Se siete appassionati di letteratura poliziesca e di esistenzialismo, questo è certamente il libro che fa per voi: a breve sarà disponibile in libreria il nuovo romanzo, pubblicato da Città del sole, di Claudio Fiorentini, personalità eclettica, amante dell’arte in tutte le sue “sfumature”.
Il misterioso caso di Via Delia da Gilal-Gulta (pp. 256, € 13,00) ha tutti gli ingredienti per essere un giallo autentico, ma con il pregio di essere arricchito da riflessioni sul senso della vita, sulla morte e sul destino dell’uomo.
Margherita Ganeri, docente di Letteratura italiana contemporanea all’Unical e autrice della Prefazione che apre il romanzo, ci introduce in questo affascinante thriller, tramite il quale sarà possibile intravedere un utile strumento per liberarsi dalle convenzioni e dai preconcetti del vivere comune.
La redazione
PREFAZIONE
Metafisica di un giallo
La produzione narrativa, non solo italiana, del nuovo millennio è stata finora caratterizzata dal dilagante successo del poliziesco e del noir, diffusi in fin troppe, variegate salse, pensate per soddisfare i gusti dei palati più diversi. Per questo, sembrerebbe quasi impossibile riuscire ancora a imbattersi, oggi, in delle vere e proprie novità.
E invece il romanzo di Claudio Fiorentini si sottrae alla sensazione del già visto e del già sentito e, pur inglobando un alto numero di frames e stereotipi persino abusati, riesce a mescolarli in una formula inedita, tanto ambiziosa quanto accattivante e coinvolgente.
Del poliziesco non manca nessun ingrediente: ci sono gli investigatori, tra poliziotti veri e dilettanti, le trame criminali, i misteri, gli enigmi, i depistaggi e, ovviamente, i misfatti e un delitto da risolvere. Le indagini procedono in modo spiraliforme, scontrandosi con un intricato “pasticciaccio” di episodi e personaggi, che alimentano una serie continua e mozzafiato di colpi di scena, impedendo al lettore di annoiarsi. La trama è costruita sulla logica palese del raddoppiamento e dello sdoppiamento: due personaggi principali portano lo stesso nome, e si alternano nello svolgersi dell’azione; le situazioni narrative spesso si somigliano o si ripetono in forme variate o rovesciate.
Il protagonista è un detective per caso, l’agente del fisco Cipriani, coinvolto casualmente nelle investigazioni, proprio per la sua omonimia con un poliziotto. Egli si lascia inizialmente intrigare per semplice curiosità, quasi per noia. L’intreccio segue di qui un copione quasi mozartiano, tra armoniosi incroci e scambi tra le parti, anche se l’accumulo di una ragguardevole molteplicità di piani rende la trama più simile a un gaddiano “gnommero” che a una semplice partitura contrappuntistica. L’iperletterarietà è la molla che fa lievitare i molti livelli narrativi, incastrati uno dentro l’altro, come nelle scatole cinesi: c’è il manoscritto antico ricercato dai cattivi, e che, per caso, cade in mano a un buono, ci sono i rimandi alle confraternite, alle associazioni segrete, all’occultismo, alla criminalità organizzata. Non mancano le linde e pettegole vecchine di quartiere. E ci sono la droga, ovviamente soprattutto cocaina, e la prostituzione, elemento immancabile del romanzo d’appendice, del feuilleton. Alla fine la matassa si dipana in un gratificante scioglimento, e il lettore può gioire del piacere liberatorio di un riordino degli eventi, grazie alla scoperta di verità inequivocabili e sicure.
Fin qui, però, nessuna particolare novità. Siamo di fronte a una sorta di satirico grandguignol, il cui copione accoglie suggestioni dalle fonti più disparate della letteratura soprattutto popolare, compresa quella legata all’immaginario mediatico, filmico e televisivo, del genere poliziesco. Qual è dunque la novità che il lettore si scopre a cogliere tra le pagine de Il misterioso caso di via Delia da Gilal-Gulta?
Il punto di forza originale del racconto sta nella centralità conferita alla riflessione sul senso della vita, sulla morte e sul destino e, quindi, al rimando costante a un sotteso discorso metafisico, che si articola e si frammenta prismaticamente, restando sempre, però, discorso strumentale e funzionale al vivere. Lo stesso Cipriani, entrato per caso in contatto con il mistero in questione, finisce con lo scoprire un senso profondo che riguarda il proprio destino, comprendendo la valenza provvidenziale del suo coinvolgimento in esso, come mezzo per ritornare a un punto morto del passato, da cui ricominciare a tessere un filo importante, prima spezzato, della sua vita.
Il giallo si sa, è un genere di per sé metafisico, che richiama le questioni del bene e del male, del giudizio, dell’etica del vivere e del morire. C’è sempre una morte in gioco, in un giallo che si rispetti. E però, di solito, il rimando al piano metafisico avviene in forma metaforica, allegorica, traslata.
Claudio Fiorentini, invece, affronta di petto e in modo esplicito la riflessione sull’aldilà, facendo intervenire anche degli angeli e dei preti diabolici, senza che per questo il suo racconto possa qualificarsi come propriamente religioso. Il senso dell’“oltre” e dell’“altro”, sviluppato in molteplici sfaccettature, spesso sottilmente e raffinatamente ironiche, serve a cercare un senso della vita, e non a indagare misteri mistici o teologici. Le domande esistenziali dei personaggi muovono l’azione, fino a promuovere quella soluzione finale positiva che non ci azzardiamo a svelare, perché sarebbe un delitto togliere ai lettori il piacere della sorpresa.
Accomuna un’intera schiera di scrittori contemporanei dediti al noir, da Carlotto a De Cataldo, da Farinetti a Fois, da Macchiavelli a Perissinotto e a tanti altri, la centralità del medium massmediologico nell’immaginario creativo. Per gli scrittori nati e formatisi dopo la rivoluzione antropologica del Postmoderno, e quindi dopo gli anni Cinquanta del Novecento, secondo un fenomeno ormai molto studiato, non è più la letteratura il referente primario della formazione culturale: essa è stata soppiantata dal vasto territorio del visuale cinematografico, televisivo e del cartoon.
Claudio Fiorentini non fa eccezione. Il suo è uno scritto che vedremmo facilmente trasposto al cinema o in televisione, per la struttura di tante scene che sembrano rimandare ad altrettante azioni cinematografiche, e per lo stile piano, semplice, sfrondato, che somiglia a quello di una sceneggiatura. Ma l’autore ha scelto la forma del romanzo perché è l’unica capace di permettergli un adeguato spazio per le riflessioni meta-letterarie e metafisiche. Se gli eventuali riferimenti ai fatti sono definiti, nella legenda finale, come «inconsapevolmente volontari», l’ossimoro può essere inteso come rivelatore di uno sfondo psicologico e morale positivo. C’è sempre, insomma, nell’uomo, una volontà di vita, e un senso del suo valore, anche quando resti inconsapevole. Cipriani, tra gli altri, compie una parabola di iniziazione, il cui reale soggetto si rivela essere l’amore autentico e assoluto, contro i tanti amori mercenari, consumistici e edonistici che pullulano
le pagine del romanzo.
Si tratta di un’iniziazione che avviene necessariamente nella mezza età, dopo un’obbligata fase di erranze e di errori, forse intesi come momenti di espiazione di un vissuto degradato. In questo senso, il giallo di Fiorentini può essere anche visto come una risposta positiva ai tanti drammi del nostro presente, dalla dilagante corruzione dei poteri occulti – in chiave, dunque, politica, per la fiducia nella verità e nella giustizia –, al degrado dei sentimenti – in chiave individuale e sentimentale. La donna e l’uomo possono liberarsi da tabù e da preconcetti, e possono sperare in un esito felice per le loro vite, nonostante nulla possa vanificare o indebolire la loro piena cognizione del dolore che affligge il mondo.
Non è poco, nel nostro oscuro contesto attuale. Dalla lettura di questo intenso quanto ironico romanzo si esce non solo e semplicemente divertiti, ma anche tonificati e forse persino? Lo si diceva un tempo con ingiusta sfumatura negativa? Consolati. La letteratura, tuttavia, serve da sempre anche a offrire una salutare e persino salvifica funzione consolatoria. Lo sosteneva anche la grandissima Jane Austen, spiegando perché Pride and Prejudice dovesse concludersi con due matrimoni d’amore.
Margherita Ganeri
(direfarescrivere, anno VII, n. 71, novembre 2011) |