Con una critica al Sessantotto emerge
un nuovo interessante genere letterario
Per il Seme Bianco il nuovo romanzo “vero” di Alfio Giuffrida:
la denuncia sociale completa, dalla politica all’accettazione di sé
di Rosita Mazzei
La sofferenza, purtroppo, non disdegna nessuno, stringendo a sé chiunque sia costretto ad abbandonarsi tra le sue braccia. Essa è priva di padroni ed è l’amante di chiunque sia così sfortunato da incontrarla. La nostra società tende a voler vedere solo la perfezione, cercando di allontanare gli ultimi e gli emarginati per non dover fare i conti con se stessa e i propri fallimenti. Ed è così che molti individui smettono di credere alla realtà più dura e violenta, una realtà dove i poveri e gli oppressi vengono visti come un peso e un fastidio da nascondere alla vista della classe benestante.
La fame, la miseria, la prostituzione, la tossicodipendenza… sono drammi che in realtà ci infastidiscono poiché davanti a essi ci rendiamo conto di quanto siano indegne le nostre lamentele e di quanto poco empatiche siano le nostre anime. Ci infastidisce sapere che i nostri problemi quotidiani non siano gravi quanto noi crediamo e, soprattutto, ci disturba il richiamo a una coscienza globale dove l’ultimo merita di avere i nostri stessi diritti. Ed è di questo e di molto altro che ci parla l’autore Alfio Giuffrida nel suo libro Odore di sujo (il Seme Bianco, pp. 200, € 17,90), opera dal forte impatto emotivo, che fa parte della “Scuderia letteraria” di Bottega editoriale.
Un romanzo che testimonia l’ingiustizia sociale
A introdurre il romanzo in questione è la Prefazione dell’importante critico letterario Renato Minore. In essa si comprende perfettamente il valore morale che questo libro porta con sé. Il vissuto della protagonista, afferma Minore, ci permette di comprendere l’enorme importanza che ha avuto un periodo storico come il ’68, un anno che ha certo diviso in due la società tra chi lo credeva capace di portare l’umanità verso nuovi orizzonti tramite degli equi diritti civili e chi in esso, invece, vedeva la più completa decadenza della società borghese e non solo.
Un’opera, continua il critico, che permette a ogni protagonista presente, ma anche al lettore, di esprimere la propria idea su quel periodo così tormentato e decisivo: esso, per utilizzare le parole dello stesso Minore, è «costruito come il piccolo teatro di una conversazione con sulla scena una collettiva discussione a più voci in cui ognuno esprime il proprio punto di vista sul decadimento dei costumi, il lascito degli ideali e il confronto/scontro con la rugosa realtà in cui ognuno porta il peso della propria esperienza».
Una vita segnata dall’amore e dalla rivoluzione
Alfio Giuffrida ci introduce in una nuova corrente letteraria: il Verismo interattivo. Questa terminologia non ci è affatto nuova, dato che era stata già utilizzata per i suoi precedenti romanzi proprio dall’autore in questione. La presentazione della corrente in questione è stata trattata in un articolo di Maria Chiara Paone nel mese di settembre (per leggerlo integralmente basta seguire il link: www.bottegaeditoriale.it/questionidieditoria.asp?id=192), in cui si afferma che i fatti raccontati devono essere ispirati a qualcosa di vero, ma la trama non serve che sia necessariamente tutta vera, l’importante è che sia semplicemente plausibile. Così l’autore si ritrova ad avere una maggiore autonomia nello scrivere, mettendosi su un piano più “onesto” con il lettore, senza aver bisogno di pubblicità riflessa derivata dall’affermazione ormai solita in tutti i libri o film: “è ispirato a un fatto vero”, quando invece, visto che per motivi di privacy i fatti veri non sempre possono essere raccontati, il riferimento ad essi è minimo. Come si afferma nel citato articolo questa è una caratteristica «assolutamente indispensabile per i temi trattati: in luogo di innamoramenti fugaci, figli ritrovati e argomentazioni, quindi, più banali e viste, Giuffrida vuole provare a parlare di temi più impegnati, portando così una vera rivoluzione nel panorama letterario italiano degli ultimi anni».
Protagonista assoluta della narrazione è sicuramente Jennifer, donna (o forse sarebbe meglio dire “personaggio”) cubana costretta alla prostituzione dalla fame e dalla necessità di ritrovare il proprio figlio. La storia però parte dalla fine del racconto: lo snodo della vicenda è Giorgio, un tossicodipendente che si ritrova all’ospedale dopo essere stato aggredito, mentre suo cognato accorre in ospedale per sincerarsi delle sue condizioni. È qui che avviene l’incontro con Jennifer che, con una lunga serie di flashback, metterà al corrente i presenti e il lettore della sua drammatica storia.
Tutto ebbe inizio durante il periodo del ’68, anni di fermento internazionale in cui molti si trovarono a lottare per i propri diritti, ma anche per quelli dell’intera umanità. Non tutti, però, furono in grado di elevarsi tramite le lotte politiche e sociali. In questo senso l’autore ci presenta due personaggi tipici, nati proprio dalla babilonia generata dal movimento del sessantotto: da un lato c’è Giorgio che, credendo di avere innanzi a sé un mare di opportunità, si ritrovò a vagare in un oceano di manipolazioni e droga che distrussero la sua intera esistenza; ma anche la stessa Jennifer, che diventa la compagna di Giorgio, scappata dalla Cuba rivoluzionaria in cui ha rischiato di morire perché impegnata in una lotta clandestina contro il nuovo assetto politico. Dall’altro lato c’è il Dott. Vichi, lui era uno di quelli: «che avevano la faccia pulita dei “figli di papà”, approfittarono della confusione generale che regnava in quegli anni per prendere il dominio con la forza e la prepotenza. Lui seppe giostrarsi tra la vecchia e la nuova corrente assumendo una doppia personalità; un istrione che aveva avuto l’abilità di mostrarsi sempre come un eroe anche quando era solo uno sfruttatore.
Una volta raggiunta l’autorità di governare, non esitò a corrompere e truffare gli altri. Ormai il suo traguardo, come tutti i suoi “onorevoli” colleghi, non era neanche quello di fare quanti più soldi possibile: di quelli ne aveva fin troppi. Ciò che tutti desideravano era aumentare a dismisura il potere.» È lui i l politico che, proprio quando vede che il suo potere può frantumarsi in un attimo, non esita a escogitare un piano diabolico per uccidere a sangue freddo quello che era stato il suo migliore amico. Una azione impossibile per chiunque, ma non per lui che, essendo un “onorevole” sapeva di esercitare un grande e immeritato carisma sulla gente che gli stava intorno.
Lo sporcizia dei soldi
Giuffrida ci spalanca le porte su un mondo fatto di depravazione nascosta sotto le sembianze della ricchezza e del buon costume. Il titolo stesso del romanzo ci fa comprendere perfettamente quanto l’ipocrisia sia la malattia peggiore per la classe dirigente, troppo impegnata a fagocitare risorse per accorgersi del male che sparge per il mondo. “Sujo” nella lingua portoghese vuol dire letteralmente “sporco” ed è di questo che puzzano tutti i politici e gli arrivisti che vengono narrati nella storia.
Jennifer e suo figlio sono cresciuti tra fame, spaccio e malavita, ma conservano un loro codice morale che è lo stesso di chi è sopravvissuto a quell’inferno a cui sono costretti a sottostare tutti coloro che hanno avuto la sfortuna di nascere dalla parte sbagliata della società. La redenzione è possibile solo attraverso grandi sacrifici, per tutti coloro che vivono nel mondo in cui a vincere è sempre e solo il più forte.
Significative le parole che Giuffrida mette in bocca a uno dei propri personaggi: «Così i politici lanciarono la moda del ‘buonismo’, o del ‘falso buonismo’, per far sembrare ammissibili anche le corruzioni più gravi. Finché questo non è diventato un male dilagante. Una comunità, costruita su secoli di esperienza, è infatti ceduta in pochi anni. Smontare tutto è stato facile, ricostruire ora, invece, è molto difficile. Da allora le persone hanno iniziato ad adulare i furbi, gli speculatori, coloro che riuscivano a far valere i falsi diritti infischiandosene degli altri. E tutto ciò gonfiò la potenza dei governanti e i loro portafogli. Il mondo intero cominciò a ruotare intorno al potere e al denaro, e nessuno si preoccupò del fatto che, per ottenere tutto ciò, faceva odore di sujo».
Una corruzione che circonda il mondo
Un romanzo dalle mille sfaccettature capace di trattare diversi temi, tutti importanti e dalla non semplice digestione: in questo lavoro si può trovare la lotta per i grandi ideali, i conflitti per la giustizia sociale, la voglia di accettarsi per ciò che si è, l’amore universale e passionale, la scoperta di se stessi ma, soprattutto, c’è la ricerca del perdono verso il proprio “io” del passato, quell’io che ci ha portato sull’orlo dell’abisso, ma che ci ha reso ciò che siamo. In questo lavoro non vi sono santi né martiri; in esso possiamo ritrovare le mille sfumature di un’umanità costretta a fare i conti con le proprie colpe e le proprie debolezze. Dall’America latina all’Europa possiamo seguire le vicende di Jennifer costretta a fare i conti con il proprio passato, le proprie colpe, le proprie paure, la propria identità di genere. Tutto trainato da un’unica necessità: riabbracciare il proprio adorato figlio. Giuffrida ci mostra attraverso una trama articolata e mai scontata l’impossibilità di portare la perfezione in un mondo corrotto, ma anche che, a volte, la giustizia morale può e deve trionfare nonostante gli ostacoli posti dalle leggi umane.
Rosita Mazzei
(direfarescrivere, anno XVI, n. 167, dicembre 2019)