Anno XX, n. 225
novembre 2024
 
In primo piano
Il processo di scrittura e la sua didattica,
tra studi accademici e laboratori creativi
Gestire le idee per potenziare la scrittura, una possibilità concreta
di insegnare a creare, in un percorso critico e analitico perspicace
di Sara Ricci
Un articolo scientifico e un racconto non sono altro che due esiti dello stesso processo creativo: la scrittura. Certo, a monte dei due testi ci sono retroscena, informazioni, dati, vincoli e necessità diversi: tuttavia, in entrambi i casi, ogni istanza si condensa in forma scritta, per offrirsi a sconosciuti lettori. Un processo quasi magico, sembrerebbe, che ad alcuni riesce e ad altri no.
Ma come Harry Potter ci dimostra, la magia si può imparare: e così i laboratori di scrittura accademici e i corsi di scrittura creativa [1] ci dimostrano che anche la scrittura si può imparare.
In che modo? Su cosa si basa la didattica della scrittura? Se, come abbiamo accennato, è vero che la scrittura si basa su un unico processo, a prescindere dal tipo di testo da produrre, anche il suo insegnamento ha una base unica? I corsi di scrittura creativa si basano sugli stessi processi su cui si basano i laboratori di scrittura accademici?
Iniziamo osservando come procede l’insegnamento della scrittura accademica e professionale. Alla sua base ci sono le analisi della scrittura compiute da John R. Hayes e Linda Flower e da Carl Bereiter e Marlene Scardamalia: vediamole brevemente nei loro punti salienti.

Il processo di scrittura
Flower e Hayes (1981) elaborarono un modello secondo il quale il processo di scrittura può dividersi in tre azioni: con la pianificazione, si raccolgono le idee e si decidono obiettivi e struttura del testo; attraverso la stesura si scrivono materialmente i pensieri in parole; grazie alla revisione si migliora l’efficacia del lavoro.
Questi tre atti, però, non sono svolti in rigida sequenza: sono piuttosto strategie di pensiero e azione impiegate in modo vario durante la scrittura. Riformulare un pensiero, rivedere un obiettivo, correggere una frase, scrivere, riscrivere, togliere, aggiungere sono operazioni ammesse in ogni momento, secondo decisioni e necessità di chi scrive. Pianificazione, stesura, revisione possono pertanto intervenire a ogni livello: sulla macrostruttura del testo, sulle sue sezioni, sui paragrafi, sulle singole frasi, liberamente. È applicando in maniera gerarchica e ricorsiva queste tre funzioni che si porta a termine ogni compito di scrittura.
Un allievo dovrà capire quando e dove far intervenire ciascuna azione, e in questo deve essere opportunamente guidato da un insegnante che lo aiuti a concepire il processo di scrittura come una costruzione in divenire, che si può modificare in ogni elemento e in ogni incastro, se necessario.
Dal canto loro, Bereiter e Scardamalia affrontarono l’analisi del processo di scrittura prestando particolare attenzione alla gestione delle idee: dove e come si trovano, come si adattano alla consegna e come si traducono in forma scritta, attraverso gli strumenti della retorica. Elaborarono dunque un modello (non in contrasto con quello di Hayes e Flower) in cui la scrittura è rappresentata come un procedere alternandosi tra problemi di contenuto e problemi di forma (ovvero, di retorica): cosa dire e come dire sono i poli fondamentali dello scrivere. Un bravo scrittore sa far reagire la consegna con le proprie conoscenze alla propria memoria a lungo termine (costituita anche da libri o altri supporti che sa come e dove consultare) estrae contenuti e li combina in modo da adeguarli alla situazione del suo compito. Quando è di fronte a un problema, sa capire se la difficoltà sia causata da inadeguatezza di contenuti o di forma e trova soluzioni efficaci. Sa servirsi di tutte le conoscenze che ha e sa trasformarle, adattandole a ciò che sta scrivendo per ottenere un testo efficace.

La scrittura professionale
Dunque, nei laboratori di scrittura professionale, la didattica è guidata dai modelli che abbiamo visto sopra: la scrittura viene presentata all’allievo come un’operazione di pianificazionestesurarevisione, attraverso i due campi forma e contenuto. Compito del docente è condurre lo studente a una gestione consapevole ed efficace di queste operazioni durante la stesura dei testi.
In più, un altro punto irrinunciabile per la didattica della scrittura professionale è creare l’attenzione al pubblico: «ogni testo, anzi ogni atto comunicativo, deve tener conto del pubblico al quale si rivolge» [2], pena l’inefficacia. Vengono forniti dunque cenni di teoria della comunicazione, soprattutto per insegnare a pensare all’immancabile ricevente del testo: «a. Qual è lo scopo del testo? […] b. A chi scrivo? […] La risposta a queste domande avviene prima di scrivere e comporta dunque l’individuazione dello scopo e del pubblico per cui si scrive qualcosa» [3].
A grandi linee, questa è l’ossatura della didattica della scrittura professionale, volta a chi per lavoro deve scrivere ed entrata da non molto a far parte degli insegnamenti dei corsi di laurea nell’Università [4].

I laboratori creativi
Adesso possiamo passare alla scrittura creativa. Daremo un’occhiata ai laboratori di tre scrittori che insegnano scrittura: Giulio Mozzi, Julio Monteiro Martins, Alessandro Scarpellini.
Per capire se ci siano consonanze e affinità tra insegnamento di scrittura professionale e scrittura creativa, richiameremo via via i modelli di cui abbiamo parlato poco fa. È vero che sono stati elaborati e applicati in ambito accademico, ma i loro autori non li hanno etichettati come descrizioni di processi di scrittura esclusivamente professionale. Teniamoli dunque presenti durante la descrizione dei laboratori creativi: potranno apparire consonanze che ci aiuteranno a rispondere alle domande in apertura di questo articolo.

Giulio Mozzi
Giulio Mozzi è uno scrittore che ama definirsi «una persona che, forse, ha una o due cose da dire, e fa il possibile per dirle in maniera comprensibile» [5].
Nei suoi laboratori, durante una lezione tipica (dove c’è spazio anche perché Mozzi faccia un po’ il guitto), il momento importante è quando si leggono i testi degli allievi, sui quali poi si discute e talvolta ci si affronta.
Prima di tutto, l’invito è a riflettere sulle intenzioni del testo, sul fatto che «scrivere [è] un’attività che interessa anche ad altri, [che] sposta l’attenzione da sé al destinatario» [6].
Ogni testo avrà dei lettori, e ogni lettore cercherà di dare un senso alle scelte che lo scrittore ha compiuto in quel testo. Per questo chi scrive deve essere prima di tutto consapevole delle sue intenzioni (pianificazione) per riuscire a renderle comprensibili tramite le scelte formali che opera. L’esistenza di un piano formale, da curare quanto quello tematico, non è sempre palese all’apprendista, il quale non si rende ben conto che dai suoi testi emerge anche una forma: «al massimo vengono espresse delle intenzioni a proposito della trama: volevo fare una storia complicata, semplice, con tanti personaggi, con dentro mia nonna, con un effetto a sorpresa, ecc. Quindi, estrapolare dai testi delle intenzioni di tipo formale è una cosa che spiazza molto l’autore del testo» [7]. Spesso è durante il laboratorio che per la prima volta ci si rende davvero conto della relazione tra contenuto e scelte retoriche.
Dunque le due fondamentali forze da saper gestire, per Giulio Mozzi, esattamente come per Bereiter e Scardamalia, sono il “cosa dire” e il “come dirlo”.
Padroneggiarle non è affatto semplice, anche perché non esistono ricette sicure per ottenere buoni risultati con tutti i tipi di pubblico e in tutte le situazioni comunicative. Non per niente, quando uno degli allievi chiede a Mozzi «Come si fa?», non riceve una risposta, ma un altro paio di domande: Che cosa hai fatto? Che cosa vuoi fare veramente?
Queste due domande trasformano i problemi in spunti di riflessione, come auspica il modelle di Bereiter e Scardamalia, e fanno attivare all’allievo una revisione sul testo che ha scritto, sulla sua struttura e sui suoi obiettivi comunicativi: proprio come descritto dal modello di Hayes e Flower.

Julio Monteiro Martins
Avere qualcosa da dire è vitale per uno scrittore: lezioni di scrittura che abbiano a cuore ogni fase del processo creativo non possono tralasciare l’importante campo del “trovare le idee”. Per questo Julio Monteiro Martins nei suoi corsi ha attenzione verso ogni singolo allievo, considerato come un universo espressivo unico, da coltivare e far maturare.
Avere delle cose da dire non significa trovarle in un repertorio precostituito, ma significa far scaturire dall’incontro tra sé e il mondo qualcosa di irripetibile e unico. La scrittura è il luogo privilegiato del contatto tra personale e universale, dove lo sguardo di ciascun autore vede e racconta i temi che sceglie in maniera del tutto speciale.
L’educazione alla scrittura, secondo Monteiro Martins, si basa su questo: occorre stimolare punti di vista e interpretazioni della realtà originali e nuove, da restituire sulla pagina con mezzi espressivi ad hoc, contro ogni stereotipo. Vietato procedere nella didattica in nome di uno stile standard omologato e di efficacia media. Perché gli allievi possano costruire un bagaglio ampio di contenuti e avere più contatti possibile con stili diversi, nei laboratori di Monteiro Martins si promuove una lettura onnivora: in questo modo si sperimenta il molteplice e si attiva il senso critico, perché si diventa consapevoli della soggettività di ogni pagina scritta. Andando avanti nel laboratorio, infatti, si comprende che lo sguardo personale di ogni scrittore è dentro ogni pagina: con esso occorre sempre fare i conti, come lettori intelligenti e come autori consapevoli.
Durante le lezioni si leggono anche i propri testi e quelli prodotti dagli altri allievi: ci si confronta subito con il problema della comprensione del pubblico, si riflette sugli errori, si discute dell’appropriatezza delle scelte.
In sostanza, la didattica di Julio Monteiro Martins è basata su difesa e promozione della libertà creativa di ogni individuo, e insegna a muoversi tra idee e retorica, nella gestione consapevole di sé e della propria espressività, in funzione della scrittura di un testo che sarà arricchito dall’impronta personale dell’autore, per temi e stile. I due poli che guidano lo scrivere sono ancora una volta “cosa dire” e “come dirlo”.
Nei corsi è stimolato un processo di pianificazione che parte dal contatto del sé con l’esterno e la creazione di una propria visione del mondo; un processo di stesura che comporta scelte retoriche adeguate per far giungere al lettore il proprio peculiare punto di vista; di revisione che permette non solo di valutare l’efficacia del testo, ma che è una vera e propria assunzione di responsabilità verso ciò che si è scritto.
Alessandro Scarpellini
Non solo letteratura e altri testi sono sede di nuova conoscenza, ma lo è soprattutto la quotidiana esperienza del mondo.
Alessandro Scarpellini, quando conduce i laboratori di scrittura, si preoccupa soprattutto di creare negli allievi una nuova attenzione verso i particolari delle esperienze che vivono. Ogni percezione che provenga dalle più disparate situazioni è da tenere presente, per vivere in pienezza ogni attimo e per tessere un fitto arazzo personale di ricordi ed emozioni da cui attingere per creare situazioni narrative o poetiche.
Non diversamente, Carmen dell’Aversano e Alessandro Grilli sostengono nel loro volume La scrittura argomentativa, destinato a studenti universitari e professionisti: «ciascuno di noi costruisce a partire dalla realtà esterna, comune a tutti, un proprio mondo di esperienze diverso da quello di tutti gli altri, proprio come ognuno di noi è un individuo unico, diverso da tutti gli altri. Le particolari caratteristiche del nostro modo individuale di esperire la realtà, anche le più minute e idiosincratiche, sono meritevoli di grandi attenzioni, in quanto rappresentano la materia prima fondamentale da cui nascono tutte le nostre idee» [8]. Ecco un evidente caso di assonanza piena tra chi insegna scrittura creativa e chi insegna scrittura professionale.
Per mettere su carta la materia prima, e aiutare il processo di scrittura, Scarpellini fa avviare agli allievi la composizione attraverso un campo di parole: durante il laboratorio si buttano giù parole libere e brevi frasi, ispirate dall’esperienza guida presentata a lezione, che può essere una foto, un disegno, un testo, una situazione (in questo non c’è nulla di diverso da quanto propongono i manuali di scrittura professionale, quando consigliano di iniziare la scrittura con liste, grappoli associativi, flussi di scrittura e via dicendo). L’allievo impara a riconoscere nel campo di parole gli elementi più utili per innescare il motore della narrazione; poi procede rielaborando ciò che è scaturito dai suoi appunti, dandogli la migliore collocazione retorica e tematica, e integrandolo con gli spunti che avrà imparato a cogliere ovunque e che farà reagire con la situazione narrativa ideata.
L’iniziale ispirazione caotica è dunque organizzata e rivista nella sua struttura, poi è integrata da altre conoscenze e idee. Una pianificazione a più riprese fa capire cosa è da buttare e cosa è da ampliare; durante la stesura, in una dialettica tra generale e particolare si condensano le idee e le conoscenze di chi scrive, alla ricerca di un significato che emerga naturalmente dalla forma più adatta.

Per una didattica creativamente professionale (o professionalmente creativa) Scrivere consiste essenzialmente nell’organizzare i propri pensieri in una forma tale che qualcun altro possa comprenderli: è questo il terreno comune su cui si incontrano tutti i tipi di laboratori di scrittura.
Abbiamo visto come le categorie elaborate dai modelli di Hayes e Flower e di Bereiter e Scardamalia abbiano costituito la base per la didattica della scrittura professionale. Ma possono essere utilmente usate per descrivere anche quel che accade nei laboratori creativi.
I laboratori creativi, dal canto loro, lavorano con attività vivaci e stimolanti, e affrontano percorsi di gestione delle idee che spesso occorrono anche per produrre testi professionali.
Come abbiamo brevemente mostrato in questo articolo, insegnare a scrivere significa sempre condurre gli allievi a essere consapevoli di cosa accade mentre si scrive, per riuscire a gestire ogni aspetto del processo, dall’ideazione alla correzione, attraverso opportuni aggiustamenti di rotta. Seppure i prodotti in uscita possano essere relazioni, racconti, lettere, articoli scientifici, recensioni, romanzi, i meccanismi base sottesi a scrittura e composizione, sono essenzialmente gli stessi.
Se dunque la scrittura tutta, creativa e non, si basa su principi e funzioni condivise, ci sembra auspicabile un’integrazione tra i metodi didattici e le esperienze proposti nei laboratori di scrittura professionale e quelli usati nei laboratori di scrittura creativa: affrontare i problemi e le dinamiche della scrittura da più punti di vista è tutt’altro che dannoso. Non tutti gli allievi sono egualmente sensibili agli stessi tipi di stimoli e percorsi, con un laboratorio monotematico rischiano di perdersi. Al contrario, ad esempio, un laboratorio creativo che conceda qualche tempo alla teoria e un laboratorio professionale che permetta incursioni nella libertà dell’invenzione, faranno presa su ogni allievo, integrando diversi tipi di approccio alla scrittura. Grazie a esperienze multiformi, gli allievi si misureranno con problemi e soluzioni ogni volta diverse. Ognuno di loro avrà più possibilità per comprendere quali siano le forze in gioco nello scrivere e quali i mezzi più adatti a gestirle, per raggiungere un’espressività ricca e piena, in ogni ambito.

Sara Ricci

NOTE

[1] - È bene precisare che tutta la scrittura, non soltanto quella che si definisce esplicitamente tale, è un’operazione creativa: tuttavia manteniamo qui, per comodità, questo termine ombrello per indicare la scrittura narrativa, poetica e teatrale.
[2] - FRANCESCO BRUNI, GABRIELLA ALFIERI, SERENA FORNASIERO, SILVANA TAMIOZZO GOLDMANN, Manuale di Scrittura e comunicazione. Per la cultura personale, per la scuola, per l’università, Bologna, Zanichelli, 1997, p. 231.

[3] - DARIO CORNO, Scrivere e comunicare. Teoria e pratica della scrittura in lingua italiana, Milano, Bruno Mondadori, 2002, p. 14.
[4] - Cfr. a questo proposito le prime pagine di DANIELA PIETRAGALLA, L’italiano scritto. Manuale di didattica per laboratori di scrittura, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2005.
[5] - GIULIO MOZZI, Parole private dette in pubblico. Conversazioni e racconti sullo scrivere, Roma-Napoli, Theoria, 1997, p. 108.
[6] - Ivi, p.111-112.
[7] - Ivi, p.115-116.
[8] - CARMEN DELL’AVERSANO e ALESSANDRO GRILLI, La scrittura argomentativa. Dal saggio breve alla tesi di dottorato, Firenze, Le Monnier, 2005. p. 17. Ampio e dettagliato, questo volume è prezioso per chi voglia padroneggiare la scrittura argomentativa e allo stesso tempo chiarire il proprio modo di ragionare.

(direfarescrivere, anno IV, n. 26, febbraio 2008)
 
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