Anno XX, n. 223
settembre 2024
 
In primo piano
La complessa legislazione ambientale
in Italia: un conflitto tra stato e regioni
Giuseppe d’Ippolito, in un volume pubblicato dalla Rubbettino,
chiarisce una normativa contestata sia nel metodo che nel merito
di Grazia Francescato
È uscito qualche settimana fa un nuovo saggio di Giuseppe d’Ippolito, dal titolo L’ambiente contestato (Gli enti locali e il decreto ambientale), pubblicato da Rubbettino (pp. 228, € 22,00). Si tratta di un testo pubblicato su impulso di Bottega editoriale. Lo scopo, centrato, è quello di chiarire la normativa italiana del Diritto ambientale, che non pochi conflitti ha creato tra stato e regioni, con particolare attenzione al Decreto legislativo 152. Pubblichiamo di seguito, come anticipazione, la Prefazione.

La redazione

PREFAZIONE Dura lex, sed lex sentenziavano i latini, padri – come ognuno sa – dello stato di diritto. Un motto – oggi noi diremmo uno “slogan” – che sanciva in maniera inequivocabile la collocazione della norma al vertice del vivere civile: sopra tutti, a guida di ognuno.
Così dovrebbe essere. Ma all’alba del Terzo Millennio, segnata da una complessa rete di sfide – tra cui quella della tutela del pianeta a salvaguardia della nostra stessa sopravvivenza, appare tra le primissime- questa marmorea certezza vacilla, come tante altre, corrosa e quasi travolta dai rapidissimi cambiamenti della nostra epoca. Tra questi, il rischio di un indebolimento del sistema normativo, corollario a sua volta, di un deficit di democrazia che sta incrinando il modello dello stato di diritto. Certo, le leggi continuano ad esistere, anzi sono sempre di più, un alluvione, una overdose di norme: ma la quantità non è garanzia né di chiarezza e adeguatezza delle leggi stesse, né tantomeno di effettiva attuazione delle medesime.
Anzi: il nostro paese, nello specifico, rappresenta un caso emblematico, da questo punto di vista, sia a livello europeo che mondiale. La culla del diritto romano trabocca di leggi, decreti legislativi, delegati, ordinanze, circolari, regolamenti, ma spesso mancano i controlli e tante, troppe di queste norme rimangono lettera morta o sono interpretate non secondo lo spirito della legge, ma secondo gli interessi e i poteri più o meno forti che intorno alla norma si agitano, si contrastano e che non di rado hanno addirittura ispirato o influenzato la stesura delle norme stesse.
Per quanto dura possa essere l’odierna lex, il genio italico troverà sempre un modo di aggirarla, sfuggirla, piegarla al proprio gioco: nefasta vocazione puntualmente sancita dal noto proverbio strapaesano: ”Fatta la legge, trovato l’inganno”.
Il “caso della 152”, di cui si occupa con competenza e passione l’autore, rappresenta da questo punto di vista un ulteriore passo avanti lungo la strada in discesa che ci conduce sia ad un più accentuato deficit di democrazia sia ad un ancor più perverso inganno. Insomma, è un devastante passo indietro, nella direzione opposta a quella dell’affermazione e del consolidamento dello stato di diritto.
Nel metodo e nel merito. Nel metodo: perché è stata redatta scavalcando completamente il Parlamento e affidando il preteso riordino della materia ambientale – che, come giustamente ricorda il prof. D’Ippolito, la Cassazione ha definito “più che una materia, un valore trasversale” – a un gruppo di redattori, forse troppo frettolosamente chiamati “saggi”, scelti in maniera del tutto personalistica e arbitraria dall’allora Ministro per l’Ambiente. In ogni caso, si è trattato di una stesura sfacciatamente anomala, per usare un understatement, che ha sottratto questa fase di riordino della disciplina ambientale, alle competenze dei legislatori legittimi e ha affidato la “confezione” del cosiddetto Codice o Decreto ambientale a coloro che potevano essere più facilmente esposti ai venti di questi e quegli interessi, di questi o quei centri di potere.
Un metodo che è stato, da subito ma inutilmente, contestato da ambientalisti, verdi e fautori dello stato di diritto, convinti che si trattasse di una procedura non legittima e pericolosa, in quanto poteva costituire un precedente per altri “riordini” di questo genere.
Ma la 152 è stata fortemente contestata anche nel merito, come il lettore potrà evincere dalla accurata disanima che l’autore conduce sui vari testi che nel corso del tempo sono andati a comporre la Delega: in particolare i capitoli dedicati ai rifiuti (a cominciare dalla definizione di rifiuto stesso) alle acque, alle procedura di VIA per non parlare delle competenze attribuite a stato, regioni ed enti locali. Una revisione che ha avuto percorso difficile e tormentato, come evidenzia con una ricostruzione attenta e approfondita l’autore, e che ha visto non pochi scontri e conflitti anche all’interno della maggioranza.
Sto scrivendo questa prefazione proprio alla vigilia dell’esame del testo “rivisitato” alla Commissione Ambiente della Camera, di cui faccio parte: siamo dunque agli sgoccioli della prima fase della revisione. Un momento particolarmente adatto, dunque, per la pubblicazione di questo testo che aiuterà moltissimo non solo gli addetti ai lavori, ma gli amministratori locali (su cui ricade gran parte dell’onere di ben interpretare e far applicare il Codice) e i cittadini interessati -ambientalisti in primis- a districarsi dentro la complessa rete della 152, probabilmente uno dei testi più intricati, articolati e non di rado contraddittori , che siano stati mai redatti in campo ambientale.
Dopo la lettura di questo prezioso testo, la LEX in questione potrà sembrare “dura” ( e noi ambientalisti vogliamo che lo sia) ma sarà perlomeno “Clara” ovvero più leggibile e trasparente. Sarà dunque un contributo non secondario, questo lavoro di d’Ippolito, nella direzione del consolidamento dello stato di diritto e della battaglia,. oggi più che mai cruciale, a difesa del nostro maltrattato ambiente. Non una battaglia qualsiasi, ma la madre di tutte le battaglie, se vogliamo lasciare in eredità ai nostri figli un pianeta vivente e non una terra desolata.

Grazia Francescato

(direfarescrivere, anno III, n. 22, ottobre 2007)
 
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