Anno XX, n. 225
novembre 2024
 
La recensione libraria
La negatività del “fenomeno spinta”
in azienda e nell’esistenza in genere:
come riconoscerlo e perché evitarlo
Da Città del sole, un nuovo approccio al reale
contro le logiche alienanti del mondo odierno
di Rodolfo Monacelli
Estremamente interessante è il saggio che ci propone Paolo Ghelfi, L’azienda a spinta. Analisi e proposte per un mondo che si muove a fatica. Contrariamente a quanto farebbe pensare il titolo, questo testo – edito da Città del sole (pp. 176, € 16,00) – non è dedicato esclusivamente alle logiche della gestione d’impresa, di cui l’autore – consulente manageriale di Direzione e Organizzazione e docente – è esperto, ma può essere letto da tutti coloro che sono interessati a modificare la loro visione della vita e, in particolare, il loro rapporto con gli altri.
Tema centrale del libro – che si apre con la prestigiosa Prefazione di Dino Giovannini, docente di Psicologia sociale all’Università di Modena e Reggio Emilia, e si arricchisce di un apparato paratestuale di spessore (ritagli di giornale, grafici, tabelle e disegni per agevolare il lettore nella “concretizzazione” degli argomenti trattati) – è come evitare, o limitare, la “spinta”.
Ma che cos’è la spinta? Quel sollecito, quell’intervento ripetuto «capace di agevolare o accelerare il raggiungimento di uno scopo». Una pratica che Ghelfi, sia nel mondo del lavoro che nella vita di tutti i giorni, ritiene sostanzialmente negativa, perché non permette una partecipazione collettiva e una conoscenza condivisa.

Analisi di un fenomeno
Il libro si divide in due parti. Nella prima, intitolata I casi della vita, l’autore ci presenta casi reali in cui si è manifestata l’azione di spinta che, con un po’ di ragionevolezza, si sarebbero potuti evitare. Non vi è nulla di straordinario o di eccezionale in queste circostanze. Al contrario, la maggior parte dei lettori potrà riconoscersi in esse. Ma è proprio questa normalità, questa assurda normalità, che fa comprendere come il fenomeno della spinta porti non solo a situazioni paradossali degne del miglior Pirandello, ma anche a complicazioni enormi e inutili della vita.
Nella seconda parte del libro, Per dover spingere meno, che rappresenta il nodo centrale di tutta l’opera, l’autore propone soluzioni razionali e attuabili concretamente, al fine di evitare la spinta in ambito aziendale, le quali si servono di tre principali strumenti: la pianificazione, la formazione e l’utilizzo delle nuove tecnologie.
Tali elementi hanno lo scopo di favorire il coinvolgimento di tutti i “lavoratori” nel processo operativo, la consapevolezza da parte di ognuno della propria mansione e, dunque, la “centralità” delle persone nel contesto aziendale. Ai fini del coinvolgimento generale però, precisa l’autore, «bisogna conoscere», quindi, responsabilizzare tutti gli attori del processo di un’azienda. Solo dando fiducia ai propri collaboratori, trasferendo in loro la completa conoscenza del progetto che si va a realizzare e non fornendogli solo poche indicazioni operative, si può limitare con efficacia il fenomeno della spinta che prevede la richiesta continua di informazioni affinché si possa svolgere al meglio il proprio lavoro.
Di particolare interesse è il capitolo sull’utilizzo nel contesto aziendale delle nuove tecnologie e, in particolare del Web 2.0, considerate come soluzioni partecipative al problema della spinta. L’utilizzo delle nuove tecnologie e dei new media, infatti, per Ghelfi, non ha determinato soltanto un miglioramento tecnologico delle aziende italiane, ma anche una maggiore comunicazione e collaborazione esterna e soprattutto interna. L’elemento più importante della nuova generazione del Web, infatti, come ci ricorda l’autore, non è tecnologico ma culturale. Con il Web 2.0 la rete si è trasformata in una vera e propria comunità di utenti che sono, al tempo stesso, fruitori e protagonisti. Gli aspetti fondamentali di questo nuovo approccio a Internet sono dunque proprio quelli che nel testo vengono presentati come i “risolutori” del fenomeno della spinta: la collaborazione, la partecipazione, l’assenza di gerarchie prestabilite, la flessibilità, l’adattamento, il coinvolgimento, la cooperazione, la conoscenza, la condivisione. Ghelfi, giustamente, sottolinea che tale modello, se applicato interamente al contesto aziendale, potrà certamente contribuire a risolvere il problema della spinta, ma potrebbe creare problemi alla dirigenza, poco incline ai cambiamenti. Il nuovo, però, come ci dimostra la Storia, alla fine si impone sempre e, dunque, più che combattere contro le novità bisognerà cercare di governare il cambiamento valorizzandone gli aspetti più positivi e più funzionali.

Azienda e società: relazionarsi con gli altri
Come si è visto, l’autore parla soprattutto dell’ambito aziendale, ma come si è detto all’inizio, la spinta dovrebbe essere evitata non solo da chi ha un interesse specifico nella gestione delle risorse umane di un’impresa. Il testo potrà essere letto e apprezzato soprattutto da coloro che aspirino ad avere una migliore relazione con gli altri. La visione di questo saggio, che potremmo definire quasi filosofica, è infatti partecipativa e comunitaria. Una visione del mondo, cioè, antindividualistica e antigerarchica che incita gli individui a darsi da fare, a essere i protagonisti della propria vita, eliminando tutti gli aspetti di alienazione e di inerzia sociale che caratterizzano la società contemporanea poiché, come sottolinea il prefatore Dino Giovannini: «L’inerzia sociale viene ridotta e annullata non grazie a ricompense individuali, ma quando si rende saliente un’identità sociale, importante per l’individuo (nel nostro caso, quella aziendale), e le ricompense sono date a favore del gruppo nel suo complesso».
Le parole chiave sono, quindi, “coinvolgimento” e “conoscenza”. L’una presuppone l’altra. Un’azienda, come la società in cui viviamo: nel momento in cui, avvertiamo leaderships troppo estranee e lontane da noi, cerchiamo aiuto, soluzioni facili, per non soffocare nell’anonimato e non essere succubi di un potere forte e, soprattutto, non conoscibile. Ricorriamo alla spinta anche solo per arenarci in una posizione economica che soddisfi i nostri bisogni più semplici. Eppure, basterebbe non adeguarsi. Potremmo coinvolgerci, conoscere e, perché no, conoscerci.

Rodolfo Monacelli

(direfarescrivere, anno VIII, n. 80, agosto 2012)
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