Anno XX, n. 226
dicembre 2024
 
In primo piano
I Servizi segreti italiani: ardui percorsi
tra oscure trame e sicurezza pubblica
Città del sole propone un saggio storico rigoroso e avvincente
che mostra lo specchio a due facce dell’intelligence del Belpaese
di Guglielmo Colombero
«Secondo la mia opinione la devianza è talmente ovvia che nessuno la vede. Ipotizzo che tutto derivi dal fatto che nel nostro “Belpaese” non abbiamo una vera cultura dell’intelligence e quindi di prevenzione. Noi siamo infatti diabolicamente bravi nel cavalcare e governare tutte le emergenze, tutte, proprio tutte, dal terrorismo al terremoto, ma diventiamo al contrario assolutamente incapaci e impacciati quando dobbiamo applicarci alla prevenzione»: con queste parole, colte dall’autrice del libro nel corso di un’intervista, Maurizio Navarra, già direttore della Scuola di addestramento del Sisde negli anni Ottanta, fotografa con impietoso sarcasmo il carente retroterra culturale che caratterizza da sempre l’attività dell’intelligence di casa nostra. In Storia dei Servizi segreti italiani. Dall’Unità d’Italia alle sfide del XXI secolo (Città del sole, pp. 256, € 17,00), Antonella Colonna Vilasi, presidente del Centro studi sull’Intelligence e docente di fama internazionale delle tematiche inerenti a tale materia, nonché autrice di diversi saggi anche sulla mafia e sull’Islam politico, analizza a fondo un secolo e mezzo di attività dell’intelligence italiana, dal primo embrione postunitario fino ai più recenti sviluppi ipertecnologici del ventennio successivo al crollo del Muro e alla fine della Guerra fredda, che dell’intelligence del blocco occidentale aveva costituito per anni e anni un inesauribile serbatoio di ineluttabili incombenze geopolitiche e strategiche. Nella parte seconda del volume, chi intende approfondire troverà documenti e materiali a profusione: testi di legge, elenchi dei direttori dei Servizi segreti civili militari dal 1863 ad oggi, interviste ad esperti in materia di intelligence come Carlo Jean, Alfredo Mantica e Marco Minniti, ed infine una ricca bibliografia.

Una fascinosa contessa che spiava per conto di Cavour
Virginia Oldoini, contessa di Castiglione, all’epoca ventenne, donna di lussureggiante bellezza e di straordinaria intelligenza, che ritratti e fotografie dell’epoca hanno immortalato in pose d’incandescente sensualità, fu una dei primissimi agenti segreti italiani: avrebbe potuto rivaleggiare con l’Ursula Andress in bikini emersa dalle acque in 007. Licenza di uccidere. George Frederic Watts la ritrae nel 1857, e in quello stesso periodo il fotografo di corte di Napoleone III, il geniale Pierre-Louis Pierson, le dedica qualcosa come 700 fotografie, che mettono in risalto la sua carnagione eburnea, il biondo aureo della sua chioma e l’ovale perfetto del viso, in cui sono incastonati come gemme gli occhi cangianti dal verde al blu violetto. Una Mata Hari ante litteram, alla quale, dato l’ascendente che seppe esercitare sull’imperatore dei francesi, va riconosciuto il merito di aver messo la propria avvenenza al servizio della causa risorgimentale. Proclamato il Regno d’Italia, nasce un Ufficio di alta sorveglianza politica, destinato poi a evolversi in una struttura più complessa, denominata agli inizi del XX secolo Ufficio affari riservati del gabinetto. Le attività squisitamente politiche dell’intelligence sabauda risultano decisamente precoci: nel 1861 «i Servizi segreti del ministero dell’Interno (Sezione di polizia politica), furono impiegati dal ministro e presidente del Consiglio Bettino Ricasoli per influire sulle elezioni e controllare la stampa, tanto che nel 1863 venne diramato ai prefetti l’ordine di aprire e di tenere aggiornati i fascicoli personali a carico di giornalisti». Durante la Grande guerra, il Servizio segreto militare dimostra una desolante incompetenza in occasione dello sfondamento di Caporetto: «Il reparto di controspionaggio e polizia militare della Sezione “R”, nella sua missione, si dimostrò immediatamente in conflitto con l’attività di controspionaggio messa in atto dai carabinieri presso le truppe operanti. Il reparto fu spesso costretto a travalicare i propri limiti di competenze, sfociando a volte in vere e proprie illegalità».

L’Ovra: i tentacoli repressivi di Mussolini
Nata nel 1926 come sezione della Divisione affari generali e riservati, l’Ovra forse era l’acronimo di Organismo vigilanza repressione antifascismo, ma si resta nel campo delle congetture. L’assonanza con l’immagine della piovra costituiva di sicuro un deterrente efficace. Quanto al Sim, l’intelligence militare, dal 1934 guidata dal colonnello Mario Roatta, siamo alle solite: sottolinea l’autrice che «le attenzioni dei funzionari si concentrarono sulla terza sezione del Sim, il controspionaggio, visto che le sue funzioni si sovrapponevano a quelle della polizia politica nel controllo della sicurezza interna, questione su cui Roatta puntò per soddisfare le sue ambizioni di carriera, di pari passo con il consolidamento del suo legame con il ministro degli Esteri Galeazzo Ciano». Durante la Seconda guerra mondiale, il Sim cambia direzione: arriva Giacomo Carboni. Ma la sua imbecillità (o presunta tale, forse per celare una furbesca previsione di quel che stava per accadere) rimane leggendaria: il Sim, «o per negligenza propria o forse per mancanza di volontà nell’intervenire in eventi che avrebbero deciso la sorte politica dell’Italia, non era stato informato della congiura del Gran consiglio del fascismo ai danni di Mussolini, pianificata a partire dall’aprile 1943 e realizzatasi il 25 luglio successivo».

Dalle bombe della Strategia della tensione al Golpe bianco
Nel Secondo dopoguerra, per reprimere la piaga del nuovo brigantaggio in Sicilia, un giovane maggiore di nome Carlo Alberto Dalla Chiesa entra a far parte delle Forze repressione banditismo. Nel 1949 nasce il Sifar, che ottiene risultati lusinghieri nella «schedatura dei soggetti pericolosi per la stabilità dello Stato, sia individui che organizzazioni». Il che, è evidente, può anche significare repressione delle attività sindacali, bollate come comuniste e sovversive sullo sfondo della Guerra fredda. Da un tale contesto torbido e malsano si sprigionano i miasmi dell’affare De Lorenzo: sotto la sua direzione, il Sifar procede alla schedatura di almeno 150.000 cittadini italiani. L’indagine parlamentare della commissione Beolchini accertò in seguito che «Non solo venivano raccolte informazioni lesive del decoro e della dignità delle persone, ma era praticata la manipolazione delle stesse per chiari scopi politici». Non vi ricorda qualcosa di recente? Saltata la testa di De Lorenzo in seguito alla scoperta del piano Solo, e smantellato il vecchio Sifar, nel 1965 viene istituito il Sid. Pochi anni dopo, la deflagrazione di piazza Fontana segna l’inizio della Strategia della tensione: due anni dopo viene accantonato «il progetto occidentale, e dunque anche italiano, di ricorso massiccio a gruppi eversivi di destra per la diffusione della strategia della tensione, finalizzata alla tutela degli apparati statali dall’avanzata di forze politiche e movimenti di sinistra. Rispetto al periodo 1964-1970, a cui risalivano il piano Solo e la messa in allerta di milizie e di volontari per una eventuale controinsorgenza, nei primi anni Settanta si può parlare di elaborazione di una strategia del “golpe bianco”. Una pianificazione di conquista delle istituzioni in modo non traumatico». Sottolinea l’autrice a proposito del fallito golpe Borghese del 7 dicembre 1970: «Emergeva dunque un quadro che aveva al suo centro un tentativo di sovvertimento delle istituzioni, avallato e sostenuto da alcune tra le più alte cariche militari e della cui esistenza erano consapevoli i servizi e l’amministrazione statunitense. Gli americani, però, risultarono sempre oscillare tra una conoscenza dettagliata del piano da parte dell’ambasciata in Italia e della Cia e lo scetticismo del segretario di Stato William Rogers, contrario a una soluzione autoritaria della crisi italiana».

Le sfaccettature ambigue di una stagione eversiva
Alla fine degli anni Settanta, nascono il Sisde e il Sismi: si crea così uno spartiacque fra l’apparato di sicurezza civile e quello militare. Due anni dopo l’apoteosi del terrorismo brigatista e i risvolti quasi kafkiani del caso Moro, nella terribile estate del 1980, la tragedia di Ustica e la strage di Bologna ripropongono l’interrogativo sempre più angoscioso: in Italia i Servizi segreti lavorano per difendere le istituzioni democratiche o per sabotarle dall’interno? L’autrice osserva che «Nel corso delle indagini sulla strage della stazione di Bologna del 2 agosto 1980, i giudici Zincani e Casaldo nella loro istruttoria fecero emergere operazioni di depistaggio da parte del Sismi. Nel documento veniva delineata una sorta di storia dei Servizi segreti deviati a cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta, legata ai movimenti eversivi responsabili di attentati e riconducibile a un progetto politico superiore». Alla fine degli anni Ottanta la caduta del Muro e l’epilogo della Guerra fredda prosciugano il brodo di coltura dello stragismo di stato.

Una nuova configurazione dell’intelligence dopo l’11 settembre
Dopo l’attacco alle Torri Gemelle, la nomina del generale Mario Mori a capo del Sisde e del professor Nicolò Pollari a capo del Sismi segnano una svolta, che l’autrice interpreta in chiave geopolitica: «I grandi cambiamenti sullo scenario internazionale determinati dalla fine della Guerra fredda e dalla propagazione su scala mondiale del terrorismo a seguito degli attentati dell’11 settembre 2001, hanno portato a una necessità di revisione e ammodernamento dei servizi di intelligence italiani». Secondo l’ammiraglio Sergio Biraghi, intervistato in appendice al volume, «La fine della contrapposizione politico-militare Est contro Ovest e la globalizzazione dell’economia e del mercato hanno profondamente cambiato l’intelligence in tutto il mondo». E concorda con lui il generale Vincenzo Camporini, ex capo di stato maggiore della Difesa: «i servizi informativi nazionali dovranno attuare, ciascuno per la propria parte, una vera e propria rivoluzione culturale, in modo da sentirsi componenti di un unico grande sistema, che proprio in quanto sistema potrà raggiungere livelli di efficacia e di attendibilità finora sconosciuti».

Guglielmo Colombero

(direfarescrivere, anno IX, n. 88, aprile 2013)
 
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