Anno XX, n. 226
dicembre 2024
 
In primo piano
Lo scrittore più cupo del mondo:
la figura del particolare Albert Caraco
Continuano le analisi su vari autori, tramite i loro testi: il caso
dello scrittore francese e della sua visione crudele del reale
di Rino Tripodi
Prosegue l’attività di Bottega editoriale relativa ai Saggi critici sulla migliore Letteratura contemporanea.
In precedenza sono state pubblicate due analisi critiche dedicate alle figure di Mimmo Gangemi (Mimmo Gangemi: poesia e narrazione tra natura, morte, vita e appartenenza, in: www.bottegaeditoriale.it/primopiano.asp?id=235) e di Massimiliano Bellavista, facente parte del “Portafoglio Scrittori contemporanei di Bottega editoriale” (I labirinti poetici e narrativi di un autore coinvolgente: Massimiliano Bellavista in: www.bottegaeditoriale.it/primopiano.asp?id=236). Autore dei due saggi è il critico letterario torinese Guglielmo Colombero.
Sul presente numero della nostra rivista pubblichiamo invece il saggio critico su una personalità non facente parte del nostro “Portafoglio”, non vivente, ma sempre coeva: Albert Caraco. Autore di tale saggio, è il critico letterario bolognese Rino Tripodi.
Questa analisi critica avviene in parallelo a quella su un autorevole rappresentante della Letteratura contemporanea: Fabio Bacile di Castiglione (www.bottegascriptamanent.it/?modulo=Articolo&id=2271&idedizione=152). Autore dell’analisi dal titolo Un vitalismo e un’analisi del senso: le opere di Fabio Bacile di Castiglione è Marco Gatto, docente universitario di Teoria della Letteratura presso l’Università della Calabria.

Quella di Albert Caraco è una figura straordinaria, paragonabile forse solo a Louis-Ferdinand Céline o a Emil Cioran, per le riflessioni originali e inquietanti – dominate dalla durezza della visione del mondo, dai toni apocalittici, dal “santo” nichilismo, dalle tematiche del caos, della morte e del disfacimento della civiltà umana, dal totale anticonformismo – nonché per la scrittura irta e spietata, quanto stilisticamente elegante e inimitabile.
Caraco era nato nel 1919 a Costantinopoli da un’agiata famiglia ebraica.
Solitario, asociale, inafferrabile, pubblicò una vasta quantità di scritti che, in vita, non ebbero alcun riconoscimento, così come la sua stessa figura di intellettuale. Nomade e cosmopolita, per motivi di lavoro del padre o per opportunità, trascorse l’infanzia tra Vienna, Praga e Berlino. Lasciò la Germania negli anni Trenta per stabilirsi in Francia, a Parigi, ma, prima che scoppiasse la Seconda guerra mondiale, la famiglia acquistò la cittadinanza honduregna e si trasferì in Argentina, poi in Uruguay. Può comunque considerarsi uno scrittore francese. Si tolse la vita nel 1971, a Parigi, dove era tornato nel 1946, il giorno successivo alla morte del padre. Una decisione non dettata dalla disperazione, anzi, premeditata da tempo e per una forma di “cortesia” attuata post mortem di entrambi i genitori.
Le sue opere furono pubblicate prevalentemente in Svizzera, in lingua francese, dalle edizioni L’Age d’Homme di Losanna. In Italia la benemerita Adelphi ha curato la traduzione prima di Post mortem e successivamente del Breviario del Caos, mentre il Supplemento alla Psychopathia sexualis è stato edito da Es e Guida ha pubblicato L’uomo di mondo.
In questo nostro breve saggio ci limiteremo a focalizzare alcuni punti dell’irregolare opera di Caraco, citando qualche significativo brano tratto dai suoi libri più celebri e tradotti in Italia.

La profezia della catastrofe demografica: «Gli uomini sono come una lebbra»
Come ogni pensatore “maledetto”, apocalittico, provocatore, estremo, devastante, Caraco infarcisce, volontariamente o meno, le sue opere di profezie che, purtroppo, sembrano oggi realizzarsi. In Breviario del caos (traduzione di Tea Turolla, Milano, Adelphi, 2009), Caraco affronta, a suo modo, la questione della sovrappopolazione umana sulla Terra:
«Gli uomini si sono diffusi nell’universo come una lebbra, e più si moltiplicano più lo snaturano, essi credono di servire i propri dèi divenendo sempre più numerosi, i bottegai e i preti approvano la loro fecondità, gli uni perché essa li arricchisce, gli altri, invece, perché li accredita».
Dunque, secondo Caraco, sono le religioni e il capitalismo che, pur per finalità e ottiche diverse, perseguono il disastro demografico:
«Gli scienziati possono pur darci l’allarme, la loro voce è quasi sempre soffocata, gli interessi della morale e del commercio hanno stretto un’alleanza indefettibile, il denaro e la spiritualità non tollerano che il movimento si arresti, i bottegai vogliono consumatori, i preti vogliono famiglie, la guerra li spaventa meno dello spopolamento: è nei bottegai e nei preti che l’ordine per la morte trova i suoi sostegni più solidi. L’umanità dovrà ricordarsi di questa cospirazione, e quando la sventura sarà divenuta pane quotidiano dovrà punire coloro che, per il solo fatto di esistere, la consegnano al caos».
Se si attuasse una seria politica demografica,
«con cento milioni di esseri umani la Terra diventerebbe il paradiso; con i miliardi che la divorano e la insozzano sarà l’inferno da un polo all’altro, la prigione della specie, la stanza della tortura universale e la cloaca gremita di folli mistici che campano del loro lerciume. La massa è il peccato dell’ordine, è il sottoprodotto della morale e della fede, basta questo per condannare l’ordine, la morale e la fede, giacché non servono che a moltiplicare gli uomini e a tramutarli in insetti».
Ma, come si vede oggi, nel nostro pianeta sovrappopolato da quasi otto miliardi di esseri umani, nessun freno al boom demografico è stato attuato, con irreparabili e irreversibili danni al pianeta, alle risorse naturali, all’ambiente e all’ecologia. Pertanto, «la catastrofe è necessaria, la catastrofe è desiderabile, la catastrofe è legittima, la catastrofe è provvidenziale, il mondo non si rinnova a minor prezzo, e se non si rinnova dovrà scomparire con gli uomini che lo infettano».
Eppure, nel Breviario non compaiono animali né paesaggi naturali. Ma solo le turbe tumultuanti («masse di perdizione»), mentre la Natura è avvertita più come insieme degli elementi (acqua, terra, aria, fuoco), che come piante o alberi. Quasi il pensatore avesse in gran sospetto, similmente a Cioran, tutto il creato e il vivente.

Le religioni sono il cancro dell’umanità
Come si vede, è lo stile apocalittico e violento, da vero profeta nudo, a caratterizzare gli scritti di Caraco. Sempre nel Breviario del caos è da notare la sua particolare terminologia: la società di massa viene indicata come «massa di perdizione», mentre l’«ordine» è il potere economico e religioso, alleato nell’interesse ad avere un sovraffollato mondo di uomini istupiditi e privi di dignità.
Attraverso riflessioni provocatorie e uno stile tipici degli aforismi, forma espressiva filosofica cara al già citato Cioran, a Giacomo Leopardi, ad Arthur Schopenhauer, a Oscar Wilde, i pensieri, le intuizioni e le illuminazioni di Caraco si susseguono in maniera libera, analogica, come dimostra la successione di frasi separate da virgole, invece che da punti. In più c’è un impeto premonitore, presago, apocalittico.
Caraco considera le religioni, in particolare i tre monoteismi, ebraico, cristiano e mussulmano, un’autentica iattura per l’umanità. Molto profondo è il disprezzo per l’idea di incarnazione della divinità, al centro del Cristianesimo: se gli dèi si fanno uomini, si volgarizzano, fuoriescono dalla perfezione infinita della Natura e del Cosmo, per decadere nella dimensione inadeguata della Storia e del Tempo, non a caso introdotte per la prima volta nell’ambito del pensiero religioso dalla cultura giudeocristiana:
«È l’ora della purezza, dobbiamo rallegrarcene, non vi perderemo che la nostra Storia e tutto quanto a essa si richiama, le nostre religioni ispirate e i nostri pretesi imperativi eterni, che invece non sono mai stati altro che storici. Da perdere non abbiamo che la Storia e tutto quanto alla Storia si riallaccia, preferiamo il vuoto e plaudiamo alla sua venuta, esso è la letizia che ci illumina nell’ora della nostra morte».
Secondo Caraco, le religioni sono in mano a uomini ancora peggiori degli altri, veri ingannatori, sacerdoti e preti:
«Noi quaggiù siamo vittime dei nostri aguzzini, e quando crediamo di obbedire a Dio, obbediamo a uomini, uomini che ci portano al caos e non ci preservano dalla morte, uomini ignoranti, uomini impotenti, ma che ci incutono rispetto, in nome delle tradizioni che ci impongono. Giacché le nostre autorità non sanno niente. Non possono niente, non valgono niente, non ci risparmiano niente, e non sanno far altro che cullarci nelle fandonie, al solo scopo di conservare i privilegi acquisiti e di perpetuare il proprio dominio».
E anche dalle fedi può salvarci solo un’apocalisse:
«Le nostre religioni sono i cancri della specie e non ne guariremo che da morti, moriremo perché le nostre religioni periscano, la catastrofe inghiottirà i preti insieme con i loro fedeli, i resti dell’umanità sopravvissuti in mezzo alle rovine si accaniranno sulle pietre rimaste. Rido al vedere le nazioni mantenere e restaurare gli edifici da cui ebbe origine la loro morte spirituale, in tempi nei quali si dovrebbe ripensare l’universo; rido al vedere cento popoli divenire conservatori delle loro antichità immaginarie o reali, in balia della prossima catastrofe; rido al veder contendere al nulla i templi da cui il nulla trae la propria sopravvivenza».

«Le donne sono per noi un peso»
Una sorta di epistola alla madre dopo la sua morte, sulla falsariga della Lettera al padre di Franz Kafka: così si può semplicisticamente riassumere Post mortem (con una nota di Vladimir Dimitrijevi, traduzione di Tea Turolla, Milano, Adelphi, 2009) di Caraco. Donna bella, viziata, sensuale, denominata costantemente nel libro come «Signora Madre», lo scrittore ebbe con lei un rapporto di estremo amore e attaccamento, eppure connotato da molteplici complessi psicologici e dolorose difficoltà. Una relazione dunque ambivalente, con passioni, disamori, addirittura odio e disprezzo, occasioni per studiare il genere femminile, coglierne e mascherarne limiti, debolezze, ipocrisie e meschinità. Del resto, ogni pensatore gnostico ha in sé una certa dose di misoginia.
Ecco le parole di Caraco:
«L’uomo fa a meno della donna, la donna no, la donna si aggrappa all’uomo e l’uomo si illude a torto di inseguirla, mentre è lei che lo chiama. I conventi di uomini sono infinitamente meglio di quelli di donne, gli uomini non hanno bisogno d’amore, la carne non li tormenta con lo stesso accanimento, l’uomo non soffre di essere uomo, ma di non avere denaro o potere, la donna soffre di essere donna, e poi di non essere amata. Le belle sembianze, le risate, i giochetti, le frivolezze e le moine, la schiuma del mare profondo, e sotto la schiuma un mondo nero dove noi non apparteniamo più a noi stessi ma alla specie».
I progressi dovuti al femminismo? Un’illusione:
«La donna in quanto tale è incostante e non vale l’uomo, le sue qualità profonde sono impersonali, le sue più alte virtù sono archetipiche, l’opera delle femministe la fa progredire solo per quanto riguarda i diritti manifesti e, pur non osteggiandola, la riteniamo insufficiente, al massimo può fare della donna un uomo subalterno, appena l’aborto di una virilità per definizione dubbia».
Del resto, gli uomini non sono migliori:
«Il mondo della donna non è il mondo dello Spirito, ma da questo la maggior parte degli uomini resta lontana, e attribuir loro lo Spirito perché non sono donne mi sembra una presunzione che non si regge, come regola generale gli uomini si collocano in basso quanto le donne, se non più giù. Io mi sento lontano dagli uomini e dalle donne, la loro unione mi sembra piuttosto ridicola e preferisco la solitudine al matrimonio e il nulla alla paternità, le donne sono per noi più un peso che un sollievo, malgrado l’opposta illusione, ma per rompere il loro incantesimo bisogna ridursi alla continenza».

Fantasie erotiche e critica sociale oltre ogni limite
Il ponderoso volume Psychopathia sexualis (prima edizione 1886) del neurologo e psichiatra austro-tedesco Richard von Krafft-Ebing (1840-1902) è costituito da una maniacale raccolta di fantasie e pratiche sessuali considerate, più o meno, “degenerazioni”. Noi, invece, come Anatole France, pensiamo che «siamo soliti classificare immorali coloro che non possiedono il nostro stesso senso della morale così come definiamo scettici quelli che non hanno le nostre stesse illusioni». Ovvero, chiamiamo perversioni le fantasie e le pratiche sessuali che non gradiamo e “variazioni erotiche” le nostre immaginazioni più o meno stravaganti, realizzate, realizzabili o… irrealizzabili. Caraco la pensava come noi e ha scritto un Supplemento alla Psychopathia sexualis, (traduzione di Giulia Alfieri, Milano, Es, 2005), costituito da ben 211 casi di singolari modalità sessuali, in realtà immaginate da lui stesso, ovviamente con finalità letterarie.
È evidente una forte vena anticlericale, come nel Caso 4:
«Un tale è affetto da priapismo, da più generazioni ereditario nella sua famiglia. Vuole, nonostante questo, farsi prete, entra in seminario riuscendo a dissimulare il suo stato, si abbandona al fanatismo e al misticismo al fine di correggerlo, riceve gli ordini senza tradirsi, ma non riesce a cambiare. In altri luoghi, in altri tempi, presso gli indù e i musulmani di epoca remota, sarebbe divenuto santo per eccellenza, avrebbe avuto la sua corte di donne deluse o sterili, se ne sarebbe andato in giro tutto nudo, gli avrebbero baciato pubblicamente la verga chiamandolo l’Amico del Cielo, sarebbe entrato in ogni casa, le madri e le figlie si sarebbero offerte al suo membro, i padri e i figli non avrebbero mai osato rifiutargli i propri fondelli».
Ipocrisie, vizi privati e pubbliche virtù vengono denunciate nel Caso 141:
«Un tale è uscito da una famiglia che ha dei saldi princìpi, non ricorda d’aver mai perso la messa di domenica né la comunione a Pasqua, la madre è beghina, il padre ha un’amante, a differenza della moglie che è per giunta frigida. In un paese cattolico una famiglia simile formava un tempo l’armatura dell’ordine, un ordine in cui il marito non era mai l’amico della moglie, e il prete si incaricava di consolar la sposa, e il marito di consolar l’amante. Si ammetterà che un individuo sensibile e ragionevole, proveniente da ambienti simili, non può non esser anticlericale, è un effetto nato dalla riflessione sull’evidenza stessa e sull’impossibilità in cui ci si trovava allora di incontrare fanciulle oneste che non fossero potenzialmente megere. La Chiesa è riuscita nei secoli dei secoli a fare miliardi e miliardi di infelici, ed è per questo che i sessuologi sono i vendicatori della specie. Il tale ha meditato l’opera di Freud, e poiché appartiene a una famiglia che ha dei princìpi, ne ha afferrato il senso e i sottintesi, non ha avuto bisogno della famosa lettera in cui Freud, toltasi la maschera, ha finito con il professare l’odio per la Chiesa, ha capito quel che Jung aveva certamente subodorato, per rompere infine con il maestro. Quel tale vorrebbe che i preti fossero sposati, e il più presto possibile, e anche vescovi, arcivescovi e cardinali, vorrebbe che il papa avesse la sua papessa e che ogni convento ospitasse sia uomini che donne, così da procreare tanti fraticelli e monachine, teme i maschi solitari e le femmine sia frigide che pulzelle: sono mostri, che attendono il momento di manifestarsi, e preferibilmente nell’orrore. È convinto che tutte le fornicazioni assommate siano meno funeste delle virtù militanti, in cui la buona causa funge da pretesto onorevole per il dispiegarsi delle nostre passioni inconfessabili. Non aggiunge altro, si dichiara ateo, il Baal della Chiesa lo colma di disgusto, avrebbe preferito divinità itifalliche e preti fatti a loro somiglianza».
Nel Caso 21 si ha l’esaltazione del nichilismo assoluto: «Un tale proclama che l’ultima parola della saggezza socratica è racchiusa nella proposizione secondo cui si finirà, cosa si faccia, per rimpiangere quel che si è fatto, e nell’interiezione secondo cui la vita è spaventosa. C’è di che guarire dai loro scrupoli gli uomini più delicati, e dai rimorsi quelli più viziosi: si tratta della più bella lezione di cui l’interessato abbia memoria».
In conclusione, Caraco è uno di quei pensatori e scrittori che o si ama o si odia. O risulta ammaliante o insopportabile. Illuminante o devastante. Al lettore la libertà di giudizio.

Rino Tripodi

(direfarescrivere, anno XV, n. 158, marzo 2019)
 
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