Anno XX, n. 223
settembre 2024
 
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I versi di Silvestro Prestifilippo, autore
e intellettuale ingiustamente dimenticato
Ristampate da Città del Sole in un agile volumetto le composizioni
poetiche dell’umanista messinese, poligrafo e regista da riscoprire
di Marco Gatto
La recente riproposizione delle poesie di Delirare il mare (Città del Sole, pp. 64, € 6,00), originariamente apparse nel 1969, ci offre la possibilità di ricordare il loro autore, una figura ingiustamente trascurata dalla cultura meridionale, Silvestro Prestifilippo. Scrittore di prose e di versi, giornalista versatile e impegnato, regista negli anni d’oro del neorealismo italiano: come molti degli intellettuali del Secondo dopoguerra, Prestifilippo è stato un poligrafo, ha sperimentato l’esigenza di sempre nuovi linguaggi per comprendere la realtà che lo circondava.
Raccogliamo alcune informazioni biografiche da una tesi di laurea compilata da Francesca Tortorella, che ha certamente il merito di essere un utile strumento per la conoscenza della sua attività intellettuale.
Nato a Messina nel 1921, Prestifilippo si è formato in quel di Genova, debuttando a soli diciassette anni come critico teatrale sulle pagine de “Il Grido d’Italia” e iniziando gli studi di Giurisprudenza, poi completati nella città natale. Il 1941 è l’anno dell’esordio narrativo, con il racconto Amore antico, pubblicato su “Il Brennero”, e la raccolta di prose Ricordi di Bohème, nonché la data che segna le sue prime riflessioni sullo stato della letteratura coeva. La fine della guerra lo spinge alla decisione di restare al Sud per continuare la sua attività giornalistica e di scrittore; sono gli anni dell’impegno politico: risiede a Reggio Calabria e ottiene la tessera del Partito socialista. Si chiude nel 1945, con la raccolta di racconti Storie d’amore, la prima fase narrativa, caratterizzata dall’utilizzo della prosa breve. Ben presto, difatti, approderà al romanzo e, successivamente, al cinema: una scelta, questa, dettata dal desiderio di raccontare più esplicitamente la realtà, al di là delle pretese di sintesi della narrazione concentrata, tipica del racconto. Il primo romanzo esce appunto nel 1945 e ha come titolo Il solitario. Di qui a due anni, Prestifilippo sceglie la strada del documentario con Appuntamento sullo stretto. Si trasferisce dunque a Roma, allora la patria della settima arte, e fa la conoscenza dei maggiori intellettuali del tempo, fra cui Corrado Alvaro, Massimo Bontempelli, Alberto Moravia, Orsino Orsini, Vittore Quèrel, Giancarlo Vigorelli ed altri. Del 1949 è il romanzo di maggior successo, E domani è lunedì, tradotto in tedesco; degli anni successivi le prove legate al lungometraggio: Terra senza tempo, classico esempio di neorealismo, e il repaciano Carne inquieta, seconda e ultima prova di Prestifilippo in questo genere. Gli anni Cinquanta segnano difatti un ritorno prepotente alla giovanile vocazione letteraria, cui si affianca l’interesse per la drammaturgia e per la saggistica (da ricordare la raccolta di interventi Incontri col Sud). Nel frattempo collabora nuovamente con “Il Mattino” come inviato al Mezzogiorno e pubblica un nuovo romanzo – riprendendo temi e personaggi delle precedenti prove, in particolare la figura di Stelio, suo alter ego e dannunziano “nome parlante” – dal titolo Tramonto di un personaggio, caratterizzato da una prosa esistenzialistica. Nel 1970 segue i moti di Reggio Calabria, collaborando a varie testate come “Il Messaggero”, “Il Secolo XIX” e il “Daily Mirror” di Londra. Approdato al saggio, genere che sente più affine alla sua attività giornalistica, nel 1974 scrive Mafia: quarta ondata, che lo porta all’attenzione del pubblico nazionale. Muore nel 1975, dopo anni di intensa attività giornalistica.

Un intellettuale novecentesco d’altri tempi
Di fronte a una quantità così stupefacente di scritti, nella più varia forma, stupisce senz’altro la versatilità dell’attività di Prestifilippo. Il ricordo va a una figura (o una nozione) di intellettuale ormai tramontata nella nostra cultura, almeno a partire dalla fine degli anni Settanta. Come molti degli ultimi umanisti del nostro paese, Prestifilippo non era mai pago della forma adottata per capire il mondo, e sperimentava per questo motivo nuovi linguaggi, nuovi modi di comprendere. Quando Pasolini decise di darsi all’attività cinematografica, sentenziò che il cinema riusciva, più di qualunque altro mezzo artistico, a offrire la realtà senza mediazioni, senza il filtro dell’Io borghese artistico. Intuiva, pertanto, lo scadere dell’attività letteraria a mero gioco narcisistico, preconizzando la nostra attuale situazione culturale. Inversamente, nel più generale clima del neorealismo italiano, Prestifilippo non sceglie il cinema come soluzione esclusiva, ma lo affianca alla letteratura e al giornalismo, senza disdegnare la razionalità del saggio e dell’intervento: concepisce, cioè, l’interrogazione dell’arte come mezzo privilegiato per comprendere il mondo; aderisce alla tentazione poligrafa di non ridurre ciò che si deve comprendere all’oggetto di una sola forma e di un solo mezzo, tanto varia e multiforme era quella realtà italiana (e soprattutto meridionale) da comprendere.
Ci occupiamo in questa sede, tuttavia, del Prestifilippo poeta. Delirare il mare, la raccolta cui si accennava in apertura, conferma i giudizi dei suoi lettori più attenti e si pone in modo paradossale e contraddittorio all’interno dell’intera produzione dello scrittore. Paradossale perché la poesia è la forma sintetica del conoscere per antonomasia; contraddittorio perché le poesie di Prestifilippo si abbeverano alla fonte del dannunzianesimo e del crepuscolarismo (più del secondo che del primo) e diventano una sorta di sede del “ritorno del rimosso”, come direbbero gli esperti di psicanalisi: in esse si esprime l’uomo in tutta la sua difficoltà esistenziale e la sua desolazione, fuori da qualunque tentazione realistica e oggettiva. Sperimentalista nelle forme e profondamente impegnato per un progresso civile e culturale, Prestifilippo, che tuttavia, in vita, non disdegnava la frequentazione delle avanguardie primonovecentesche, è poeticamente conservatore.

Tra dannunzianesimo e crepuscolarismo
Tuttavia, saremmo in torto se affermassimo, come molti hanno pensato, che i versi di Prestifilippo si nutrono solo e soltanto di D’Annunzio e di Gozzano (peraltro una sintesi fra questi due poeti è notoriamente impossibile). C’è nei versi del messinese, è vero, quel particolare rapporto che il poeta pescarese intratteneva con il paesaggio e per il quale si è parlato di panismo; ma è un rapporto del tutto problematico, di inconciliabilità, di scarto e di differenza: come se tutto ciò che è diverso dall’individuo appaia misterioso. Nelle poesie di Prestifilippo si legge la difficoltà di capire la realtà per trovarvi una ragione utile all’individuo. Si considerino le prime prove della raccolta o i versi finali di Inesorabilmente («Immobile la legge della fine / sfoglia e scatta le pagine / dall’alba alla notte / inesorabilmente»): la ciclicità della natura, quasi inconoscibile, trova la propria razionalità nell’inganno cui è sottoposto l’individuo, che attende invano la sua sorte e non può che osservare il «sottile / infinito morire» (Il sottile morire). Eppure, questo tono vagamente esistenzialistico viene talvolta confinato al margine, quando a irrompere è la Storia, la presenza dell’uomo che domina, anche con la violenza, la Natura, come in Praga, fra le poesie più belle della raccolta, in cui Prestifilippo si abbandona a un canto a denti stretti: «Scandisce parole di maledizione / la bocca amara di pietà remote / che pianse / la soffocazione degli eserciti / e attende / di poter finalmente / sorridere». A dominare il resto della raccolta, la morte e una velata fede religiosa, che contribuisce ad attenuare le immagini buie della fine o a sintetizzarle in simboli di pace.
La lezione di Prestifilippo sta, dunque, nella capacità di aderire a diversi modi, linguaggi, ritmi, non dimenticando l’oggetto privilegiato dell’arte: quella realtà che, per essere narrata, scritta, interpretata, deve a suo modo rientrare nelle cavità più nascoste della scrittura. È pleonastico dire che, nel guazzabuglio culturale dell’epoca che viviamo, non si può che guardare con nostalgia a quell’umanesimo che ha dato tanti frutti alle lettere e al cinema italiani e non solo. L’augurio è piuttosto quello che – con urgenza – le giovani generazioni leggano, nell’ottica dello scarto e della diversità, chi li ha preceduti e ha avuto modo di esprimersi in molteplici campi e con molteplici mezzi, senza ripiegarsi in vezzi stilistici o richiudersi in stanze insensibili ai suoni del mondo: la figura di Prestifilippo, che ancora deve essere adeguatamente studiata, può esserne un felice esempio. In tal senso, e gliene siamo grati, sta già agendo il figlio, Antonio Prestifilippo, un giornalista-scrittore che, peraltro, interpreta assai originalmente il suo ruolo di capo-servizio delle pagine culturali de “La Gazzetta del Sud”.

Marco Gatto

(direfarescrivere, anno IV, n. 33, settembre 2008)
 
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