Anno XX, n. 225
novembre 2024
 
In primo piano
Una riflessione tutta al femminile:
come diventare consapevoli del futuro
Da Città del sole: la storia quotidiana di un’anima inquieta
che ricorre ai ricordi e al proprio vissuto per capire se stessa
di Renato Minore
Un viaggio psicanalitico nei meandri dell’Io femminile.
Un racconto che spazia dalle riflessioni letterarie alla psicanalisi. Il testo ha la peculiarità di presentare tanti diversi aspetti di vita di più persone, ma, alla fine, il tutto si materializza nell’identificazione in un unico Io, ovvero, quello di una donna. Ogni frammento, ricordo, episodio, luogo o faccia acquistano un significato ben preciso nella costruzione della memoria. Il romanzo analizza non una ma più “lei’’, in cui qualsiasi donna potrebbe ritrovarsi. Quella che si propone è la visione di una figura lacerata in tanti piccoli frammenti, difficili da ricollocare e incastrare in un contesto di vita, ma dal cui assemblaggio riemerge una donna nella sua interezza.
Tutta la storia è incentrata sul ricordo, un continuo rimando di analessi. Il romanzo di Giovanna Breccia, Frammenti inquieti dell’Io (Città del sole, pp. 168, € 11,00), di cui riportiamo a seguire la Prefazione a firma di Renato Minore, vuole mettere in evidenza l’esperienza dell’autrice, psicologa e psicoterapeuta, nel suo lavoro di ricostruzione, evidenziando come si possa partire da una piccola tessera per ricomporre il mosaico della propria esistenza.

Bottega editoriale


Prefazione
Luoghi, paesaggi, vissuti, occasioni, pensieri, ricordi, incontri, facce, schegge, fantasie di biografia propria e altrui. “I frammenti inquieti dell’io” non hanno nulla di frammentario o di aforistico.
In una luce radiante di effusiva essenzialità, di pungente e anche imperiosa spina e spinta di conoscenza, da cui l’intero racconto di Giovanna Breccia è segnato, quei “frammenti” sono come diversi capitoli intrecciati in un solo nodo. Sono le tappe essenziali, analiticamente ripensate e rimontate come «fotogrammi eterni nella raccolta onnipotente della memoria», che incrociano i saperi, le emozioni, l’esperienza della vita di una donna.
Chi sia questa “lei” è presto detto ed è soprattutto detto, cioè “raccontato” dentro il flusso avvolgente della scrittura di Giovanna Breccia con tutte le sorprese che si annidano nel suo doloroso segreto, nella sua “storia di un’anima” che dà linfa, ritmo, fiato al racconto. È la “lei” che si accampa con la grana della propria voce, continua e inconfondibile, in un’impietosa radiografia di sé e del suo rapporto con gli altri che è anche il segno di un singolare percorso cognitivo e affettivo nella convinzione che «tutto ciò che costituisce il mondo interiore non può essere perduto».
È la bambina che conosce per la prima volta il senso della morte, alle prese con «la nostra umile ombra, la fedelissima, silenziosissima sorella» che sovrasta ogni cosa. È l’adolescente innamorata che vive l’esperienza in forma totale; è l’universitaria che scopre i suoi amati autori, la moglie, la madre, la donna che incontra il suo ex professore o il famoso scrittore, complice in un rapporto con un collega amico-nemico che cresce e si consuma, presa nel laccio di un sentimento avvolgente nei confronti del medico che l’ha aiutata in un momento doloroso della propria esistenza.
Ogni volta “lei” è come la luce che si rifrange su un diamante in più direzioni. Quasi si riflettesse in uno specchio che restituisce di sé un’immagine contraddittoria come un puzzle, molto difficile da ricomporre. Ogni capitolo, ogni frammento di questa storia è montato con sapienza compositiva attraverso l’uso del ricordo in forma di flash-back, la dimensione del flusso psichico-onirico, i lunghi ragionamenti, il ricorso a dialoghi essenziali, la sorpresa anche voyeuristica su esistenze che si svelano e mostrano volti segreti. Come quella del vecchio professore, grande umanista e grande nevrotico, del medico e del collega quasi amante; tutte figure costruite con l’occhio e il tratto psicologico di una narrazione assai tagliente e illuminante.
Il testo deposita le braci ancora incandescenti nella memoria del lettore. Deposita lo sforzo di un suo continuo assestarsi muovendosi nella gabbia di nessi e implicazioni tra sapere e raccontare, invenzione e scoperta. Ogni capitolo, ogni tappa di questo percorso sembra costruita anche come dimostrazione in corso, da sperimentare frammento su frammento, sulla propria tenuta. Si dispone secondo registri diversi, catturati dalla funzionalità del disegno che li contiene e li illumina. Il principio stesso del discorso è che la figura femminile e le altre non possano disporsi, ordinarsi, progredire, concorrere a un fine, a una sistemazione.
La forma narrativa alterna e integra il diario, la quasi fiction, il resoconto memoriale, il piccolo regesto onirico, il racconto in presa diretta sulla cronaca del quotidiano. Come una fune tenuta insieme non da una fibra che la percorre tutta, ma dal sovrapporsi di molte fibre. Ma come ne tiri uno, di filo, rischi di alterare l’intero congegno. La forza di quella fune è nell’essere fatta di parti che singolarmente non possono avere la stessa resistenza, la stessa capacità costruttiva.
Chi legge non può che accostarle, intrecciarle, prolungarne l’eco, goderne il profitto che nasce da un libro assai appassionato e appassionante.

Renato Minore

(direfarescrivere, anno XI, n. 112, aprile 2015)
 
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