Anno XX, n. 223
settembre 2024
 
In primo piano
Ventunesimo secolo narra l’anno 1947:
il mutamento tra violenza e centrismo
Cinque interventi di esperti storici analizzano e illustrano celermente
alcuni dei più importanti avvenimenti che decisero la sorte dell’Italia
di Andrea Vulpitta
È veramente un anno di svolta il 1947, di tanti cambiamenti che influenzeranno, forse addirittura fino ai nostri giorni – di sicuro fino alla caduta del muro di Berlino – la Storia mondiale. Cinque documenti frutto di approfondimenti e riflessioni di questi ultimi anni sono racchiusi in un recente numero di Ventunesimo Secolo dell’interessante rivista edita da Rubbettino. Siamo nell’immediato Dopoguerra e le due potenze Urss e Usa, con l’espansione dei modelli comunisti e democratici, si avviano verso la Guerra fredda che determinerà gli assetti geopolitici fino alla caduta dei regimi sovietici.
Nel primo approfondimento Elena Aga Rossi si sofferma sul ruolo centrale avuto nel corso di quell’anno da Alcide De Gasperi e la sua conseguente scelta di campo. La professoressa sottolinea come l’apertura degli archivi di Mosca abbia svelato che l’Italia uscita dalla guerra, seppur inizialmente sotto l’ala protettiva degli Usa, subisse, da parte del suo popolo, il fascino degli obiettivi di giustizia sociale professati dall’Urss e come, sul fronte politico, si guardasse anche ai sovietici per risolvere i gravi problemi economici e di approvvigionamento che il paese viveva, stremato dal conflitto.
In questa drammatica situazione s’inserisce l’esclusione del Pci dal governo ad opera di De Gasperi, considerata dagli storici quasi come una condicio sine qua non per accedere agli indispensabili aiuti Usa, ma nella rilettura della corrispondenza tra i vertici politici americani e italiani del tempo, viene letta, invece, come una sorta di disinnesco dell’emergenza economica che paradossalmente ingrossava le fila degli scontenti, spostando consensi verso il Pci. È nello stesso anno che prendono forma, da una parte, il Piano “Marshall”, di contrasto all’espansionismo sovietico, e, dall’altro, il coordinamento dei partiti comunisti sotto la sigla del Cominform, a cui aderì anche il Pci. Fu un periodo di grosse tensioni in attesa dei risultati delle elezioni del 1948 e delle sue possibili conseguenze. La conquista del 48% della Dc contro il 31% del Fronte popolare avviò l’Italia verso la piena influenza americana, arginando le spinte violente e ufficializzando l’entrata dell’Italia nel blocco militare occidentale.

La stabilizzazzione monetaria: fattore strategico
Nel secondo intervento della rivista Juan Carlos Martinez Oliva, dal suo osservatorio privilegiato di direttore della ricerca presso l’Ufficio ricerche storiche della Banca d’Italia, ci racconta della disastrosa situazione economica italiana aggravata ancor più dall’inflazione galoppante e dalle preoccupazioni espresse in ogni occasione dai vertici dell’istituto. Una contrazione del credito volta all’eliminazione delle scorte delle materie prime accumulate dalle imprese (tipico atteggiamento determinato dal timore della difficoltà di approvvigionamento) fu la strada intrapresa con lo scopo di raggiungere una stabilizzazione monetaria più incisiva e non più rimandabile. Questo fu il preludio all’entrata in vigore del Piano "Marshall" che avviò una ripresa economica costante fino agli inizi degli anni Sessanta.

Violenza politica e svolta centrista
Nel capitolo di Fabio Grassi Orsini, docente di Storia contemporanea, si sofferma sugli episodi di violenza politica di quel periodo, fornendoci una rilettura del fenomeno “guerra civile” in Italia che, nella sua ricostruzione, nel periodo tra il 1946 e la fine del 1947, vive un periodo di ritorsioni e punizioni verso tutto ciò che è riconducibile al fascismo, ed è più simile ad una vera e propria lotta di classe scatenata da vari gruppi fuoriusciti dai partiti storici della sinistra.
Tra i principali obiettivi vede: industriali, padroni, sacerdoti, giornalisti e anche sezioni del sindacato o dei partiti socialista e comunista. Lo studioso riporta interessanti ricostruzioni della cronaca dell’epoca attraverso racconti di omicidi, incendi, intimidazioni e altre azioni di vero e proprio terrorismo.
Proprio il rapporto tra queste forme d’insurrezione e gli apparati della Sinistra cosiddetta “ufficiale”, per quanto il professore non lo dica, somiglia, con le dovute differenze, al fenomeno del terrorismo rosso, vissuto circa trent’anni più tardi con la stessa contrapposizione tra la Sinistra parlamentare e parte della Cgil, oltre a fuoriusciti e infiltrati, addirittura, come la recentissima cronaca ancora ci racconta.
Il periodo di riferimento, sottolinea il docente, vede, tra l’altro, una grande quantità di armamenti in circolazione: residuo, non deposto, dopo la fase della resistenza. Matura in questo contesto, anche per il ruolo a volte ambiguo dei partiti della sinistra, e nella continua paura di un’ipotesi rivoluzionaria appoggiata da Mosca, la cosiddetta svolta centrista con l’estromissione dei partiti di sinistra dal IV governo De Gasperi. Per chi ha vissuto in prima persona la forte contrapposizione e la repressione, da parte del governo De Gasperi, delle manifestazioni di piazza appoggiate dai partiti di sinistra, oggi, vedere all’orizzonte la fusione nel Partito democratico di quel che resta delle due forze contrapposte dell’epoca, deve sembrare una cosa irreale.
Emanuele Bernardi, anch’egli studioso di Storia contemporanea, ci offre un’istantanea sul problema dell’ordine pubblico, successivo al ritiro delle truppe americane dalla penisola e all’estromissione delle forze socialiste e comuniste dal governo. Le occupazioni delle terre crescevano e si diffondevano in tutto il paese. Nonostante non volesse interrompere i rapporti istituzionali con la Dc, e in particolar modo con la sua ala sinistra, il Pci alimentava rivendicazioni e lotte dei braccianti dal Sud al Nord.
Lo studioso si sofferma sul ruolo strategico del Ministero dell’Interno che, specie con le sue propaggini territoriali quali le prefetture, permetteva almeno il controllo e la repressione sul territorio. In questo contesto il fossato tra la Dc di governo e il Pci all’opposizione veniva ulteriormente scavato dalla costituzione del Cominform al quale il Pci, così come i comunisti francesi, aderirono sin dalla prima ora. È in quel momento che, temendo l’insurrezione armata, magari appoggiata dalle infiltrazioni provenienti dall’Est, grazie alle deboli frontiere, l’Italia chiese agli americani il sostegno in caso di conflitto civile.
La linea dura della Dc fece breccia nella maggioranza degli italiani che, più che impauriti da una svolta violenta delle manifestazioni, era stanca dei continui scioperi e delle proteste che ingessavano la vita politica. Fu in questo scenario che, specie dal Sud, anche a seguito dei tragici fatti di Melissa, partì la riforma fondiaria in Calabria e nacque, qualche tempo dopo, l’Istituto della cassa per il Mezzogiorno; il merito della Dc di allora, e di De Gasperi in prima persona, fu proprio quello di tentare di dare una risposta alle domande che provenivano dalle fasce più deboli ed esasperate della popolazione e convincersi che non si poteva solo reprimere, ma bisognava programmare in campo economico.

Il Pci in Italia e il Pcf in Francia
Nell’ultimo contributo della rivista Andrea Guiso, docente di Storia contemporanea, esplora il ruolo dei partiti comunisti in Francia e in Italia in una riflessione di tipo comparativo. Egli analizza le differenze storiche e politiche dei due paesi, i diversi ruoli dei partiti nei confronti della politica estera delle due nazioni dissimili: da una parte l’impero francese e la gestione delle spinte indipendentiste e dall’altra il rapporto ad est tra pericoli e legami di amicizia rafforzati dalla nascita del Cominform nonché la diversa esperienza vissuta nei confronti del nemico fascista. Il Pci e il Pcf sono accomunati dalla stessa sorte: vivere il ruolo di un’opposizione mai convinta di poter sovvertire, con una guerra civile, il fragile equilibrio interno postbellico.
In coda alla rivista la pubblicazione di alcune recensioni e documenti inediti, anche con note segrete, su colloqui tra i vertici americani e le autorità italiane, sui rapporti con la Cia. Tra le recensioni, quella del già citato Orsini su La grande bugia. Le sinistre italiane e il sangue dei vinti di Giampaolo Pansa (Sperling & Kupfer). Libro di forte attualità che ha suscitato un vespaio di polemiche, in cui il professore sottolinea come, al di là delle personali interpretazioni e giustificazioni, sia giusto scindere la violenza all’interno di una guerra, come fu la Resistenza, e gli strascichi di odio e ferocia, ad armi mute e a conflitto terminato, che sparsero sangue che, come sostiene l’autore del libro, forse poteva essere risparmiato.

Andrea Vulpitta

(direfarescrivere, anno III, n. 18, 10 luglio 2007)
 
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