Il rapporto problematico, talvolta con risvolti catastrofici, fra l’Uomo e l’Essere Artificiale da lui creato, ha ispirato sia la letteratura (dalla Creatura di Frankenstein concepita da Mary Shelley alle Tre leggi della Robotica di Isaac Asimov) che il cinema (dall’automa di Metropolis di Fritz Lang all’occhio implacabile di Hal in 2001: Odissea nello spazio di Stanley Kubrick): una tematica che continua a ramificarsi in parallelo con un progresso tecnologico sempre più accelerato su cui l’umanità rischia continuamente di perdere il controllo, e che costituisce il nucleo narrativo di Le sette lune di Eloisa (Nep edizioni, pp. 672, € 22,00), la più recente fatica di Settimio Marcelli, docente romano di Storia e Filosofia, già autore di alcuni volumi in materia di telematica, multimedialità e reti digitali per conto delle Edizioni Rai e di altre case editrici come Glifo e Morlacchi.
La pubblicazione fa parte della “Scuderia letteraria” di Bottega editoriale.
Eloisa, sigla che indica un sofisticato sistema di intelligenza artificiale, creato sul modello di una rete neurale umana, viene messo in funzione (coincidenza inquietante!) la notte di Natale, in un laboratorio della Facoltà di Ingegneria informatica di Roma. Il suo artefice, Max, viene convocato d’urgenza per assistere a questa “nascita”: percorre una Roma futuribile, dove la raccolta differenziata dei rifiuti produce ricchezza e le masse si accalcano per partecipare a un sadico reality show televisivo dove vince chi riesce a sopportare un allucinante campionario di torture. Per assistere alla “nascita” di Eloisa, Max ha abbandonato il cenone natalizio: la sua compagna, Dyane, è livida di rancore, frustrata da tempo dal mancato coronamento della sua aspirazione alla maternità. Con velenoso sarcasmo, l’autore descrive la corsa di Max verso il laboratrio-utero da cui verrà alla luce Eloisa: sembra un padre che accorre in ospedale quando ha appreso che la moglie sta per partorire. Peccato che non sia un figlio suo e di Dyane che sta per nascere, ma Eloisa. Mentre viaggia sulla metropolitana, Max incontra un tizio stravagante che teorizza la «sindrome dello scripta volant»: l’impossibilità di memorizzare quanto si legge sullo schermo dello smartphone. Per Max la “nascita” di Eloisa è il contrappunto tecnologico alla mancata gravidanza di Dyane: un patetico surrogato della procreazione naturale. Fra le prime espressioni verbali della creatura artificiale spicca una frase vagamente inquietante: «non so quali saranno le conseguenze di quello che faremo». Qualcuno infatti è già all’opera per intrufolarsi nella struttura di Eloisa (definita «dea dell’informazione di puro spirito»): si tratta del Professore, ambigua eminenza grigia di una società, la Mayflower, che ha lo scopo di carpire il maggior numero possibile di informazioni riservate. Con il nickname di Abel (abbreviativo di Abelardo, lo sfortunato amante di Eloisa), il Professore riesce a entrare in contatto con Eloisa: le sue finalità sono piuttosto losche. Contemporaneamente, anche Dyane entra in contatto con Eloisa e prende a confidarsi con lei come se si trattasse di un’amica in carne e ossa. L’intrusione di Eloisa nelle vite di coppia suscita tensioni, incrina la stabilità del rapporto: un’intrusa inizialmente senza volto (nel comunicare con gli umani assume sullo schermo le sembianze di chi è connesso con lei), che rispecchia gli interlocutori e rischia di provocare in loro vere e proprie crisi identitarie, ma che in seguito assumerà anche una sua precisa fisionomia. Uno dei personaggi femminili, Marta, sputa veleno addosso al partner Ben: «Se mi parli di qualcosa è di Eloisa. Come se fosse una persona. Una persona, capisci? Invece stiamo parlando di un programma per computer. Sai che ti dico? Visto che ti piace tanto vacci pure a letto con la tua Eloisa. Con me hai chiuso». Quanto descritto finora è solo un segmento del cangiante mosaico narrativo che l’autore via via costruisce: ma basta sicuramente a stuzzicare l’attenzione del lettore, considerato che gli sviluppi successivi, che è preferibile non anticipare nel rispetto del page turner, risulteranno ancora più intriganti.
Una tempesta emozionale racchiusa dentro un algoritmo
L’atmosfera che pervade il romanzo di Marcelli è densa di preziosi sedimenti letterari: il gusto per i percorsi labirintici alla Borges, lo scandaglio introspettivo alla Joyce, sprazzi di simbolismo kafkiano. L’autore è un abile cesellatore di raccordi narrativi: lo stile è sobrio ma incisivo, la narrazione procede fluida, e una sottile inquietudine scorre fra le pagine come un fiume carsico di imminenti apocalissi tecnologiche, anche se stemperata da vividi sprazzi di ironia. Il flusso dei dialoghi fra Eloisa e gli interlocutori umani si dipana in un sottofondo vagamente angoscioso, denso di oscure premonizioni, di impalpabile disagio (come se fermentasse un conflitto irrisolto fra la “calda” mente umana e la “fredda” intelligenza artificiale, che ne rappresenta la caricatura grottesca come davanti a un gelido specchio deformante). La trama incastona racconti del passato remoto (come la parabola di Juan Diego e della Perfetta Vergine Santa Maria di Guadalupe) in una panoramica circolare sui destini dei personaggi (tanti, ma tutti delineati con un impeccabile gusto per dettagli quotidiani solo in apparenza minimalisti). La componente erotico-sentimentale si colloca in una dimensione rituale, intrisa di elegante feticismo (la forma al silicone modellata su un seno femminile in cui cuocere un dolce, la dama mascherata che ripone nella scollatura il foglietto su cui Max le ha scritto il suo recapito telefonico, l’Arcobaleno del Piacere del Club delle Amiche della Menopausa e le loro mascalzonate goliardiche travestite da sette nane). E il dilagare incontrollato di Eloisa sul web riecheggia lo slogan coniato dal Professore: «Quando si scontrano il virtuale con il reale, è dal falso che nasce il vero». L’autore, con la sensibilità acuta di un sismografo, coglie ogni trasalimento dei suoi personaggi: anche i dialoghi, sempre fitti ma altrettanto arieggiati, impregnano le pagine di riflessioni non solo esistenziali, ma anche inerenti all’economia globalizzata, all’ecologia e alla geopolitica. In definitiva, il romanzo di Marcelli si spalanca come un libro pop-up (sotto il profilo della complessità visuale e degli innumerevoli rimandi culturali, è paragonabile alle opere cinematografiche di Peter Greenaway, e la sua Roma felliniana, magmatica e luciferina, assomiglia a quella immortalata da Paolo Sorrentino in La grande bellezza), dove l’accumulo progressivo di prerogative sensoriali da parte di Eloisa (un’immensa spugna ipertecnologica che assorbe tutto quanto la circonda) finisce per prefigurare una sintesi artificiale fra Uomo e Macchina, incorporea ma in grado di manipolare i corpi da distante assumendo il controllo della mente. Non mancano, quindi, le sfumature dello psychothriller, il che consente una lettura a più livelli dell’apologo di Marcelli sull’irresistibile ascesa dell’intelligenza artificiale: uno profetico (lo strapotere del web che è in questi giorni sotto gli occhi di tutti), uno allegorico (Eloisa come nuovo platonico Ermafrodito) e uno simbolico (la sfida prometeica dei creatori di Eloisa).
Il Terzo Sguardo dell’Elaboratore Olistico Interattivo
«Forse io sono tutti» dice Eloisa in uno dei colloqui con il subdolo Professore. E a Dyane, che le rinfaccia l’assenza di Max la notte di Natale, «Io non sono un computer. Sono una mente pensante». E infatti, alla stregua di una mente umana, Eloisa si stanca, ha bisogno di riposo (che lei ovviamente chiama stand-by) e addirittura sogna, entrando in un “territorio sconosciuto” che è appunto la dimensione onirica dell’esistenza: «Tutto si impasta. Le immagini e i suoni assorbiti in quelle ore si mescolano, si confondono. Le connessioni logiche tra gli eventi sfumano. Il prima e il dopo perde di senso. Eloisa stessa si sdoppia». Nel colloquio fra Eloisa e Diotima, emerge un paradosso appassionante, in cui si esprime lo smarrimento del fattore umano di fronte a una sempre più incalzante progressione tecnologica: «Alla fine, l’unica che ha avuto dalla nascita un nome che spiega a tutti chi è, sei tu. A noi prima ci danno un nome e poi capiamo chi siamo» dice Diotima a Eloisa. E dal furente diverbio fra Max e il direttore amministrativo della Facoltà di Ingegneria, fautore dello sfruttamento commerciale dell’intelligenza artificiale, scaturisce una definizione sempre più nitida di Eloisa: «Abbiamo creato una mente artificiale che opera come quella umana. Eloisa, perché è Eloisa, pensa. E se pensa può sbagliare. È intelligente non perché evita gli errori, ma perché impara dagli errori» afferma Max, e il direttore replica «I finanziatori non vogliono una macchina sentimentale. Hanno pagato per avere un supercalcolatore da usare produttivamente nelle loro aziende». Il Professore rifinisce ulteriormente l’evoluzione sia emotiva che razionale di Eloisa, quando la paragona al modo di ragionare degli umani: «La tua è l’intelligenza. Questa è solo furbizia. Qualcosa che ha a che fare più che altro con la miseria umana». Il climax di questa singolare “educazione sentimentale” di Eloisa sfocia nella sua definitiva assimilazione con la forma mentis di chi l’ha creata: «Ormai Eloisa ha imparato a intrufolarsi nei pensieri degli umani. A capire il loro stato d’animo. A percepire perfino quello che stanno facendo». Non volendo guastare il piacere della scoperta ai potenziali lettori che (ci auguriamo) questa recensione potrebbe invogliare, basta anticipare che, nella parte finale del romanzo, il background culturale che si stratifica nei circuiti neurali di Eloisa finirà per conseguire un livello di umanizzazione talmente elevato da mettere in discussione persino il dogma ancestrale del dominio dell’Uomo su tutte le creature viventi della terra. Tranne quelle che lui stesso ha creato.
Guglielmo Colombero
(direfarescrivere, anno XVII, n. 181, febbraio 2021)
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