«Ahi serva Italia, di dolore ostello […]!». Quante volte, insieme al Sommo Poeta, abbiamo tracciato amari paralleli tra la Penisola smembrata del tardo Medioevo e quella attuale? A volte l’allegoria, guidata da un linguaggio metaforico e visionario, diventa lo specchio traslucido che ci permette di vedere con più efficacia il reale senza distaccarcene, anzi amplificandolo con l’espediente del fantastico e rendendolo paradossalmente più concreto.
Da questo presupposto è partito anche Vittorio Emanuele Falsitta, avvocato tributarista ed ex parlamentare, il quale nel 2006, in tempi non sospetti, concepiva un romanzo dai sorprendenti risvolti profetici, che fotografa il declino morale di una classe politica sempre meno credibile e le sue sconcertanti conseguenze: l’Italia trasformata in una società per azioni e gli italiani divenuti, loro malgrado, azionisti. Il libro, uscito nel 2011, ha il titolo emblematico di Italia S.p.A. Le profezie del capitale (Editoriale Fernando Folini, pp.164, € 12,00) e si presenta come un viaggio nella politica italiana del futuro (o di quello che ne resta) condito da visioni, esoterismo ma soprattutto, citando il filosofo Georges Ivanovič Gurdjieff, «incontri con uomini straordinari».
Visioni profetiche di un’Italia alla deriva
A dare prova della veridicità (romanzesca, occorre sottolineare) dei fatti accaduti è la Premessa, che fa uso di un espediente narrativo di eredità manzoniana, quello del manoscritto ritrovato. In questo caso, però, le rivelazioni viaggiano su un supporto di ultima generazione: una chiavetta usb, un dispositivo minuscolo che racchiude un’esperienza al di là dell’intelligibile, quella di un certo G. D., insegnante di violino italiano in Giappone, che afferma di voler divulgare le cose terribili da lui ricevute in visione. Da quel momento la vicenda sarà narrata in prima persona dal violinista emigrato, a partire dall’incontro al Cairo con il signor Kurstav, appassionato di filosofia e misticismo orientale dal nome caucasico e dalla personalità dirompente e magnetica. Non sono tanto le sue doti umane a colpire il narratore, quanto piuttosto l’aura ultraterrena che lo avvolge. Fissare il suo sguardo penetrante significa «attraversare una stenosi misteriosa da cui passa il filo – almeno quello – tra il mondo caduco e il mondo eterno». A quel primo incontro, profondo e ipnotico, ne seguono altri, che lasciano il violinista in balia di un senso di inquietudine misto alla consapevolezza latente che Kurstav sia una porta socchiusa sul soprannaturale. La sensazione si rivela fondata quando il narratore riceve il dono di un’esperienza extracorporea e di un sibillino «Accordo» che anticipa le incredibili visioni di cui si renderà spettatore e insieme protagonista attivo.
Sarà una donna di nome Emilia a guidarlo nella prima visione, facendosi portavoce e profetessa dell’Italia del futuro. Un’Italia dove ormai non esistono «avvocati per la giustizia civile, né processi davanti a magistrati», ma dove ogni controversia è burocratizzata attraverso moduli di carta, dove ogni desiderio è pilotato e monopolizzato dalle banche. Un’Italia data in pasto alle multinazionali, che l’hanno trasformata in «un’impresa globale a scopo di lucro», in nome del profitto e con l’iniziale beneplacito degli italiani-soci, ritrovatisi poi sommersi dai debiti e privi di reddito. Uno scenario apocalittico scaturito dalle crisi economiche (e qui è impossibile non pensare all’attuale situazione) avvenute tra il 2005 e il 2014, che hanno dato la spinta al capitalismo più selvaggio e radicale, alla conseguente caduta del cosiddetto «Muro Secondo» e all’accentramento del potere dallo stato a pochi privati. Come risultato, la classe media non esiste più, mentre il 98% della società vive di stenti. Illusi dall’iniziale promessa di abrogazione delle imposte, i cittadini si sono accorti troppo tardi dei subdoli sistemi di prelievo di «Italia S.p.A.», che li bombarda con microtasse a non finire perfino nelle più semplici azioni quotidiane, ad esempio quando accedono a un social network.
Con la società ridotta a «una foca ammaestrata» e lo stato ormai solo a uno sbiadito ricordo, la situazione sembra insanabile. Qual è il rimedio per scongiurare questa ecatombe, che ha la sua radice nelle non rosee circostanze politiche attuali? Un tentativo di risposta, costituito da un’altra domanda, viene dalla seconda visione: «La persona che attraverso il lavoro non può realizzare se stessa e non può conseguire i diritti fondamentali della libertà, quanto è rilevante nella città del denaro?». Il violinista si troverà ben presto a fare i conti con la propria coscienza sociale e politica, per arrivare alla conclusione che la salvezza si trova nel riconsiderare la «funzione sociale della proprietà dei mezzi di produzione». Ricostituire, dunque, l’ossatura di quella «società fondata sul lavoro» prevista nella Costituzione, per avere una politica del reddito più equa e dei lavoratori realizzati.
Incursioni nel soprannaturale
Il libro è attraversato da un sottofondo esoterico che finisce per scandire e suggellare le vicende scritte. Vari, in particolare, sono i richiami alla Cabala ebraica menzionati nel romanzo (l’Albero della vita, le Sephiroth, le citazioni bibliche, ecc.). L’autore si sofferma spesso e volentieri su fenomeni paranormali ed esperienze extracorporee, dimostrando una certa dimestichezza con l’argomento. L’atmosfera del romanzo appare in ogni caso sospesa e rarefatta, miscelando arcano e contingente con risultati a tratti inquietanti. La scrittura di Falsitta è densa e metaforica e il suo stile ricercato si avventura di frequente in passaggi suggestivi. Il contesto ultraterreno del romanzo accentua ancora di più l’importanza degli argomenti trattati, presentandoli come un monito soprannaturale per evitare l’avverarsi degli eventi apocalittici descritti. Perché la vera causa di tutto è «l’assenza di una autentica classe politica» che ha spinto il paese a «frammentare se stesso in bande di uomini potenti: un Medio Evo incivile».
Angela Patrono
(direfarescrivere, anno VIII, n. 83, novembre 2012) |