Il preambolo dell’autrice nell’Introduzione sottolinea che «l’economia del libro è oggi fortemente condizionata da una serie di innovazioni, in parte proposte dagli attori della filiera, in parte conseguenti all’ingresso di alcune aziende operanti in ambiti competitivi diversi». In uno specchietto cronologico che va da 1983 al 2010, scandisce, quindi, gli snodi fondamentali di questa evoluzione: dalla nascita degli Internet service provider a Photoshop, dalla multimedialità digitale alla vendita on line di libri, dai primi motori di ricerca al print on demand, dall’indicizzazione massiva a Wikipedia, da iTunes a iPod, dai social network a YouTube. Per cui, puntualizza Dubini: «i ruoli chiave della filiera sono sempre gli stessi, ma gli attori che giocano quei ruoli, i loro confini, la loro capacità di governare le sorti della filiera, di contribuire a costruire valore e di appropriarsene sono cambiati in tempi molto rapidi». La domanda essenziale a cui tenta di fornire una risposta Paola Dubini, autrice di Voltare pagina? Le trasformazioni del libro e dell’editoria (Pearson, pp. 220, € 16,00) è la seguente: che cos’è il libro e che cosa può diventare? Docente alla “Bocconi” e direttrice del Corso di laurea in Economia per le Arti, la Cultura e la Comunicazione del Centro di ricerca Ask, Dubini conduce la sua indagine attraverso strumenti particolarmente efficaci.
Il percorso del libro nella giungla del mercato
Partendo dalla definizione del libro come «bene culturale riproducibile su scala industriale», l’autrice ne analizza una delle caratteristiche più interessanti: la non escludibilità. Nel senso che la lettura di un libro da parte di una persona non esclude il suo consumo da parte di altre persone. Enormemente comune, in tale contesto, è la diffusione compulsiva e quasi cannibalesca di prodotti me too poi clonati e scimmiottati in tutte le salse.
Un’altra constatazione assai incisiva di Dubini mette a nudo una clamorosa contraddizione: ad una produzione ipertrofica (in Italia si supera attualmente il mezzo milione di titoli in commercio all’anno) «non corrisponde un’altrettanta intensa attività di lettura». Ne consegue «la polarizzazione fra pochissimi titoli letti da un numero straordinariamente alto di lettori e moltissimi titoli letti da gruppi anche molto piccoli di persone». Finalmente leggiamo in un saggio che si occupa di editoria la denuncia forte e chiara di un aberrante fenomeno degenerativo come la concentrazione del consumo di libri nelle mani di pochi privilegiati, veri e propri pifferai magici seguiti supinamente da una massa amorfa e quasi catalessica di lettori frettolosi e distratti! I dati numerici sono agghiaccianti: una quarantina di titoli viaggiano oltre le centomila copie vendute, una cinquantina fra le cinquantamila e le centomila, poco più di un migliaio fra le diecimila e le cinquantamila, oltre duecentomila si trovano sotto la soglia delle diecimila copie. Una piramide oligarchica degna dell’Egitto dei faraoni e non della civiltà del Terzo Millennio.
Infine, un altro aspetto sul quale si sofferma Dubini, ricavandone un quadro desolante dell’editoria italiana, è quello della domanda di libri: solo 4 milioni di italiani dichiarano di leggere più di 12 libri all’anno. Osserva l’autrice che «il tempo investito nel libro è più legato alla forza coinvolgente di una particolare opera o alla pressione sociale dei pari a leggere e commentare uno specifico titolo che non all’abitudine di leggere; di conseguenza le letture prevalenti sono costituite dai best seller».
Una visione nuova degli orizzonti editoriali
Nella seconda parte del volume, Dubini si propone di analizzare il rapporto fra filiera tradizionale e digitalizzazione, allo scopo di tracciare i confini di un nuovo contesto competitivo. Si tratta di un’indagine fortemente complessa, che sarebbe impossibile sintetizzare nello spazio angusto di una recensione. Ma ci preme metterne in risalto i passaggi più significativi.
Un processo cruciale è la cosiddetta (e, per certi aspetti, famigerata) “smaterializzazione” del libro: al prodotto cartaceo subentra quello digitale (ebook, app). «All’ampliarsi della configurazione del sistema prodotto», nota Dubini, «si riduce la capacità della filiera editoriale libraria di governare l’evoluzione del settore. Come è avvenuto con l’innovazione di Gutenberg, l’innovazione tecnologica riduce lo spettro di attività tradizionalmente affidate agli editori, che dipendono in buona parte dall’evoluzione della base installata dei diversi device, in parte dall’emergere di standard […] e in parte dalle strategie di intermediari digitali di varia natura». In altri termini, il rischio che si corre è questo: che i nuovi soggetti egemoni nel mondo dell’editoria siano personaggi che, in vita loro, non hanno mai sfogliato un libro cartaceo. Ma che in compenso possiedono la padronanza delle tecnologie: uno scenario che avrebbe messo i brividi al George Orwell di 1984. Forse non è casuale che la cronologia di Dubini parta più o meno da quell’annata…
Altro aspetto su cui Dubini indaga a fondo è la redistribuzione del libro: una volta digitalizzato e quindi smaterializzato, il testo necessita comunque di essere conosciuto dal potenziale acquirente. Qui entrano in gioco i cosiddetti “aggregatori”: i database, i motori di ricerca, i portali, i siti, i social media. In questo ambito spadroneggia la triade formata da Amazon, Apple e Google. «Così come un libro mal collocato sullo scaffale di una biblioteca o di una libreria difficilmente sarà ritrovato e quindi utilizzato, allo stesso modo un testo non adeguatamente indicizzato non sarà visibile in rete qualora sia ricercato a partire da un motore di ricerca».
In conclusione, Dubini osserva che «è tecnicamente possibile raccogliere e sistematizzare non solo i comportamenti del lettore attorno al testo, ma anche nel testo: non solo quali titoli acquista, ma anche quando li legge, per quanto tempo, soffermandosi su quali aspetti, guardando quali riferimenti bibliografici. Come cittadini, questo aspetto può farci orrore, poiché rappresenta in alcuni casi una pesante intrusione nella nostra privacy; da questo punto di vista il libro di carta dà indubbiamente maggiori garanzie». Aggiungiamo noi: il ruolo di lettori “pilotati” da aggregatori senza volto, francamente, non ci attira molto.
Guglielmo Colombero
(direfarescrivere, anno X, n. 101, maggio 2014)
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