Anno XX, n. 226
dicembre 2024
 
In primo piano
Rappresentare la condizione
dell’uomo tramite la poesia
Edita da Armando, la silloge di Andrea Castiglioni
ricolma di invettive e di profondi slanci letterari
di Renato Minore
Riportiamo qui di seguito l’intera Prefazione, redatta dal critico letterario Renato Minore, al testo Rappoesia (Armando, pp. 256, € 16,00) di Andrea Castiglioni, autore facente parte della nostra “Scuderia letteraria”.
Inoltre, per un ulteriore approfondimento sui contenuti della silloge rimandiamo all’analisi del testo, redatta dal critico letterario Guglielmo Colombero, apparsa sul Mensile di dibattito culturale e recensioni Bottega Scriptamanent (per leggere il contributo basta cliccare qui: http://www.bottegascriptamanent.it/?modulo=Articolo&id=2658&idedizione=212).

La Redazione




Prefazione
Ti racconto la mia storia, fratè
Perché non c’è niente di più vero
Che mi dice
Sono vivo, sto vivo…
Sono vivo, sto vivo…
Sono vivo, sto vivo…
Sono vivo, sto vivo…
(…)

Perché se ti racconto la mia storia
È perché te la voglio dire

Un pensiero, un grido, se volete un urlo. Lo si può considerare come si vuole. Una modulazione in sottotono, un ironico graffiante riepilogo, una bandiera a segnare uno spazio, con l’evidente e soffocante impronta del confine. Ma nella ripetizione, “sono vivo, sono vivo”, il pensiero (o il grido o l’urlo) prendono forma. Sono la designazione di una presenza, di una vita, tra il ricordo fievole e canzonato della ungarettiana “vita di un uomo” e il “lasciatemi divertire” di Palazzeschi, nella metamorfosi rap. Affiorano tormenti, paure, sentimenti, risentimenti, una “visione del mondo”, come la intendeva Lucien Goldmann, per lampi, zoomate, capovolgimenti. Affiora quel maelstrom in cui tutto è appena detto e ancora da dire, l’esitare che è replicare, di cui la rappoesia di Andrea “P.Untho” Castiglioni è la messa in scena e anche la violenta parodia di quella messa in scena.
La considerazione di essere (“io in queste cose mi ci intrigo”) trascina anche la conseguenza di essere una storia, “la mia storia”. Il racconto prende sostanza come a singhiozzi o a ripetizioni. Il singhiozzo esplode in una litania e la ripetizione si chiude in un oggettivo specchiarsi di un io scisso e diviso:

Tu lingua biforcuta, io che mangio cocci di vetro
Mi vengono in mente tremila cose meno una ogni minuto
Ho talmente la testa piena che esplode, aiuto

Nella sua scissione c’è la forza e anche il tormentato trascinamento della
voce del poeta. Vuole rappresentarsi, essere sul palco:

Se sono ancora in giro è perché cerco pezzi di me
Che il pezzo più grande c’ha un nome e un cognome
Che suona un po’ falso, come fosse parte di me.

Ma vuole anche rappresentare una condizione, un modo di sentirsi e di comunicare che può paradossalmente essere una voce anche “altra”, di altri: “l’uomo nello specchio”. Una voce che, nel ritmo di una danza, diventa voce di tutti e di ognuno. E anche la voce di chi, alterando il suo tono, sente una possibile/impossibile empatia. Disegna la mappa che è il territorio e il territorio è quel trascinamento che include ed esclude. Ironicamente, dolorosamente, nel ritmo anche strafottente che scivola via, tra “grandi scommesse”, “ferite aperte”, “soliti ritornelli”:

Questa è la vita
Pugni in alto per ballare
Pugni in alto per dire
Che cazzo avranno da fare tutte ste persone
Se non pensare… pensare… pensare
Cose buone o cattive di noi.

L’evidente allentarsi dei legami logico-sintattici nella scansione dei versi, di cui ha scritto Giuseppe Antonelli analizzando le forme poetiche legate alla canzone, produce una continua oscillazione, un molto variato intrecciarsi di temi e di suggestioni. I toni possono anche improvvisamente variare, acquistare sfumature che si incrociano e possono divergere. Una specie di tsunami che induce a risagomare l’io, un “naufrago alla deriva che balla sulle macerie del mondo”. E ancora il puzzle dell’esistenza con i suoi risvolti indecifrabili, i ricordi nell’arco compreso tra traumi giovanili, speranze disattese, delusioni e smacchi amorosi, amicizie tradite. Il patetico quasi crepuscolare risvolto autobiografico e il riflessivo “filosofico” sul senso della vita sbriciolato in flash, pensieri divorati dall’urgenza di dirsi. E ancora più ampie costruzioni e interrogativi riempiono di senso e di possibilità la complessiva “visione del mondo”, cui si è accennato, per la cui definizione non so con quanta consapevolezza il rap di Castiglioni si snoda spostando sempre il centro del bersaglio forse per meglio centrarlo. E azzardando anche qua e là qualche più esplicita dichiarazione di poetica sperimentata con il linguaggio secondo le modalità del rapper nelle punchline, i giochi di parole:

Scrivo all’indicativo presente lettere al futuro e passato
Così da provare a fregare il tempo prima che ci freghi lui
Nero su bianco non ci sono sfumature
Che è come essere un vegano a cui non piacciono le verdure
Penna e calamaio nelle emozioni del mio cuore
Che riempie tutto il foglio come petrolio
Che brucia, prende fuoco questo mondo
Prima di morire e ascoltare un’altra canzone

Selezione naturale, evoluzione della specie, l’uomo nello specchio, inkognita, anonimo, RKR kaso rosso kupo, PDP partigiano della parola, diecimila buone ragioni, prima la parola, pensodenso: racchiuso nelle dieci sezioni dai titoli squillanti e fortemente denotativi, il format della rappoesia di Castiglioni è pronto per essere detto, per essere pronunziato, per essere interpretato nella lettura orale. Ma non è poesia orale. Con le sue invettive politiche e le strizzate d’orecchio letterarie Castiglioni sa di giocare a slang e neologismi con il “poetico” di una tradizione che si direbbe un po’ futurista e un po’ sperimentalista. Sa che il testo non è un pre-testo, ma qualcosa di organico e di definito, aperto alla lettura e alla successiva interpretazione sul palco dove le sue parole possono risuonare con l’intensità rumorosa del “naufrago alla deriva”:

Scrivo all’indicativo presente lettere al futuro e passato
Così da provare a fregare il tempo prima che ci freghi lui
Nero su bianco non ci sono sfumature
Che è come essere un vegano a cui non piacciono le verdure
Penna e calamaio nelle emozioni del mio cuore
Che riempie tutto il foglio come petrolio
Che brucia, prende fuoco questo mondo
Prima di morire e ascoltare un’altra canzone

Oppure può alzare la voce con una sconsolata invettiva sull’Italia, il suo “carattere” e, sullo sfondo, il carattere di chi la governa:

L’Italia è un paese fondato sul dolore degli altri
Che hanno sempre ragione loro
Ustica, Bologna, il delitto Moro
E tutti gli altri che negli anni
Non hanno mai cambiato né volto né occhi
Vuoi tu italiano prendere la qui presente Italia
Nella buona e cattiva sorte
Fino alla fine del contratto
O della prossima legislatura?

Renato Minore

(direfarescrivere, anno XX, n. 218, marzo 2024)
 
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