parte. La rappresentazione grafica del suono deve essere coerente con il rumore cui fa riferimento.
Le onomatopee, nel fumetto italiano, hanno subito l’influenza del fumetto anglofono. Non mancano, però, esempi di onomatopee italiane. Anzi, ci sono autori la cui opera è caratterizzata da un uso massiccio del “suono disegnato”. Se guardiamo l’opera di Jacovitti, ci rendiamo conto della grande rilevanza che le onomatopee hanno avuto per la narrazione delle sue storie. Per Jacovitti le onomatopee sono un intercalare – fatto di battute e controbattute – al percorso narrativo creato dal dialogo e dal disegno. Le sue onomatopee sono parole che appartengono ad un modello linguistico del popolare italiano, creando i presupposti per la battuta comica che spesso s’inserisce in un contesto narrativo drammatico e contemporaneamente surreale. In Cocco Bill i cattivi ricevono una gran quantità di proiettili e bastonate per poi finire accoppati.
L’onomatopea è la perfetta colonna sonora che accompagna questo mondo dell’assurdo jacovittiano, così estremo da divenire comico: Bang! diventa Pum!, Banghete!, un calcio fa Calcete!, un pugno fa Pummete! o Pugno!, mentre una freccia può fare Zànghete! e una pistola estratta con gran velocità fa Slonf.
Il manuale di Ficarra aiuta ad affrontare i tanti aspetti che fanno la differenza tra un lettering amatoriale e uno professionale. Il testo vuole rispondere alle incertezze dei disegnatori di fumetto che si accingono ad affrontare questa fase del proprio lavoro con scarsa conoscenza degli strumenti adeguati, privi, spesso, delle principali informazioni utili per un controllo del risultato finale dell’opera pubblicata.
L’opera introduce, in particolare, alla conoscenza di alcune fasi del processo grafico e di stampa, delle diverse caratteristiche dei fonts, della differenza di qualità nel salvataggio dei diversi formati dei file, delle immagini al vivo, della quadricromia, dell’effetto moiré, del pdf per la stampa e di tante altre informazioni necessarie per portare a buon fine il lavoro.
Anna Del Monaco
(direfarescrivere, anno X, n. 107, novembre 2014) |