Basta con la vivisezione degli animali, esistono metodi di ricerca più efficaci!
La sperimentazione di farmaci e di prodotti chimici si basa spesso su pratiche antiscientifiche assai crudeli che si dovrebbero abolire
di Giuseppe Licandro
Un filone molto importante della cultura contemporanea si occupa di questioni bioetiche, tra le quali risalta il dibattito sui diritti degli animali, che ha preso avvio negli anni Settanta, dopo la nascita del movimento animalista internazionale, fondato da Hans Ruesch, autore nel 1976 del celebre testo Imperatrice nuda (Rizzoli), dove si denunciò per la prima volta la crudele inutilità della vivisezione.
Nel 1978 il movimento animalista ottenne un primo significativo risultato, riuscendo a far approvare dall’Unesco la Dichiarazione universale dei diritti dell’animale. Gli interessi economici delle multinazionali e la scarsa sensibilità di tanti governi, tuttavia, hanno fatto sì che questa dichiarazione rimanesse a lungo lettera morta, senza tradursi in atti legislativi conseguenti.
Molte pratiche brutali e insensate vengono tuttora messe in atto contro gli animali, anche nei paesi cosiddetti “civili”: abbandoni, bracconaggio, allevamenti intensivi, detenzione in strutture “lager”, caccia a specie in via d’estinzione, corride e attività circensi, ecc. Per non dire, poi, della cosiddetta “zoomafia”, ossia dello sfruttamento illegale degli animali da parte della criminalità organizzata, che si è diffusa nell’ultimo decennio, soprattutto in Italia: per un approfondimento degli aspetti di questa ignobile attività rimandiamo all’articolo La “zoomafia”, una terribile iattura che incombe sull’Italia, apparso sul n. 7 di www.lucidamente.com (per leggerlo, clicca qui).
“Sperimentazione animale” alias “vivisezione”
Tra le attività più riprovevoli si situa certamente la “sperimentazione animale”, una locuzione dietro la quale si cela molto spesso la “vivisezione”, una cruenta pratica cui si ricorre in tanti laboratori di analisi per testare i farmaci e, più in generale, le sostanze chimiche. Ogni anno circa trecento milioni di animali in tutto il mondo (e quasi un milione in Italia) sono sottoposti a esperimenti crudeli e scientificamente inattendibili: dopo essere stati immobilizzati, infatti, essi vengono mutilati, intossicati, ustionati, sottoposti a scariche elettriche e infettati con virus o batteri (di solito senza neppure ricorrere all’anestesia)!
Questo tipo di prove non serve a collaudare l’efficacia di un prodotto: i farmaci, ad esempio, devono essere sempre verificati sugli esseri umani prima della loro definitiva introduzione sul mercato, a scanso di gravi pericoli per la salute. Ogni specie vivente, del resto, ha una struttura biologica ben determinata che la distingue dalle altre, vanificando ogni tentativo di generalizzazione degli esperimenti.
Le differenze fra le specie
Il rifiuto della “sperimentazione animale” è stato rivendicato negli ultimi decenni da varie associazioni animaliste tra cui ricordiamo la Lega antivivisezione (Lav), gli Animalisti italiani e il Comitato scientifico antivivisezionista “Equivita”, che ha curato la pubblicazione sul sito www.antivivisezione.it dell’opuscolo Apriamo gli occhi sulla vivisezione, scritto da Stefano Cagno, dirigente medico dell’Azienda ospedaliera di Vimercate (per informazioni sull’argomento rimandiamo anche all’articolo Una strage di innocenti di Diego Salimbeni, pubblicato sul n. 7 di lucidamente.com, per leggerlo clicca qui). Nel testo di Cagno si legge che: «I medici antivivisezionisti partono dalla semplice ed oggettiva constatazione che gli animali non sono modelli sperimentali adatti all’uomo, perché troppo diversi da noi. Ogni specie animale è infatti biologicamente, fisiologicamente, geneticamente, anatomicamente molto diversa dalle altre e le estrapolazioni dei dati tra una specie e l’altra sono impossibili. Ad esempio la pecora ed il porcospino possono ingoiare quantità cospicue di arsenico, notoriamente velenoso per l’uomo. La stricnina lascia indifferente la cavia, il pollo e la scimmia in dosi sufficienti ad uccidere un’intera famiglia umana. L’amanita phalloides, fungo velenosissimo di cui pochi grammi sono per noi letali, è del tutto innocua per gatti e conigli. L’insulina provoca malformazioni nelle galline, nei conigli e nei topi, ma non nell’uomo. La stessa penicillina è letale per le cavie da laboratorio» (clicca qui).
Appare evidente da queste inoppugnabili argomentazioni l’assoluta gratuità del ricorso alla sperimentazione dei farmaci e dei prodotti chimici sugli animali. Per fortuna, una parte dei ricercatori si rifiuta di condividere questa metodologia crudele, ricorrendo all’obiezione di coscienza, che, riguardo alla sperimentazione sugli animali, è consentita dalla legge n. 413 del 12 ottobre 1993.
Le vere ragioni della vivisezione
L’uso della vivisezione è spesso stato giustificato con asserzioni apparentemente plausibili, quali la necessità di salvaguardare convenientemente la salute umana, evitando di mettere in circolazione medicinali nocivi o inefficaci.
In verità, essa serve soprattutto a finanziarie costose ricerche universitarie e a favorire l’immissione sul mercato d’ingenti quantità di farmaci o di prodotti chimici, molti dei quali, risultati poi nocivi sugli uomini, vengono ritirati dal commercio.
Gli esperimenti sugli animali costituiscono, tuttavia, il metodo meno costoso e più rapido per testare i nuovi prodotti, consentendo, quindi, alle industrie di ottenere in tempi più celeri le certificazioni necessarie per la vendita e di tutelarsi in caso di complicazioni. Ma una società realmente democratica, che vuole proteggere la salute dei cittadini, non può certo tollerare sistemi così incivili e inaffidabili per sostenere la ricerca scientifica!
I sistemi alternativi di ricerca
I metodi alternativi di ricerca, molto più attendibili dei test sugli animali, esistono e sono già diffusi. Citando ancora l’opuscolo del Comitato scientifico antivivisezionista “Equivita”, ricordiamo brevemente quali sono le altre tecniche sperimentali utilizzate dai ricercatori più coscienziosi:
«a) innanzitutto la ricerca clinica: la maggior parte delle scoperte mediche (i cui successi vengono spesso attribuiti alla sperimentazione animale) sono dovute infatti ad un’osservazione clinica (sull’uomo) di un particolare fenomeno, che solo in seguito i ricercatori tentano di riprodurre negli animali, inducendo in essi delle patologie artificiali. [...] b) l’epidemiologia e la statistica. L’epidemiologia studia la frequenza e la distribuzione dei fenomeni epidemici e quindi delle malattie nella popolazione; la statistica è invece la disciplina che si occupa del trattamento dei dati numerici derivanti da un gruppo di individui. Sono stati l’impiego della epidemiologia e della statistica che hanno permesso di riconoscere la maggior parte dei fattori di rischio delle malattie cardiocircolatorie quali l’ipertensione arteriosa, il fumo, il sovrappeso, l’ipercolesterolemia; c) lo studio diretto dei pazienti, tramite i moderni strumenti di analisi non-invasivi. Questi metodi consentono di ottenere ottimi risultati, come è stato riscontrato per le malattie cardiache;
d) autopsie e biopsie: le autopsie sono state cruciali per la comprensione di molte malattie; con le biopsie si possono ottenere molte informazioni durante i vari stadi della malattia. [...] e) colture in vitro di cellule e tessuti umani; f) simulazioni al computer».
C’è, inoltre, un nuovo settore di ricerca in via di sviluppo, la “tossicogenomica”, che permette di osservare in che modo una determinata sostanza chimica alteri la funzione dei geni di una cellula e quali siano le reazioni della cellula stessa. Questo metodo incruento d’indagine è decisamente più attendibile dell’antiquata vivisezione.
Altri tipi di maltrattamento
Purtroppo si fa ricorso alla “sperimentazione animale” anche in altri campi della ricerca scientifica: ad esempio in psicologia, nei test a carattere bellico o didattico e, persino, nella procedura di controllo dei cosmetici.
Quest’ultima, assurda, pratica è stata per anni imposta da un’incomprensibile direttiva della Cee, emanata nel 1976. Tale normativa è stata in parte modificata negli anni Novanta, ma il bando totale dei test cosmetici sugli animali è previsto soltanto nel 2013. La Lega antivivisezione ha stimato che ancora oggi in Italia muoiono ogni anno, intossicate dai cosmetici testati su di esse, circa 45.000 cavie di laboratorio!
Le lotte condotte dagli animalisti hanno contribuito all’approvazione da parte del Parlamento italiano della legge n. 189 del 2004, che ha introdotto nel codice penale il divieto di maltrattare gli animali. È stato un passo certamente importante sul piano etico, ma che non può considerarsi affatto esaustivo, soprattutto perché nella legge, tra le pratiche lesive dei diritti degli animali, non è stata inclusa la “sperimentazione animale”.
Le prospettive per il futuro
In questo periodo è in discussione al Parlamento europeo il Regolamento “Reach” per il controllo delle sostanze chimiche tossiche immesse nell’ambiente.
Il Comitato scientifico antivivisezionista “Equivita” si sta battendo affinché nella bozza del regolamento sia inserito, tramite un emendamento, l’obbligo di ricorrere a metodi di sperimentazione veramente scientifici, abbandonando la “sperimentazione animale”. È questo un obiettivo da perseguire con decisione, sostenendo l’iniziativa di “Equivita”, come ha già fatto Beppe Grillo sul suo blog (clicca qui).
Occorre suscitare presso l’opinione pubblica europea, in particolare tra le giovani generazioni, una più ampia coscienza ambientalista e animalista che induca ad un maggior rispetto di tutte le creature esistenti sul nostro pianeta, superando così il pregiudizio antropocentrico che pone l’uomo al di sopra delle altre specie viventi. Siamo noi, al contrario, che abbiamo bisogno degli animali per vivere meglio, come testimonia l’ampia diffusione della pet-therapy nella cura dei disturbi depressivi e di altre patologie comportamentali.
Giuseppe Licandro
(L'immagine è tratta dal sito della Provincia di Milano)