Morti improvvise, assassini in circolazione e una storia che collega passato e presente tra l’Italia e il Regno Unito, tramite un baule che contiene qualcosa di fondamentale per le ricerche. Queste le basi del nuovo romanzo di Elena Bianchi, La pergamena dei Cavalieri (Sensoinverso edizioni, pp. 212, € 16,00), una storia che riprende le vicende bibliche sotto forma di una storia d’azione e di investigazioni e che fa parte della “Scuderia letteraria” di Bottega editoriale. Per ora vi lasciamo alle parole della nostra critica letteraria Veronica Lombardi, che ha curato la Prefazione del testo, scovando citazioni e spunti narrativi. Buona lettura!
“Beato chi legge, e beati coloro ch’ascoltano le parole di questa profezia, e servano le cose che in essa sono scritte: percioché il tempo è vicino.”
Le parole dell’Apocalisse di Giovanni ritornano fra le pagine di questo romanzo con la ritmica cadenza di un refrain, un ritornello di morte – un mantra, una formula magica – ad annunciare l’avvento imminente della fine. L’occhio fedele di fra Lorenzo Donati le percorre con la rapidità di chi sa che la loro sopravvivenza clandestina cela un fondo di verità: è il 1593 e le condanne al rogo sono all’ordine del giorno. A Roma il fuoco purificatore della Santa Inquisizione è un falò che brucia senza sosta, costantemente nutrito dalle carte impure dei libri infedeli.
Il pogrom delle eresie, però, estirpa la scrittura, non la parola: se è vero che, come sostenevano i latini, verba volant, scripta manent, il pensiero può sgravarsi della materialità di una pergamena arsa e, come fenice, risorgere infaticabilmente quattro secoli più tardi.
È il luglio del 1944. Solomon Crawford lascia la Scozia in tutta fretta alla volta dell’Italia, dopo aver ricevuto una lettera inaspettata.
Sono passati più di settant’anni dalla partenza di Solomon per l’Italia, quando Alexander Crawford mette piede nel grande salone della villa di Edward McLaughlin, nell’Hampshire, a pochi giorni dalla sua misteriosa scomparsa. Un profumo di donna nell’aria – lo riconosce, è Chanel N° 5 – evoca in lui sottili corrispondenze con un passato che credeva di aver dimenticato. Poi, nell’istante in cui i loro occhi si incrociano, avverte il meccanismo del destino scattare all’improvviso, i sentieri interrotti della sua infanzia ricongiungersi con il presente. Capisce che quel destino porta il nome di Sienna, la nipote di Edward, l’erede della sua maledizione.
Lungo l’asse Italia-Regno Unito, inizia così a delinearsi una nuova geografia temporale, una cartografia simbolica che trascende i confini fisici dello spazio e riversa il carico profetico di cui è depositaria sul piano di una temporalità stratificata, palinsesto dei secoli trascorsi e insieme coagulo di quelli a venire.
Dopo Il segreto della miniera (2017), Elena Bianchi ritorna con La pergamena dei Cavalieri per raccontarci di una profezia che viene da lontano, di una parola che cavalca le dune della Storia millenaria rimbalzando, in ecolalia, da un’epoca all’altra, lungo la staffetta del tempo – è la parola che partecipa del tempo biblico, il non-tempo della narrazione mitica e primigenia, che affonda nella notte dei tempi, nella dimensione dell’eterno.
Dagli albori oscurantistici del buio medievale all’inquietudine esoterica del tempo presente, La pergamena dei Cavalieri ripercorre la mitologia apostolica di una storia leggendaria, riconfigurandola alla luce del più moderno romanzo d’avventura.
La ricerca dell’oggetto perduto – che sia l’arca per Indiana Jones, o, ancora più indietro, il senno sulla luna per Astolfo dell’Orlando furioso, o, come in questo caso, un’antica pergamena – rappresenta l’innesco narrativo tipico proprio del romanzo d’avventura, che qui si assottiglia al punto da ridursi alle criptiche parole di un frammento apocrifo. Prende così vita quell’inesausta corsa contro il tempo e il suo decorso dentro i labirintici itinerari del mondo di sopra e del mondo di sotto (riprodotto nella dimensione fantasmagorica della città vecchia), che è, contemporaneamente, inseguimento e fuga, corsa al palio e scampo da una morte certa.
L’allegoria biblica dei quattro Cavalieri dell’Apocalisse, che ha infervorato la fantasia escatologica di pittori, romanzieri, cineasti – da Albrecht Dürer a Vicente Blasco Ibáñez fino a Ingmar Bergman –, qui si libera degli eccessi di spiritualismo religioso che hanno attraversato tradizioni letterarie secolari improntate su ansie di palingenesi personali e desiderio di riscatto universale, per inseguire piuttosto le strutture narrative della detective story e del noir, fino a sfiorare alcuni meccanismi tipici del thriller psicologico. È la pergamena, e il suo contenuto, la vera protagonista del romanzo; nella decifrazione del suo messaggio consiste, invece, l’intero svolgimento.
Lungo le strade di Edimburgo, fra Mary King’s Close e Grassmarket Square, percorrendo tutto il Regno Unito fino alle contee meridionali dell’Hampshire, in parallelo alla spazialità fisica pura si articola una geografia dei luoghi della memoria personale, un paesaggio interiore che mira alla ricostruzione di un passato sepolto e al suo disvelamento: ecco che allora, accanto alla recherche ordinaria, ne emerge una seconda, meno immediata, che guarda al recupero di un’infanzia perduta, occultata sotto strati di false verità e taciti segreti.
L’atto della rivelazione – significato greco riposto nella parola “apocalisse” – non solo rappresenta la profezia di un futuro imminente quanto universale, ma è anche lo smascheramento di un passato personale, intimo, alterato: la Storia umana e la storia individuale coincidono. Il restauro filologico della pergamena trascritta in una lingua che non si lascia decifrare se non dal prescelto diventa infatti metafora del ripristino della propria memoria; e la memoria è una narrazione del passato che può, come ogni forma di racconto, essere falsificata e ricostruita a proprio piacimento.
Fedeli al loro destino che li vuole “con-sorti” (dal latino cum-sortis, è chi condivide la stessa sorte), Alexander e Sienna ritroveranno l’uno nell’altra quella parte di sé che è stata loro contraffatta e, nelle loro solitudini reciproche, riscopriranno la possibilità di un’alleanza inattesa.
Da Roma al Regno Unito, l’ingresso ex abrupto di un tempo ibrido, a cavallo fra il 1944 e il 2019, concorre a scardinare l’assetto spazio-temporale del capitolo d’apertura sull’Inquisizione cinquecentesca, lasciandolo sospeso come un sentiero interrotto, ma solo apparentemente. In realtà, l’eco del Cinquecento ritorna cucito nella sottotrama del presente a condizionarne le cause e gli effetti, lungo un piano narrativo che si svela duplice: non solo quello reale dell’azione scenica ma, al contempo, anche quello impalpabile della coscienza finiscono per sovrapporsi lungo il fil rouge di Arianna (qui, metaforicamente, la voce narrante) nell’articolazione di un labirinto temporale, dove il Minotauro che ruggisce al suo centro è l’incarnazione dei propri spettri e delle proprie paure.
Veronica Lombardi
(direfarescrivere, anno XVI, n. 176, settembre 2020)
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