Anno XX, n. 224
ottobre 2024
 
In primo piano
Le macroaree che danno
forma alla grammatica
Uno sguardo complessivo sulle varie regole
che costituiscono il fondamento di una lingua
di Domenica Licastro
In questo articolo andremo ad analizzare le quattro macroaree che compongono la grammatica: fonologia, morfologia, sintassi e ortografia.
Chiariremo: che la fonologia studia il valore astratto dei foni, denominati fonemi; che la morfologia è suddivisa in due parti, flessiva e derivativa; che i sintagmi principali della sintassi sono nominale, verbale, aggettivale e preposizionale; che l’ortografia comprende le norme per utilizzare correttamente i segni grafici e l’interpunzione di una lingua.
Prima di esaminare questi aspetti risulta proficuo evidenziare che il termine grammatica deriva dal greco tèchne grammatikè e sta a significare “l’arte, o la tecnica dello scrivere”.
Spesso, quando parliamo di grammatica, ci tornano in mente i ricordi del passato: una vecchia aula dalle pareti imbiancate, una lavagna al centro, proprio dietro la cattedra, e una maestra dagli occhiali rotondi che, col gessetto bianco, trascrive delle frasi concise, da imparare a memoria.
Limitandosi a questi ricordi giovanili, però, la grammatica può apparire come un mero esercizio mnemonico, quando in realtà, al suo interno, essa racchiude una vasta tradizione che nasce nell’antica Grecia, fino a giungere ai giorni nostri.
La più antica testimonianza di studi grammaticali risale al IV secolo a. C., e si deve a Maharshi Panini Rishi, uno studioso indiano; tuttavia, la tradizione che ha dato origine alla grammatica che conosciamo oggigiorno nacque in Grecia, grazie a filosofi come Pitagora, Aristotele, che distinse i nomi dai verbi, Crisippo che, nel III secolo a. C., elaborò la terminologia grammatica esistente ancora oggi. La prima Grammatica greca, invece, si deve a Dionisio Trace che, nel II secolo, creò il modello sul quale, a oggi, si basano le grammatiche di numerose lingue.
In Italia, le prime grammatiche nacquero nel Cinquecento, e servivano a indicare il modello di lingua da utilizzare, dato che a quel tempo non si era ancora consolidata una tradizione univoca, soprattutto nell’ortografia. In molte regioni si parlava una specie di dialetto, perciò parve necessario allargare la conoscenza della lingua italiana, offrendo delle regole comuni per tutti, dall’ortografia alla fonetica, dalla morfologia alla sintassi.
Tra i precursori più importanti, come è noto, c’è stato Dante Alighieri.
Per imparare una lingua è sicuramente importante rispolverare le regole che abbiamo appreso a scuola, nell’aula dalle pareti bianche; al contempo, però, è bene anche lasciarsi stupire dalla storia millenaria e dalla bellezza che la grammatica può offrire attraverso le sue parole, i suoi suoni e le sue combinazioni.

Fonologia
Fonologia deriva dal greco phonè e sta a significare “suono”. Analizza i suoni delle varie lingue in rapporto alla loro funzione distintiva, ovvero in base alle loro proprietà percettive, acustiche e articolatorie.
I suoni vengono prodotti tramite l’apparato fonatorio che comprende i polmoni, i bronchi, la trachea, la laringe, la cavità della bocca e quella nasale. Quando l’aria passa dai polmoni, attraverso la laringe, fuoriuscendo dalla cavità orale, può subire alcune variazioni che portano a dei suoni ben distinti. Se le corde vocali vibrano, allora si avranno dei suoni sonori; se, invece, le corde vocali non si muovono, verranno prodotti dei suoni sordi.
La fonologia, come detto prima, studia il valore astratto dei foni, denominati fonemi. Il fonema è la rappresentazione mentale di un fono e consente di distinguere una parola dall’altra. In una determinata lingua, ogni fono corrisponde a dei fonemi distinti; tuttavia, i parlanti possono pronunciare un fono corrispondente a un fonema in una maniera differente, a seconda delle proprie differenze geografiche e sociali.
L’italiano deriva dal latino, dunque appartiene al gruppo delle lingue romanze. A partire dal III secolo, in quasi tutto il territorio romanzo, ci e ce subiscono un processo di palatalizzazione che ha portato alle attuali pronunce italiane ʧi e ʧe.
Le occlusive sorde bilabiali e coronali latine, invece, /p/ e /t/, si conservano all’inizio di parola; per esempio petram diviene pietra, tempus diventa tempo, ecc. Lo stesso vale per le occlusive bilabiali e coronali latine /b/ e /d/; bovem diventa bue, dentem diventa dente.

Morfologia
La morfologia, dal greco morphè che significa “forma”, studia la struttura interna delle parole, nonché le relazioni tra forma e senso e le loro combinazioni. L’unità di misura della morfologia è il morfema, un elemento minimo dotato di significato, di cui si compongono le parole.
La morfologia, a sua volta, può suddividersi in morfologia flessiva e morfologia derivativa. La prima concerne la flessione di nomi, aggettivi e verbi attraverso i cosiddetti morfemi flessivi, o desinenze. Le desinenze possono determinare la variazione della parola a seconda delle categorie di genere, numero, tempo e modo.
La morfologia derivativa, invece, riguarda il passaggio dalle parole di base a parole derivate, talvolta tramite l’aggiunta di affissi alla base lessicale, oppure mediante l’unione di due o più basi lessicali.
Nella morfologia flessiva si trovano diverse categorie: genere, numero, caso, tempo-aspetto-modo, persona-numero.
Nei nomi e negli aggettivi la flessione riguarda il numero e il genere; a seconda delle terminazioni si possono individuare sei classi flessive:
- La prima classe riguarda il genere maschile e ha come terminazioni -o/-i, per esempio libro/libri; esistono però delle eccezioni, come mano/mani;
- La seconda classe riguarda il genere femminile e ha come terminazioni -a/-e, per esempio porta/porte;
- La terza classe riguarda tre generi, il maschile, il femminile e l’ambigenere; ha come terminazione -e/-i, per esempio fiore/fiori, siepe/siepi, cantante/cantanti;
- La quarta classe è quella dei morfemi invariabili, per esempio re, città, film;
- La quinta classe riguarda il genere maschile e ha come terminazioni -a/-i, per esempio poeta/poeti; le eccezioni sono arma/armi, ala/ali;
- La sesta e ultima classe ha un genere alternante, le terminazioni sono -o/-a, per esempio dito/dita, uovo/uova.
La morfologia derivativa si suddivide in: prefissazione, nonché l’aggiunta di prefissi a sinistra della base lessicale, chiamati prefissati; suffissazione, nonché l’aggiunta di suffissi a destra della base lessicale, chiamati suffissati.
Tra i prefissati troviamo: allarme che può diventare preallarme; bello che può diventare strabello, ecc. Tra i suffissati troviamo: rumore che diviene rumoroso, quindi da un sostantivo si passa a un aggettivo, e anche a un verbo, rumoreggiare.

Sintassi
La sintassi, dal greco sỳntàksis, che sta a significare “disposizione”, “ordine”, studia i vari modi in cui le parole possono combinarsi tra di loro. Si fonda, dunque, su due principi fondamentali: quello della combinabilità e quello della sequenzialità.
Quando si parla di sintassi è bene menzionare il sintagma, nonché quel gruppo di parole che in una frase costituisce un’unità. Il centro del sintagma è chiamato testa, mentre gli elementi accessori, per esempio gli articoli e gli aggettivi, vengono chiamati modificatori.
A loro volta, i sintagmi possono suddividersi in: sintagma nominale, sintagma verbale, sintagma aggettivale e sintagma preposizionale.
Nel sintagma nominale, l’elemento principale è un nome; per esempio, nella frase ho comprato una rosa rossa, il sintagma nominale è una rosa rossa. Il sintagma verbale è costituito da una forma del verbo accompagnata da eventuali altri termini; si possono distinguere i sintagmi verbali finiti, per esempio Pietro scrive una lettera, e i non finiti, come Pietro ha l’intenzione di scrivere una lettera.
Il sintagma aggettivale ha un aggettivo come testa, e può essere formato da un aggettivo, per esempio la città è deserta e chiara; da un aggettivo modificato da un avverbio, come la città è molto grande; o da eventuali complementi, per esempio la città è sonora come una piazza.
Il sintagma preposizionale è composto da una preposizione che fa da testa del sintagma e da un elemento da essa retto. Come testa di un sintagma possiamo trovare diversi tipi di preposizioni: preposizioni proprie o primarie, di, a, da, in, con, su, per, tra, fra; preposizioni improprie o secondarie, dietro, avanti; locuzioni preposizionali, in luogo di, in funzione di, accanto a, di fronte a, fino a, vicino a.

Ortografia
Il termine ortografia deriva dal greco orthós, che significa “corretto”, e graphía, che vuol dire “scrittura”. Indica, infatti, quell’insieme di norme che regolano il modo di scrivere in una determinata lingua.
Tra le regole base dell’ortografia della lingua italiana, ricordiamo: ce/cie e ge/gie. Si usano ce e ge, nei plurali di nomi e aggettivi che finiscono in -cia e -gia, quando la c e la g sono precedute da una consonante.
Invece, cie e gie si usano in una serie di casi: nelle parole plurali in -cìa e -gìa; in quelle che terminano in -cia e -gia, solo se preceduti da vocale; nelle parole in -era ed -ere; nelle parole di origine latina.
Un altro caso è quello che riguarda cu e qu. Si usa cu davanti a consonante; nelle parole cuore, cuoco, innocuo, ecc.; nelle parole in cui -cua, -cue, -cui non formano un dittongo, come per esempio, arcuato.
Si usa qu, nelle corrispondenti parole in latino nelle quali era già presente, per esempio, aquila, quattro, ecc.; nelle parole che iniziano con quo- e i loro composti e derivati, per esempio, quota, quotidiano, equo, ecc.
Come si è visto, quando si affronta il tema della grammatica è inevitabile esaminare anche l’ortografia e, da qui, la punteggiatura, poiché risultano essere elementi essenziali per il corretto utilizzo della lingua scritta.
In tal senso è rilevante far notare che la punteggiatura, a sua volta, si può suddividere in punteggiatura tecnica e punteggiatura stilistica.
La prima riguarda l’insieme dei segni (punto, virgola, punto e virgola, due punti, ecc.) che serve a scandire il testo scritto, e a riprodurre le intonazioni del parlato; quindi, permette di separare parole, parti di frasi, e/o intere frasi. A seconda della posizione della punteggiatura, la frase può addirittura cambiare significato.
La seconda, invece, ha a che vedere con lo stile di ogni singolo autore. Infatti, è giusto che ogni autore crei un proprio stile, osando e giocando con la creatività, rispettando ovviamente la correttezza formale.

Domenica Licastro

(direfarescrivere, anno XX, n. 224, ottobre 2024)
 
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