Anno XXI, n. 230
aprile 2025
 
In primo piano
L’“unione” europea: terra di conflitti,
sbarra le frontiere al multiculturalismo
Per Armando editore, Alberto Donati ritrae la critica realtà storica
di oggi, dominata da un feroce capitalismo che annienta i valori
di Tonino Perna
Liberté, Egalité, Fraternité fecero da traino durante la Rivoluzione francese, una delle prime rivoluzioni moderne che fu in grado di stravolgere le sorti di un intero paese.
Oggigiorno tali valori fondanti per la realizzazione di una società democratica hanno subito una profonda degenerazione. Nello scenario europeo, e non solo, domina incontrastato il sempre più bramato “dio denaro”, e l’Occidente sta anteponendo l’individualismo di “pochi potenti” sfruttando i nuovi paesi emergenti, i cosiddetti Bric (Brasile, Russia, India e Cina), e sta operando un appiattimento culturale e una negazione delle diverse identità, principale causa dei crescenti conflitti locali e della nascita di movimenti xenofobi e radicali.
È in questo contesto che il saggio Immigrazione e multiculturalismo. Le ragioni degli oppositori (Armando editore, pp. 176, € 15,00) di Alberto Donati percorre le tappe fondamentali che hanno portato all’attuale smarrimento dei “valori forti” della storia della società occidentale.
Riflessioni sociali, economiche e giuridiche e analisi storico-politiche vengono proposte ed elencate per indagare i motivi che hanno portato al successo del nichilismo nella nostra società.
Di seguito vi invitiamo dunque alla lettura della Prefazione a cura di Tonino Perna, che ci esorta a prendere in considerazione questa nuova prospettiva in relazione alla futura programmazione internazionale di natura economico-sociale.
Ultimo, ma non per importanza, è un dato che ci riguarda da vicino: questo saggio è un ulteriore frutto della riuscita collaborazione tra la casa editrice Armando e la nostra Agenzia letteraria.

la Bottega editoriale


Prefazione

Il nichilismo dell’occidente esige un’alternativa
Questo che avete preso in mano è un libro difficile, a tratti respingente, sicuramente non accattivante. Non naviga sull’onda mediatica, non risponde alle ultime bollicine della cronaca politica o economica, non usa il marketing per farsi comprare. È un libro di quelli che si scrivevano una volta, impiegando tanto tempo, dopo aver letto e consultato centinaia di testi. La bibliografia è sterminata e spazia da autori famosi che hanno segnato la nostra epoca (come Marcuse o Marx ad esempio), ad autori altrettanto importanti che son vissuti in epoche lontane (da Platone a Seneca a Grotius). Il testo attraversa diverse discipline – dalla politologia alla sociologia, dall’economia alle scienze giuridiche – nella ricerca di una Verità che illumini il nostro tempo, che ci faccia uscire dai luoghi comuni così abusati. Non è facilmente catalogabile e forse per questo più interessante di altri testi che sono immediatamente comprensibili e incasellabili. Ma la stranezza più grande è quella che lega il titolo al contenuto di questo volume. Chi pensa che si tratti di un classico testo sui problemi dell’immigrazione, dell’integrazione o della xenofobia, è fuori strada.
È un’esperienza che chi scrive ha fatto direttamente. Quando, visto il titolo, ho cominciato a scorrere la bibliografia, come faccio per mestiere quando mi accingo a leggere un nuovo testo, sono rimasto sorpreso, spiazzato. Anzi, attonito e perplesso, con un istintivo senso di rigetto. Per affrontare un tema di grande attualità come quello dell’immigrazione e del multiculturalismo, l’autore parte da lontano, da molto lontano. Scarta il dibattito attuale, dà per scontato la forza e l’impatto del fenomeno immigratorio sulle società occidentali, cerca di andare alle radici degli attuali conflitti etnico-culturali. Cerca di cogliere la metamorfosi delle basi culturali che hanno retto l’Occidente, ne hanno impregnato le istituzioni e la vita politica, ne hanno determinato l’egemonia culturale per un lungo arco di tempo: dalla cultura giudaico-cristiana all’Illuminismo, nelle diverse sue derivazioni, fino ad arrivare al trionfo del nichilismo che, secondo l’autore, porterà al tramonto della nostra civiltà. Il parallelo che viene fatto è quello classico che riguarda la caduta dell’Impero Romano, con la relativa erosione dei valori, dei costumi, della mission di una civiltà. Tesi non nuova che ci rimanda ad un testo famoso degli anni ’20 del secolo scorso – il Tramonto dell’Occidente di Oswald Spengler – che proprio in questi ultimi anni è stato ristampato in diversi paesi.
Ma questo volume non costituisce una riproposizione delle tesi di Spengler, né il solito testo apocalittico sulla fine della nostra civiltà. Innanzitutto perché le ragioni della decadenza vengono individuate, non in una generica caduta dei valori, ma nel meccanismo onnivoro della macchina capitalistica, che tutto riduce a merce e profitto, che macina valori, sentimenti e passioni, producendo un frullato che sta diventando ogni giorno più acido ed indigesto. Questo “frullato” di valori-sentimenti-passioni che sono sussunti nelle merci portano a quello che Donati definisce il male assoluto: il nichilismo. Frutto della sinergia tra utilitarismo individualistico e tolleranza, intesa come indifferenza, il nichilismo occidentale appare come un meccanismo autodistruttivo in quanto affida all’accumulazione infinita di merci l’unica meta di questa società. Un approccio questo che si differenzia dalla nota tesi di un grande intellettuale come Umberto Galimberti che vede nella tecnica che cresce su sé stessa, senza senso o direzione, il pericolo più grande della nostra società e l’insorgente nichilismo che colpisce le nuove generazioni (vedi L’ospite inquietante. Il nichilismo ed i giovani, Feltrinelli, 2007). Infatti, per Donati il progresso tecnologico, il dominio della tecnica è solo un’apparenza: è l’egemonia del modello di accumulazione capitalistica che ha tolto al progresso tecnico ogni rapporto con i fini sociali, è la frattura tra etica ed economia che ha reso privo di senso il lavoro umano.
Alla fine del volume l’autore propone alcune vie d’uscita, una resistenza/rivolta morale rispetto alla passività che domina le classi dirigenti occidentali. Molte delle proposte possono non essere convincenti, ma l’importante è il messaggio che ci arriva da questo testo: l’Occidente ha rinunciato ad ogni obiettivo/valore che non sia quello della crescita economica, dell’extraprofitto, dell’individualismo edonistico. Per un secolo è riuscito a esportare questo modello in ogni parte del pianeta, a colonizzare/mercificare ogni risorsa naturale, ogni spazio incontaminato, fino a portarci al disastro ambientale che dovremo scontare per molto tempo. Si diceva e si scriveva che questo è un modello insostenibile, ma in fin dei conti sono stati proprio i più poveri e disperati della terra che sono arrivati con ogni mezzo in tutti i paesi occidentali, spesso perdendo la propria vita, come accade da troppo tempo nel mar Mediterraneo, ma anche in Centro America e negli arcipelaghi asiatici. Ma oggi siamo arrivati velocemente ad un punto di svolta: il modello che abbiamo esportato ad est e a sud ci si sta rivoltando contro.
In trent’anni abbiamo triplicato il Debito Globale – Stato, famiglie, imprese – dei nostri paesi occidentali, facendoci finanziare il nostro “surplus” dalle popolazioni dell’Asia, Africa ed America Latina. Abbiamo smantellato l’industria in Europa e nord America, attraverso il meccanismo della delocalizzazione, per una brama infinita di extraprofitti. Le imprese multinazionali occidentali hanno goduto delle straordinarie opportunità di profitto e riduzione dei costi che offrivano i nuovi paesi emergenti, i cosiddetti BRIC (Brasile, Russia, India e Cina), sottovalutando la capacità di questi paesi di diventare indipendenti e protagonisti. Abbiamo immesso una quantità abnorme di liquidità nel sistema finanziario, costruito bolle giganti, sciolta la finanza da ogni vincolo fino a far diventare questo sistema una sorta di Casino-Kapitalism.
Tutto questo è saltato. Tutte le nostre sicurezze sono andate in pezzi. Negli anni ’70 e ’80 del secolo scorso, abbiamo assistito indifferenti ai dictat della Banca Mondiale e del FMI (Fondo Monetario Internazionale) nei confronti dei paesi del Sud del mondo che erano entrati nella morsa del “debito esterno” e dovevano subire i ricatti e l’ideologia neoliberista: tagli alla spesa sociale, sanitaria, ai contributi agli agricoltori per calmierare i prezzi, abbattimento delle barriere doganali che proteggevano le economie locali, etc. Un disastro per molti paesi del Sud del mondo ed una goduria per le banche occidentali ed istituzioni finanziarie che avevano effettuato i prestiti in dollari a tasso variabile. Con l’avvento della Reaganomics – delle politiche monetariste legate alla presidenza Reagan – il dollaro schizzò verso l’alto insieme ai tassi d’interesse ed i paesi indebitati del sud del mondo furono rapinati, legalmente, di immense risorse.
Alcuni di loro sono arrivati a pagare, grazie al tasso d’interesse composto, anche cinque volte l’ammontare del prestito iniziale, altri sono falliti ed i loro debiti sono stati graziosamente cancellati dalle istituzioni finanziarie, spacciando per “aiuto umanitario” quello che era solo un dato di fatto.
Oggi tocca a noi occidentali e siamo semplicemente terrorizzati. Nessun leader politico ha il coraggio di dire la verità: un modello di sviluppo è finito, una forma di civiltà fondata sui diritti civili e politici sta andando in pezzi, è finita la parte di primi attori che ci eravamo conquistati nella storia moderna e contemporanea. In Europa è nato lo Stato moderno, le democrazie parlamentari, le Costituzioni che sanciscono i diritti fondamentali del cittadino, il mercato capitalistico e le sue istituzioni. Liberté, Fraternité, Egalité, sono state le parole d’ordine, i fari, su cui si è costruita la civiltà europea dopo il 1789. Di questi tre principi fondamentali è rimasta solo la Liberté, che in gran parte si è ridotto a liberté de consumer e, soprattutto, alla libertà del capitale di muoversi senza vincoli morali ed istituzionali.
In questo scenario si può cogliere pienamente il monito che ci viene da questo saggio. L’Europa ha rinunciato ai suoi valori fondanti, ha ridotto la costruzione dell’Unione Europea – una grande conquista storica dopo cinque secoli di guerre tra le nazioni europee – a mera costruzione finanziaria e monetaria (Euro), a pura gestione tecnocratica in nome della Crescita Economica. Ed ora che “crescita e sviluppo” sono diventate parole fuori contesto, ora che i popoli asiatici, e non solo, si sono ripresi il posto nella economia-mondo che gli spettava, l’Occidente non ha più nulla da dire, o se parla usa per l’appunto parole vuote come “crescita del PIL”, un indicatore che non indica più nulla sullo stato effettivo del buen vivir di una popolazione.
Il multiculturalismo è un valore se significa rispetto reciproco tra culture diverse, ma se diventa indifferenza valoriale, perdita di senso ed identità, riduzione delle diversità a differenziazioni mercantili, allora diventa un disvalore e si trasforma in apatia, anomia culturale, in perdita di orizzonti condivisi. Le conseguenze le stiamo vivendo sulla nostra pelle. Il fenomeno immigratorio in Europa moltiplica ogni giorno di più i conflitti locali, emergono con forza movimenti politici xenofobi, i diversi fanatismi religiosi si autoalimentano. Ed ora arriva la Grande Recessione, lo smantellamento del welfare state, l’impoverimento dei ceti medi che avevano costituito lo zoccolo duro delle democrazie parlamentari. Il dominio degli oligopoli finanziari e delle imprese multinazionali, dopo aver ridotto al lumicino la sovranità nazionale, ci stanno portando a forme di governo autoritario e dispotico, in quello che giustamente Donati definisce il “Medioevo Capitalistico”.
Certo, nella storia umana nulla è dato per scontato e non va sottovalutata la capacità dei popoli di reagire a questa crescente ed insopportabile divaricazione sociale, al dominio economico e politico di una élite di privilegiati, di nuovi principi e despoti che possono cancellare in pochi anni secoli di crescita culturale e civile. Siamo entrati in una fase storica estremamente delicata, dove l’accelerazione della vita quotidiana – indotta dal modo di produzione capitalistico associato alle nuove tecnologie – sta contaminando la sfera politico-istituzionale. In un mare in burrasca, di fronte a “fluttuazioni giganti” che dalla sfera finanziaria (Borsa valori) si propagano al resto dell’economia reale e delle istituzioni, il ritrovare “valori forti” e non negoziabili può rappresentare l’unica ancora di salvezza per evitare di colare a picco.

Tonino Perna
Docente di Sociologia economica

(direfarescrivere, anno IX, n. 87, marzo 2013)
 
Invia commenti Leggi commenti  
Segnala questo link ad un amico!
Inserisci l'indirizzo e-mail:
 

 

Direzione
Fulvio Mazza (Responsabile) e Mario Saccomanno

Collaboratori di redazione
Ilenia Marrapodi ed Elisa Guglielmi

Direfarescrivere è on line nei primi giorni di ogni mese.

Iscrizione al Roc n. 21969
Registrazione presso il Tribunale di Cosenza n. 771 del 9/1/2006.
Codice Cnr-Ispri: Issn 1827-8124.

Privacy Policy - Cookie Policy