Anno XX, n. 223
settembre 2024
 
In primo piano
Politica e governo, convivenza possibile
se a farne le “spese” sono i civil servant
Arte della diplomazia, chi rimedia in silenzio tra “le parti” in Italia.
Rubbettino, un libro ispirato ai servitori dello stato di casa nostra
di Marilena Rodi
Un mondo spesso ignorato dall’opinione pubblica è quello dei «civil servant», uomini di stato che, per ragioni particolarmente prestigiose, si sono distinti nella conduzione di trattative ed intercessioni interpartitiche e governative, mantenendo una vocazione pubblica e sovente al servizio del popolo. Sono coloro che silenziosamente hanno conservato (e in taluni casi continuano a conservare) il ruolo di servitori dello stato per dovere etico.
Nell’atmosfera gradevole e stimolante di Chi è Stato? Gli uomini che fanno funzionare l’Italia (Rubbettino, pp. 228, € 12,00), Luigi Tivelli porta il lettore alla scoperta di un mondo poco o per nulla conosciuto, proponendo un excursus nella politica e nell’amministrazione pubblica dell’Italia, tra mediazioni illustri ed accordi silenziosi.
L’autore fa ampio riferimento all’evoluzione storica della Repubblica italiana e ai personaggi che hanno attraversato i primi sessant’anni di Costituzione, cogliendo, nelle attitudini di ciascuna personalità proposta, peculiarità ed inclinazioni essenziali per l’avvicendamento dei fatti.
Nella sua vita, l’autore ha avuto modo di lavorare al fianco di eminenti notabili e di apprendere il modus operandi di ciascuno; il libro è il tentativo (equilibrato e obiettivo) di riconoscere ad ognuno un ruolo importante per la cronologia storica del nostro paese e rendere comune il loro prezioso contributo, proprio in virtù del ruolo di servitori dello stato.

Ma chi sono questi «civil servant»?
In ordine di apparizione nel testo, Antonio Maccanico, Lamberto Dini, Gaetano Gifuni, Andrea Monorchio, Antonio Catricalà, Corrado Calabrò, Carlo Mosca, Mauro Masi, Sergio Vento, Gianni Letta. Alcuni di questi nomi possono evocare eventi e situazioni diplomatiche di particolare rilievo, altri invece meno. L’obiettivo di Tivelli è dunque divulgare azioni e nomi, conservando quella naturale discrezione tipica dei personaggi stessi.
Tivelli, che ha studiato alla Scuola superiore di Pisa e il cui maestro di vita fu Guglielmo Negri, nell’introduzione racconta che durante gli anni della giovinezza è cresciuto con i «piccoli leader» Fini, Casini, Veltroni, D’Alema, Follini, Boselli (solo per citarne alcuni), e che pochi dei compagni di studi e degli antesignani movimenti giovanili dei vari partiti non hanno scelto la carriera politica come professione. Erano gli anni Settanta, i giovani erano solidali sui valori di fondo, e sentire comune era la lotta al terrorismo e all’inflazione, le «due bolle» più pericolose per la società italiana.
Le vicende internazionali, oltre che proprie dell’Italia, l’evoluzione e la diffusione di nuove culture, hanno via via contribuito a modificare il senso di stato, la percezione di governo e la formazione degli uomini che nei decenni si sono avvicendati nella conduzione dell’amministrazione della res publica. Tivelli, insieme agli interlocutori, argomenta questo cambiamento, denunciando spesso la mancanza di interesse e di coinvolgimento del popolo italiano, derivante per lo più dalla carenza di istruzione e preparazione che, ideologicamente, dovrebbe agevolare lo spirito critico e l’indipendenza di giudizio. Sottolinea: «Alla carenza del “senso dello Stato” ai vertici della piramide socio-politica, corrisponde una diffusa carenza di “senso civico” da parte di cittadini e degli operatori economici e una certa diffusione di “senso cinico”», ripensando anche ad un’indagine sociale recente, dalla quale emerge una connotazione collettiva del popolo italiano che si identifica «nell’arte dell’arrangiarsi». Cita anche il comico Beppe Grillo commentando e in parte condividendo la sensazione che in Italia non vi siano i «veri cittadini», sempre consapevoli dei propri diritti e doveri verso lo stato e la comunità.

Italia versus Europa
Crea dunque un parallelo con la formazione della classe dirigente dei paesi d’oltralpe, citando per esempio inglesi e francesi, educati agli affari pubblici nei grandi college, da Oxford a Cambridge, ad Eton, a l’École nationale d’administration (Ena), dai quali provengono quasi tutti gli uomini di stato. Sono uomini, questi ultimi, che indifferentemente possono diventare direttori generali o consiglieri di stato o della Corte dei conti, capi di Gabinetto, presidenti di imprese private e pubbliche, ministri, presidenti del Consiglio.
La “scuola” in Italia, si fa direttamente a capo delle istituzioni, con quel che può conseguire dalla formazione sul campo; errori di valutazione, scarsa propensione all’abilità diplomatica, esperimenti economico-finanziari, procedimenti legislativi carenti in procedure tecniche e conoscenza approfondita della legge, notevole influenza degli interessi particolari e via discorrendo. Gli uomini politici a capo delle istituzioni – ne deriva – hanno necessità di avere al loro fianco persone dedite al servizio dello stato che provvedano a colmare le vacatio, mosse da spirito di sacrificio e capacità mediatiche. Uomini, in sostanza, in grado di risolvere i problemi derivanti dalla gestione ordinaria e straordinaria dell’amministrazione pubblica. I «civil servant».
Partendo da queste considerazioni, Luigi Tivelli ha selezionato i protagonisti del libro, con la speranza, come lui stesso scrive, «che il lavoro contribuisca a sfatare un luogo comune che circola un po’ troppo in questo paese, su quella che sarebbe una generale inefficienza delle Istituzioni e delle Amministrazioni pubbliche». La scelta dei protagonisti, infatti, si è basata su un criterio di autorevolezza e competenza.

Gli uomini che fanno funzionare l’Italia
Probabilmente per reconditi anagrafici o per tradizione del passato, il tessuto sociale italiano è caratterizzato da una dialettica, per certi versi interessante, per altri avvilente, nella quale si contendono un primato surreale due fronti di modus pensandi ed operandi, che l’autore ha definito in questo modo: «PNF (partito nazionale dei “favori”) e PEDD (partito europeo dei diritti e dei doveri)». Anche il lettore meno audace riuscirà a comprendere che il primo è il movimento delle raccomandazioni e il secondo stenta a conquistare la maggioranza.
A fronte di tale situazione contingente nella quale versa il nostro “Belpaese”, ecco avanzare la fazione dei meritevoli e degli apartitici, coloro, cioè, che danno un senso civico alla loro funzione istituzionale e che dirimono le questioni di stato.
Il primo ad essere menzionato è Antonio Maccanico. Enrico Cuccia (deus ex machina del capitalismo finanziario del secondo dopoguerra) disse di lui che «era l’unico uomo in assoluto capace di mettere d’accordo anche due sedie vuote», qualificando la sua straordinaria capacità di mediazione.
Segue Lamberto Dini, al secolo “il tecnico”, il cui motto era il kennediano assunto «Quando il gioco si fa duro i duri cominciano a giocare!», che tra il gennaio 1995 e l’aprile 1996 guidava il governo tecnico con l’incarico di risanare le finanze dello stato.
Gaetano Gifuni è il protagonista del capitolo successivo, a cui Tivelli ha dedicato una Massima di Stato di Richelieu: «Bisogna ascoltare molto e parlare poco per governare bene uno Stato», arricchita dal resoconto somatico che segue, nel quale l’autore ricorda la prima volta che lo incontrò: «quegli occhiali appesi con una sola stanghetta all’orecchio sinistro che scendono obliqui davanti all’espressione del volto sono il suo imprinting mediatico».
Su Andrea Monorchio esordisce raccontando che «Già nel suo biberon c’era un “estratto di amministrazione pubblica” ». Nato a Reggio Calabria, l’infanzia e gli studi sono stati caratterizzati dal senso di programmazione che Monorchio ha saputo dare ai suoi intervalli: applicazione scolastica egregia alternata ad autonomia finanziaria dalla famiglia. A diciotto anni era già vincitore dei concorsi per l’accesso alla Ragioneria generale dello stato.
Evocando Montesquieu in L’Esprit des lois con «Le leggi inutili indeboliscono quelle necessarie», Tivelli introduce la personalità di Antonio Catricalà, attuale presidente dell’Antitrust. Di lui racconta il suo essere sempre il «primo della classe», quanto la straordinaria capacità di servire indifferentemente ministri tecnici del centro-sinistra e del centro-destra, quel suo essere trasversale, tipico dei «civil servant».
Quando, scorrendo le pagine del libro, si scorge il nome di Corrado Calabrò, inevitabilmente la mente evoca Rai e Telecom. Due degli scogli amministrativi in cui il protagonista si è imbattuto da presidente dell’Autorità delle comunicazioni. Calabrò ha anche navigato tra sedici ministeri, ma l’incarico che tuttavia ha rivestito con maggior orgoglio è quello di presidente del Tar del Lazio.
Carlo Mosca è l’emblema civile ed istituzionale di radicata convinzione al servizio dello stato. Ne è testimonianza il delicato «caso Speciale» del giugno 2007, quando rinunciò all’incarico di capo di Gabinetto a favore del chiacchierato De Gennaro, rimosso dalla carica di comandante della Guardia di finanza. Con il suo stile elegante ed istituzionale seppe farsi da parte rifiutando anche la possibilità di attingere al «risarcimento».
Con Mauro Masi le istituzioni avviano un processo di innovazione e ammodernamento rispetto alla comunicazione pubblica. Uomo di economia, nato come funzionario alla Banca d’Italia, evolve come portavoce e figura comunicativa a livelli prestigiosi e, con il suo imprinting, detterà regole nuove di trasparenza e comunicabilità dell’amministrazione pubblica verso l’esterno.
Il simbolo di politica estera italiana può raffigurarsi in Sergio Vento, ambasciatore presso le Nazioni unite a New York, che nel 1995 conseguì il record di essere consigliere diplomatico di ben quattro presidenti del Consiglio (Dini, Amato, Ciampi e Berlusconi). Con l’organizzazione della presentazione a Manhattan del libro Viaggio italiano di Luigi Tivelli e Andrea Monorchio (Mondadori, pp. 192, € 14,46) ha contribuito fortemente a svecchiare l’immagine “provinciale” della politica nostrana, assumendosi l’onere di organizzare, con l’Istituto italiano di cultura, il dibattito tra i due «civil servant» e la comunità italiana in loco.
Il libro si chiude con Gianni Letta, uomo nato e formatosi nel giornalismo nazionale, che senza dubbio ha favorito una visione diversa del “quinto potere” in Italia. Con le sue doti non comuni di mediatore e consigliere, è stato il vero «operaio» del governo del Polo, professionista riconosciuto ed apprezzato da entrambe le parti politiche.

Equilibrio ed armonia
Lo stile è equilibrato e mai evanescente; la dialettica rappresenta e stimola la capacità intuitiva del lettore in un succedersi di vicende intrecciate, l’ambientazione è revival-moderna e il linguaggio di immediata comprensione. L’autore e i protagonisti degli interventi rispettano la discrezione degli incarichi istituzionali, ma invogliano alla vivacità intellettiva e alla critica costruttiva.

Marilena Rodi

(direfarescrivere, anno IV, n. 30, giugno 2008)
 
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