Anno XX, n. 223
settembre 2024
 
In primo piano
E a bordo di un gommone, vita e morte.
Ma una volta a terra continua l’odissea!
Storie clandestine, cinque stralci di umanità e non, nello sguardo
di Valentina Loiero, giornalista del Tg5, in un libro edito Donzelli
di Annalisa Pontieri
Si può ancora parlare di clandestinità senza pensare alle conseguenze più estreme di una difficile convivenza che non riesce a trovare un equilibrio? Senza rimuginare su degli ospiti indesiderati? E pensare invece a delle vite che hanno il diritto di realizzarsi come le nostre, con i sogni uguali a quelli di coloro che hanno sempre dormito al caldo dei termosifoni e al fresco dei climatizzatori; con le aspirazioni uguali a quelle di coloro che si sono sempre seduti a tavola a consumare primo, secondo, contorno e frutta; con le paure però più brutte di coloro che sin da bambini hanno sempre avuto un peluche cui stringersi per superarle.
E allora perché restiamo indifferenti di fronte alle tragedie del mare che spesso si consumano al largo di spiagge affollate di bagnanti in relax?
Un mare che spesso restituisce cadaveri le speranze pagate a caro prezzo di “scudi e fiorini” e di “carne e sangue”.
Valentina Loiero, giornalista del Tg5, ci porta dentro quei barconi che si tengono dentro vita e morte.
Sale nero. Storie clandestine. Con una intervista a Andrea Camilleri (Prefazione di Laura Boldrini, Donzelli editore, pp. X-166, € 13,50) significa far continuare quel viaggio, perpetuando nella memoria i momenti vergognosi di una tratta che non è troppo lontana da quella che ci hanno fatto studiare da bambini sul sussidiario.

Senza pietà
Il libro prende le mosse da una notte senza pietà, quella del 19 ottobre 2003 a Lampedusa.
80 morti.
«Ma come si può morire in mare senza naufragare?» si chiede l’autrice e come si può, per salvarsi, usare i cadaveri come coperte per ripararsi dal freddo?
E – ancora – come si può morire due volte?
Può avvenire quando 13 cadaveri rimangono in sacchi verdi, sul molo, sotto il sole e poi sigillate in bare senza un fiore, senza una preghiera, senza una sepoltura… è come ucciderli una seconda volta, appunto.
E vengono uccisi anche una terza quando le famiglie non riescono a conoscerne la sorte e piangere sulle spoglie mortali.
Sayed è addirittura fortunato: immigrato in Italia da anni, si reca in Sicilia alla ricerca di notizie sulla sorella Jama, rimasta uccisa nella lunga e difficile traversata. Il fratello ne riconosce il cadavere solo dall’abbigliamento, perché «il problema è che quei volti, sfigurati per essere rimasti in acqua a lungo, si somigliano un po’ tutti. Hanno perso i lineamenti, i tratti caratteristici. E in più ci sono delle strane tumefazioni».
Quante famiglie restano invece sospese, in attesa – anche per sempre – di sapere della sorte dei loro congiunti. Ma non si avranno mai «liste passeggeri» complete.
«Partire a bordo di un gommone costruito artigianalmente, senza nessun esperto alla guida, spesso senza acqua né cibo, equivale ad avere una pistola puntata alla tempia».
Ed è su quei barconi, gommoni ed ogni sorta di legno galleggiante che si incrociano storie diverse, fatte di sofferenza ma anche di grande umanità che squarcia a volte la ferinità del totale: Mekdes e suo figlio Mose, novello Mosè che tra le braccia sconosciute di un giovane eritreo giunge in Italia, senza la mamma rimasta in Libia; Shorash, due anni – «aveva lo sguardo triste di tutti i bimbi malati di cuore, che sembrano più grandi della loro età. Con quel visino sciupato, occhiaie perenni e labbra viola».

Clandestino
Storie clandestine, appunto, le cinque narrate dalla giornalista e soprattutto dalla donna che si fa coinvolgere nelle vicende che scopre e segue, anche a costo di intime sofferenze.
L’ultima storia racconta le fughe da Cartonia – come viene chiamata dagli “ospiti indesiderati” Crotone, la città che non hanno neanche idea di dove si trovi, e che pure qualcuno ha destinato a grande campo profughi, costituendo i Cpt, incurante di leggi che pure legano le mani agli operatori umanitari e della sicurezza.
4.400 fughe nel 2005. Ma è come finire dalla padella alla brace: i fuggiaschi diventano prigionieri a decine in angusti casolari dove vengono sottoposti ad ogni genere di vessazione, in attesa che i familiari ne paghino il riscatto.
E tutto avviene alla luce del sole sulla grande arteria, la Statale 106, la cosiddetta “statale della morte”, un appellativo che stride con la bellezza del paesaggio che la circonda per lunghi tratti. Giallo oro da un lato, azzurro profondo dall’altro.
I colori che ricordano il deserto che gli sventurati hanno dovuto attraversare per giungere in un deserto che forse certamente non è peggio di quello superato, ma semplicemente non è il loro proprio…

Annalisa Pontieri

(direfarescrivere, anno III, n. 20, agosto 2007)
 
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