Cosa succede a chi vuole raggiungere Tripoli e che cos’è il Trattato Italia-Libia
Il film Come un uomo sulla terra mostra la vera sorte dei migranti attraverso il deserto, tra arresti, prigionia, traffici e maltrattamenti
di Francesca Rinaldi
Il film-documentario Come un uomo sulla terra, benché vincitore di numerosi premi, non ha trovato alcun distributore e viene così proiettato in modo indipendente in tutte le associazioni o strutture simili che ne facciano apposita richiesta tramite il sito http://comeunuomosullaterra.blogspot.com.
Il film, prodotto da Asinitas onlus in collaborazione con Zalab, per la regia di Andrea Segre e Dagmawi Yimer in collaborazione con Riccardo Biadene, è il racconto autobiografico di Dagmawi che, oltre a narrare, intervista altri migranti che, come lui, hanno attraversato il Sudan per raggiungere Tripoli e infine l’Europa.
Il viaggio di Dagmawi, Mimi, Negga, Senait, Fikirte e Tighist non è soltanto un viaggio attraverso il deserto prima e il mare dopo, ma anche attraverso trattamenti disumani, un viaggio in cui vige la legge della violenza e della sopraffazione, soprattutto sulle donne.
I protagonisti raccontano della traversata del deserto del Sudan verso la Libia, in mano a spietati trafficanti di uomini e stipati in un solo pick-up anche in 40. Poi dell’arrivo a Bengasi e dell’immediata retata (evidentemente concordata con i trafficanti) da parte della polizia libica. Prima in un carcere e poi ammucchiati in un container (italiano) senza acqua né cibo per un giorno e mezzo di viaggio (là dentro al caldo e senza alcuna sosta) per essere trasferiti in un’altra prigione nel deserto libico al confine col Sudan: quella di Kufrah. E qui inizia la parte più difficile da raccontare, le condizioni di vita in quella prigione nel deserto sono disumane. Uno accanto all’altro con difficoltà anche soltanto per muoversi. A ciascuna persona viene dato un litro d’acqua al giorno per bere ma anche per lavarsi. I vestiti non esistono e la puzza è tale che i poliziotti entrano con un fazzoletto sulla bocca. Poi dopo mesi, arrivano alcune macchine della polizia libica (si dice regalate dal Governo italiano) e i prigionieri vengono fatti salire e venduti letteralmente per 30 dinari a trafficanti di esseri umani che chiedono loro altri soldi per continuare il viaggio verso Tripoli. Costoro “permettono” a ciascuno di telefonare ai propri parenti in Etiopia, Eritrea, Sudan, per farsi mandare 500 dollari e dopo essersi assicurati che ciò sia stato fatto, si riparte verso Tripoli, dove i migranti vengono lasciati al proprio destino. I più fortunati, dopo aver vissuto fortunosamente, riescono ad imbarcarsi, mentre gli altri vengono arrestati nuovamente (c’è chi racconta di essere stato arrestato e rivenduto per ben sette volte) e portati in prigioni nel deserto dove si ricomincia sempre con lo stesso trattamento.
La polizia e le prigioni libiche
La polizia e il Governo libico, dunque, sembrano non rispettare alcuna norma basilare dei diritti umani. I clandestini vengono reclusi senza alcuna garanzia e neppure identificati. La collusione tra la polizia e i trafficanti appare certa. I migranti raccontano anche di una visita di osservatori internazionali nel carcere di Kufrah, ma in Europa nessuno si preoccupa davvero di pensare al trattamento nelle prigioni libiche. Anzi, tra le nazioni europee e il Governo libico vengono firmati e ratificati tranquillamente accordi.
La consulenza giornalistica del film Come un uomo sulla terra è di Gabriele Del Grande, giornalista dell’agenzia Redattore sociale, autore del libro-inchiesta Mamadou va a morire. La strage dei clandestini nel Mediterraneo (recensito sulla nostra rivista Bottega Scriptamanent nel febbraio 2008, vedi il link www.bottegascriptamanent.it/?modulo=Articolo&id=159).
Tale libro, edito in Italia da Infinito, ha già avuto una ristampa e adesso è alla seconda edizione aggiornata, ma non solo: è stato pubblicato in Spagna dalla casa editrice Oriente y Mediterraneo e in Germania da Von Loeper Literaturverlag (chi scrive ha assistito personalmente a luglio in Brema ad una presentazione).
Del Grande spiega che l’Unione Europea, e nella fattispecie i paesi direttamente interessati agli sbarchi come Spagna e Italia, tendono ad esternalizzare il controllo delle frontiere. In questo progetto giocano un ruolo di rilievo chiaramente i paesi del Maghreb (come Marocco, Algeria, Libia), che organizzano con l’aiuto (economico) dell’Europa metodi di espulsione e luoghi di detenzione.
Secondo documenti della stessa Unione Europea, Kufrah, assieme ad altre due, sarebbe una prigione finanziata direttamente dall’Italia (tra il 2003 e il 2005).
La Libia da settembre 2006 ad oggi avrebbe arrestato e deportato illegalmente (abbandonandoli, anche nel deserto, a spietati trafficanti di uomini) 12.000 stranieri irregolarmente residenti nel proprio territorio.
Il Trattato Italia-Libia
È stato ratificato da entrambe le Camere del Parlamento italiano, tra la fine di gennaio e i primi di febbraio 2009, il Trattato Italia-Libia, approvato da un’ampia e trasversale maggioranza.
A cosa serve questo trattato?
Il Trattato di amicizia, partenariato e cooperazione, firmato a Bengasi il 30 agosto 2008 da Berlusconi e Gheddafi, prevede un accordo tra l’Italia e la Libia. In sostanza l’Italia si impegna a versare alla Libia ben 5 miliardi di dollari in 20 anni e riceve in cambio la possibilità per le imprese italiane di partecipare alla costruzione di «progetti infrastrutturali base» nel paese africano e la lotta al traffico di clandestini.
Non solo. Come si legge nel Contenuto dell’accordo, il Trattato «regola un ampio spettro di rapporti con la Libia, ponendo fine al contenzioso derivante dall’epoca coloniale e mettendo le basi per nuove relazioni tra i due Paesi».
Il Trattato, dunque, è un avvenimento storico che riconosce i misfatti del colonialismo italiano e dell’avventura militare italiana in Africa.
L’occupazione militare della Libia, iniziata nell’Italia giolittiana del 1911 e continuata contro la guerriglia organizzata dalla resistenza di Omar al Mukhtar e conclusasi nel 1932 con la vittoria delle forze fasciste, ha visto, come documentato dallo storico Angelo Del Boca, l’uso di armi chimiche e la costruzione di campi di concentramento dove venne deportata la popolazione della Cirenaica per impedire che desse il proprio aiuto ai combattenti di al Mukhtar. Il leader della lotta di liberazione, noto come il “Leone del deserto”, fu impiccato dagli italiani del generale Rodolfo Graziani a Soluch nel 1931.
E se è vero che 5 miliardi in 20 anni non possono assolvere dalle responsabilità storiche, è anche vero che per la prima volta l’Italia si pronuncia contro il suo colonialismo. Allo stesso tempo, le ragioni contingenti di fermare a qualsiasi costo l’immigrazione in fuga dalla povertà del continente africano ricoprono un ruolo fondamentale.
Ma i metodi usati dal Governo libico per controllare i flussi migratori sono brutali, come attestato sia dal film-documentario Come un uomo sulla terra, che dal libro-inchiesta Mamadou va a morire. La strage dei clandestini nel Mediterraneo di Del Grande e tutto ciò avviene con l’aiuto economico italiano ed europeo.
Entrambe le opere, come si è detto, documentano i viaggi e i trattamenti disumani che i migranti devono subire per raggiungere le coste dell’Europa.
Nel Trattato balza agli occhi l’assoluta mancanza di misure concrete di rispetto e salvaguardia dei diritti umani fondamentali dei migranti e dei richiedenti asilo in Libia.
Le misure libiche contro i clandestini sono finanziate sia dallo stato italiano che dalla Comunità Europea.
Appello contro le deportazioni in Libia
Possiamo firmare e fare firmare l’appello rivolto al Parlamento italiano, Parlamento europeo, Commissione europea e Alto commissariato delle nazioni unite per i rifugiati (Unhcr - United nations high commissioner for refugees) per promuovere una commissione di inchiesta internazionale e indipendente sulle modalità di controllo dei flussi migratori in Libia in seguito agli accordi bilaterali con il Governo italiano; per fare aprire un’inchiesta che sia anche finalizzata a chiarire le responsabilità italiane dirette o indirette, al fine di bloccare eventuali rinnovi degli accordi bilaterali, riconducendo la collaborazione con la Libia ad un quadro europeo ed internazionale; per avviare una missione internazionale umanitaria in Libia tesa a verificare la condizione delle persone detenute nelle carceri e nei centri di detenzione per stranieri.
Per sapere come fare e saperne di più basta collegarsi al sito http://comeunuomosullaterra.blogspot.com/2008/09/petizione .