In questi ultimi anni sta emergendo una nuova via per gli autori. Molti di loro, infatti, decidono di pubblicare un libro per conto proprio e lo fanno immaginando di curare e tutelare la propria opera; questa viene, dai più, considerata un’operazione conveniente – certamente facile – o, piuttosto, una valida alternativa al normale e tradizionale iter di pubblicazione. Spinti da un desiderio di autonomia, dunque, gli scrittori si barcamenano nelle dinamiche, decisamente non opportune – e talvolta deludenti, o addirittura controproducenti – della pubblicazione “fai da te”.
Le molte falle del self-publishing
Se mettiamo a fuoco gli obiettivi cui aspirano gli autori, è facile rendersi conto di come sia effettivamente sconveniente il self-publishing.
Innanzitutto basti riflettere su un primo punto fondamentale, ovvero sul fatto che il principale obiettivo di uno scrittore sia indubbiamente quello di farsi conoscere presso il mondo editoriale e dalla critica letteraria nazionale. Dunque, se il libro è pubblicato da una buona casa editrice, acquisisce, già in partenza, un certo prestigio (maggiore o minore in relazione al prestigio che ha l’editore medesimo).
La riflessione inerente all’autorevolezza dell’editore porta essenzialmente a un’altra conclusione: all’interno del mare magnum delle pubblicazioni, dinnanzi al “dilettantismo” emergente, dove chiunque può rendere disponibile la propria opera – e dove, dunque, l’offerta è sterminata – l’editore funziona da marchio di garanzia, da filtro qualitativo, che permette di discernere il “bene” dal “male” dell’offerta letteraria. I giudizi critici e autorevoli espressi da professionisti del settore si rivelano evidentemente degli utili indicatori e, in quest’ottica, la figura dell’editore si disegna, innanzitutto, attorno a questa prospettiva.
Se, diversamente, il libro è autopubblicato, si corre, quindi, il rischio di offrire un’immagine di sé facilmente fraintendibile: “un autore è stato costretto ad autopubblicarsi, poiché rifiutato da case editrici”, alle quali, probabilmente, il romanzo è apparso editorialmente mediocre o non appetibile.
In aggiunta, non è da trascurare un altro aspetto fondamentale, ovvero le difficoltà di scrittura da parte dell’autore durante la fase di stesura del proprio testo; come è noto, l’autore, seppur attentissimo, non è il miglior correttore di se stesso e trova spesso notevoli difficoltà nel correggere in autonomia il proprio lavoro.
Se un libro è pubblicato da un buon editore, il dattiloscritto viene dapprima letto e (eventualmente) corretto dagli errori tecnico-editoriali dagli editor della casa editrice – salvo che il testo, come spesso accade, non sia già passato da un’agenzia letteraria. Può essere anche (eventualmente) affinato nello stile e, talvolta, anche nel contenuto; viene, insomma, rivisto e ottimizzato (il tutto, sia chiaro, non come atto d’imperio ma tramite un fattivo interscambio di opinioni).
Se, invece, un libro viene autopubblicato, queste eventualità non si possono sfruttare: il libro rimarrà con gli errori e le imprecisioni stilistico-contenutistiche che qualsiasi autore, non assistito da un editor di una casa editrice o di un’agenzia letteraria, commette suo malgrado.
Attenzione anche alla visibilità e ai guadagni
Se si pensa al proprio libro come fonte d’introiti e, dunque, alla vendita, c’è anche da riflettere sul fatto che, se un testo è pubblicato da un buon editore ha, già in partenza, la possibilità di una certa distribuzione in libreria (maggiore o minore in relazione alla catena distributiva dell’editore), arrivando sicuramente ad ottenere una certa visibilità.
Se è autopubblicato, perché non si ha modo di prendere i contatti con le librerie o, semplicemente, perché ci si “vergogna” di promuoversi da soli, il libro sarà solo acquistato da amici e parenti e, magari, presso un libraio amico – commettendo illeciti fiscali e civilistici – dopo averlo adeguatamente “pregato”. Naturalmente si otterranno scarsissimi risultati nella promozione del proprio lavoro e – nella stessa ottica di visibilità – altrettanto poco soddisfacenti risultati se si considera anche la mancata partecipazione alle fiere del libro di Torino, di Roma, di Pisa, di Bologna, ecc., occasioni fondamentali – e gli autori lo sanno bene – per farsi conoscere ed apprezzare.
Se pensiamo, inoltre, al fattore guadagno cui tende uno scrittore, c’è da dire che, se un libro è edito da un buon editore, ha possibilità – tramite i diritti d’autore – che ciò avvenga.
Se si sceglie l’autopubblicazione, aumentano invece le possibilità di perdita: il costo della tipografia lo si recupera ben difficilmente!
Non è infine da trascurare il fatto che i giornali, anche quelli più piccoli – com’è noto – ben difficilmente recensiscono libri autopubblicati (pensiamo alle scarsissime recensioni di testi provenienti da Lulu o Ilmiolibro), bensì rivolgono la loro attenzione verso libri editi da serie case editrici. A tal proposito, per quanto riguarda la vicenda de Ilmiolibro va anche sottolineato che questo si ammanta di rapporti con la Repubblica, con l’Espresso e con la Feltrinelli. Per chiarezza c’è da dire, riguardo alle due testate giornalistiche, che l’unico rapporto è rappresentato dal fatto che l’assetto proprietario è comune e, riguardo alla Feltrinelli, che questa tratta solo il circuito delle librerie (le quali, sostanzialmente a richiesta, si limitano a stampare i files Pdf). In entrambi i casi, quindi, nessun vero rapporto editoriale, solo un mero rapporto di business.
Per concludere, è davvero un peccato che testi interessanti vengano “penalizzati” attraverso la pubblicazione con un editore in realtà non tale – fattore che, indubbiamente, moltiplicherà al massimo gli effetti controproducenti fin qui evidenziati.
Salvo poi rendersi conto che non basta possederne l’aspetto per essere un’opera letteraria, perché dietro una meraviglia di parole c’è ben altro in termini di qualità e di offerta letteraria che solo una seria e valida casa editrice, specialmente se supportata da una valida agenzia letteraria, può riconoscere, e offrire.
Costanza Carzo
(direfarescrivere, anno VIII, n. 83, novembre 2012) |