Nell’immaginario collettivo il processo penale è la rappresentazione plastica della giustizia: un accusatore, un imputato, assistito dal suo difensore, e un giudice terzo che dovrà emettere una sentenza, con tanto di toga e martelletto con il quale richiamare tutti all’ordine. La spettacolarizzazione della giustizia, e la divisione dell’opinione pubblica in fazioni “innocentiste” e “colpevoliste”, non sono certo una novità degli ultimi anni; questo perché il processo stesso è un dramma, un rito con ruoli, tempi e modi ben precisi, a cui la società ha deciso di affidare la dichiarazione di colpevolezza o di innocenza di un uomo di fronte a un fatto delittuoso.
Si tratta di una macchina antica che, specie nelle democrazie fondate sull’habeas corpus e sulla tutela della libertà personale del cittadino, deve essere ben oliata e funzionante. Eppure, come tutte le cose umane, anche la giustizia è fallibile. Anche la giustizia può sbagliare e condannare, con il suo errore, un innocente. Ed è proprio il fallimento della macchina giudiziaria l’argomento del saggio La falsa giustizia. La genesi degli errori giudiziari e come prevenirli (Infinito edizioni, pp. 346, € 17,00) di Luciano Garofano, ex generale dei Carabinieri del Ris di Parma, presidente dell’Accademia italiana di Scienze forensi, e di Maria Gaia Pensieri, criminologa investigativa e docente universitaria.
Italia e Stati Uniti: due sistemi giudiziari a confronto
I legal drama americani sono un genere letterario, cinematografico e televisivo di lungo corso che ha influito in misura rilevante sulla cultura occidentale e sulla rappresentazione corale del processo inteso come vivace scambio di tesi tra avvocati, subito pronti a inchiodare il testimone di turno con domande a trabocchetto per impressionare la giuria popolare. L’impatto culturale di questa rappresentazione è tale che qualche osservatore distratto, specie dopo la riforma del 1988 del Codice di procedura penale e l’abbandono del sistema inquisitorio, potrebbe pensare che ormai anche in Italia i processi penali si celebrano in questo modo.
Gli autori di La falsa giustizia sembrano essere ben consapevoli di ciò e, infatti, dedicano la prima parte della loro opera proprio a un’analisi comparata dei due sistemi giudiziari. Vengono quindi presentate analogie e differenze tra il sistema giuridico d’oltreoceano e quello nostrano, anche attraverso numerosi e precisi riferimenti al codice di procedura penale. Gli autori riescono a riassumere in poche pagine norme complesse e contenuti di elevato livello tecnico, il tutto per fornire al lettore un kit di strumenti necessario per addentrarsi nelle pagine successive, espressamente dedicate alle tecniche investigative e agli errori che possono viziarle.
Il costante richiamo all’esperienza statunitense non è dovuto solamente alla sua influenza nell’immaginario collettivo ma principalmente per la qualità raggiunta negli Usa sulla definizione di linee guida e di check-list minuziose nelle indagini di laboratorio e nella raccolta degli elementi probatori sulla scena del crimine. Il confronto con la realtà americana si spiega soprattutto per il ruolo sempre più determinante rivestito dall’Innocent Project, associazione non governativa nata per contrastare le storture della giustizia Usa e difendere gli imputati ingiustamente condannati. La riflessione sull’errore giudiziario, e sulla necessità di dedicare sempre più attenzione alla riapertura di casi dubbi e alle richieste di revisione di sentenze passate in giudicato, è stata in grado di affermarsi nel dibattito pubblico di diversi stati della repubblica a stelle e strisce, con conseguenze concrete anche sulla legislazione penale. Un esempio che nel 2014 è stato raccolto anche in Italia, con l’inaugurazione a Milano della prima sede dell’Innocent Project.
Errare è umano, perseverare è diabolico
Dopo aver descritto il procedimento penale italiano e statunitense, con l’esposizione dei relativi mezzi di prova nel processo, il saggio si concentra sul ruolo e sulla psicologia della testimonianza, nonché sull’apporto delle scienze forensi. Gli autori tratteggiano gli aspetti più critici di tali strumenti, elencando una serie di errori in grado di minare irreversibilmente la ricostruzione del fatto costituente reato e, in definitiva, condurre alla condanna di un innocente. In quello che appare come un vero e proprio compendio di passi falsi e di ciò che non si deve fare, Garofano e Pensieri alternano critica e proposta, smontano prassi pericolose e propongono soluzioni alternative per non perseverare nell’errore.
Grande attenzione viene dedicata alla prova del Dna e alle proposte per renderla più efficace per «le giuste condanne e l’assoluzione degli innocenti». Tale prova, infatti, si è dimostrata fondamentale in decine di casi di revisione condotti con coraggio dagli avvocati dell’Innocent Project: processi riaperti e chiusi con l’affermazione di non colpevolezza di uomini e donne ingiustamente sottoposti a detenzioni decennali e alla rovina delle loro vite.
Proprio l’analisi dei casi più eclatanti di falsa giustizia e di madornali errori giudiziari, in Usa e in Italia, rappresenta la parte più scorrevole e avvincente del libro. Con gli strumenti forniti in precedenza dagli autori, sia sotto il profilo processuale sia sotto quello investigativo, il lettore viene messo nelle condizioni di capire dove e perché la macchina della giustizia si è inceppata, ripetendo gli stessi errori anche in più gradi di giudizio.
Sono diversi i richiami ai casi clamorosi di “mala giustizia” in Italia o di errata conduzione delle indagini preliminari: dall’omicidio Vannini al delitto Meredith Kercher, dalla revisione del caso Gullotta agli errori commessi nel caso Basile. A questi si accompagnano i casi statunitensi che hanno fatto scuola e, in alcuni casi, convinto gli esperti e le autorità a rivedere protocolli operativi e a sconfessare sedicenti “esperti forensi”.
Un testo tecnico per un tema ancora troppo sottovalutato
«Il processo tende ad accertare la verità fattuale, che ha di per sé una difficoltà epistemologico-cognitiva connessa alla descrizione e ricostruzione degli eventi criminosi e alla ricerca e scelta degli elementi di prova, che l’indagine giudiziaria deve riuscire a far transitare all’interno del dibattimento. Ciò che si accerta, quindi, è una verità approssimativa, relativa, ma plausibile, che la dialettica dibattimentale cercherà di far coincidere con la realtà dei fatti. Sicuramente non si riuscirà mai a eliminare l’errore umano nel giudizio, ma il tentativo di ridurre il patimento di chi, ingiustamente condannato, paga con il carcere, deve essere affrontato anche per non alimentare nella comunità l’idea di una falsa giustizia, che non rende onore alle vittime di reati e ai loro familiari».
Queste parole, tratta dalle conclusioni degli autori, rivelano la natura del libro: un testo non immediatamente accessibile, anche visto il suo taglio tecnico e accademico, consigliato soprattutto a chi è dotato di alcuni rudimenti di cultura giuridica; un libro che, tuttavia, non rimane precluso a chi ne è totalmente privo. L’opera è una riflessione meticolosa e ben scritta su un tema che meriterebbe più attenzione nel confuso, e a tratti qualunquistico, panorama del dibattito pubblico in tema di giustizia. Capire l’errore giudiziario, studiare e applicare i modi per prevenirlo e, prima ancora, per riconoscerlo, rappresenta un passo fondamentale per qualsiasi democrazia. Nello Stato liberale la libertà personale può essere limitata solo nei casi previsti dalla legge, può essere privata solo come pena per un’azione delittuosa imputabile per dolo o colpa. Lo Stato non può violare la sfera personale dell’individuo e, nel momento in cui è costretto a farlo, tale limitazione deve passare sotto il vaglio di un giudice.
Per questo l’errore giudiziario, quello che limita e viola illegittimamente la libertà di un cittadino, rappresenta forse il trauma più grande in cui può imbattersi lo Stato liberale. Per questo è necessario coltivare una cultura giuridica e scientifica più attenta e più garantista. Un’opera di pedagogia e di applicazione del dettato costituzionale che deve partire sin dall’università, modificando i corsi di giurisprudenza, come suggerito dagli autori. Un’azione riformatrice che necessita di altri contributi come La falsa giustizia.
«La legge determina le condizioni e i modi per la riparazione degli errori giudiziari», recita l’art. 24, comma 4, della Costituzione italiana. L’errore giudiziario, quindi, è implicitamente riconosciuto e accettato come un’eventualità nefasta a cui porre rimedio. Ma dagli errori si deve imparare affinché non si ripetano più: specie se a essere in gioco è la libertà personale.
Alessandro Milito
(direfarescrivere, anno XVII, n. 186-187, luglio-agosto 2021)
|