Uno strano gioco del destino – e della letteratura – quello per cui la vita della gente povera si intreccia all’esistenza di famiglie ricche e potenti. E, indipendentemente dal lieto o infelice fine, in questi casi bisogna sempre aspettarsi vicende funeste. Verrebbe da pensare subito a Cenerentola, riferimento estremamente comune nella nostra cultura e parte integrante del nostro patrimonio. Ma quella che Giovanna Moscato propone è una storia di gente “vera”, umile e non, che supera di gran lunga lo stereotipo della celebre fiaba e che ci propone un ritratto di sentimenti lontani dall’astrattismo.
Un romanzo storico-realistico, tra tradizione e innovazione
Giovanna Moscato, giovane insegnante di Italiano e Storia, nonché giornalista per diverse testate calabresi, ha messo alla prova la sua penna di scrittrice dando vita ad un romanzo – il primo – che si misura idealmente con i colossi della letteratura ottocentesca.
Ritratto in bianco e nero (Aracne editrice, pp. 196, € 9,00), titolo del suo libro in corso di pubblicazione e tra poco nelle librerie, rievoca la narrativa realistica, impersonale, quasi scientifica a cui si ispiravano Verga e Capuana.
L’autrice osserva e rappresenta con vigorosa umanità, profonda pietà, tristezza e drammaticità la vita misera di una famiglia che vive di stenti, dipingendo uno spaccato della realtà contadina di settant’anni fa. E trasporta quest’ultima nel suo racconto senza schermi, facendola scontrare con un “mondo” esattamente antitetico: quello di una facoltosa famiglia capace di piegare chiunque alle proprie necessità.
Ma se i veristi finivano per far soccombere gli uomini “primitivi” alla legge della sofferenza e non permettevano ai protagonisti delle proprie opere di ribellarsi alla cupa sorte toccata loro, la Moscato si mostra figlia dei suoi tempi e lascia un margine di azione più ampio ai suoi personaggi.
A metà strada tra romanzo storico e saga familiare, Ritratto in bianco e nero affronta temi di interesse sociale, presentandosi come una sorta di catalogo di denuncia caratterizzato da un linguaggio semplice e immediato, che fa frequentemente leva sulla forza espressiva del dialetto, determinando la resa realistica del contesto socioculturale narrato e garantendo il coinvolgimento emotivo e l’adesione del lettore.
Un excursus intenso, dunque, in cui le parole sgorgano come un fatto naturale e spontaneo che – anche grazie all’uso della terza persona, e al “distacco” che ne deriva – tende a non lasciar traccia della mente da cui è germogliato.
La trama: tra amore, povertà, potere
Il romanzo è ambientato in un paese immaginario del Mezzogiorno d’Italia: Citrone.
Su questo sfondo si sviluppano le vicende della famiglia Molello, poveri contadini che, pur lavorando duramente, fanno fatica a vivere. Sulla loro strada continuano ad incontrare Donna Franceschina Giannoni, proprietaria terriera di umili origini diventata nobile e potente grazie al matrimonio con un marchese.
Franceschina, donna aspra, forte, austera e inflessibile, nutre un’ostilità profonda nei confronti dei Molello. La causa è radicata nel suo passato, negli eventi dolorosi della sua vita che le hanno lasciato ferite profonde, mai rimarginate. E destinate a rimanere aperte per sempre.
L’odio della donna verso i Molello sarà destinato ad inasprirsi, infatti, quando suo figlio Paolo – rampollo della famiglia Giannoni – si innamorerà di Maria Molello, quinta di nove figli nati nella miseria, in una casa dove un pezzo di pane doveva bastare per sfamare tutta la famiglia.
Maria è la vera protagonista del romanzo: una ragazza, che si trasforma in donna con lo scorrere delle pagine, cresciuta all’ombra della rigida educazione di sua madre, dalla quale ha imparato a tacere gelosamente i propri sentimenti.
Maria si presenta agli occhi del lettore come una persona molto concreta, segnata da una vita che con lei è sempre stata poco generosa. Ed è per questa ragione che vive con un certo disagio la forza del sentimento che la lega a Paolo, quel giovane dall’aspetto nordico così affascinante, che incrocia la sua strada quasi per caso. Ma già da quel primo, fugace e violento incontro, il loro destino appare segnato: occhi dentro gli occhi, trionfo della più vigorosa fisicità.
La scrittrice rappresenta così realisticamente quel «tripudio di sensazioni» qual è l’amore al punto che, attraverso le sue parole, è quasi possibile percepire la miscela tra il profumo di lavanda, caratteristico del nobile Paolo, e l’odore di pane, rose e fiori dell’ingenua e umile Maria.
Apice di questo realismo, tanto coinvolgente quanto privo di forzature, è la scena della nascita di Angelica, la figlia di Maria e Paolo nata al di fuori del matrimonio.
Sarà proprio la determinazione con cui Maria decide di allevare sua figlia, nonostante il disprezzo della gente e nonostante la decisione di Donna Franceschina di allontanarla da Citrone, ad arrivare con forza al cuore del lettore e a fare della donna un’eroina perché non si è arresa alla propria difficile condizione.
Un capovolgimento dell’ordine delle cose, dunque: chi dovrà cedere è proprio Donna Franceschina Giannoni, all’apparenza eterna, così determinata e attaccata alle cose del mondo da dare la sensazione di non doversene mai separare.
Un romanzo tutto femminile
Ritratto in bianco e nero non è solo un romanzo dall’atmosfera soggettiva e intimistica, nel quale un sentimento universale come l’amore viene rappresentato con una forza tale da renderlo capace di superare le barriere economiche e culturali che spesso dividono gli uomini. Ciò che rende vitale e vivace questo romanzo è la presenza prepotente della componente femminile.
I personaggi che più si impongono all’attenzione del lettore, catturandone la curiosità, sono le donne: donne che per caratteristiche personali, cultura e situazione socio-economica risultano raffigurate e dipinte in una straordinaria varietà. Dalla donna di potere, dura e ostile − come Donna Franceschina −, alla donna-mamma – come Cettina – che ha vissuto solo per i figli e per la famiglia, alle giovani ragazze la cui principale aspirazione è il matrimonio come mezzo per conferire un senso ad un’esistenza di stenti o, al contrario, basata sulle apparenze. Fino ad arrivare a Maria, la protagonista, che supera gli stereotipi della sua epoca.
È opportuno ricordare, infatti, che il lettore della Moscato non si trova davanti a personaggi femminili del proprio tempo, bensì deve collocare questi ultimi in un periodo storico perduto e superato, forse difficile da capire, immaginare e “far proprio” se la scrittrice non avesse avuto la capacità rappresentativa e introspettiva che, invece, la sua penna rivela.
Maria si impone allo sguardo del lettore come figura femminile ispirata al modello romantico: è la donna che vive una passione amorosa travolgente, contrastata e, contemporaneamente, vissuta in modo conflittuale; appartiene a quella tipologia femminile in cui si intrecciano bellezza, semplicità, autenticità e naturalezza espresse attraverso silenzi, sofferenze, fughe, allusioni, gesti e parole carichi di desiderio. Ma Maria si presenta anche come la donna ribelle, che oppone resistenza a ciò che la vita le ha disgraziatamente riservato, nonostante il proprio – storicamente – fosse il tempo in cui le libere scelte da parte delle giovani erano rarissime e nonostante il proprio contesto geografico – la provincia rurale – fosse quello in cui era impensabile prendere decisioni personali senza farsi influenzare pesantemente dalle “chiacchiere di paese”.
È per questa ragione che la nascita di Angelica, frutto di un amore “proibito”, si impone come una delle scene più incisive del romanzo. La neonata, infatti, rappresenta una vittoria e una sconfitta: Maria ha trovato il coraggio di sfidare lo scandalo che, in un contesto come il suo, rappresentava la gravidanza fuori dal matrimonio; ma – al contempo – la sua ostinazione a non cedere al ricatto morale del perbenismo, per il quale la sua scelta non era nient’altro che sinonimo di indecenza, si rivela lo strumento nelle mani della dura Franceschina per far soccombere alle ragioni del potere e dell’apparire un sentimento come quello che legava l’umile Maria al suo nobile figlio.
Alla luce dei cambiamenti e delle rivoluzioni che hanno travolto l’universo femminile in questi ultimi decenni, il romanzo di Giovanna Moscato offre diversi spunti di riflessione e si rivela non solo la brillante prova di una nuova scrittrice, ma anche l’occasione per guardarsi alle spalle: il passato è più lontano di quanto il tempo cronologico non dichiari.
Cecilia Rutigliano
(direfarescrivere, anno V, n. 48, dicembre 2009)
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