Se ogni secondo potesse essere parola, saremmo immersi in una “quotidianità- letteratura” e il pensiero sarebbe il segnalibro capace di distinguere la natura dei nostri sospiri, che necessitano di pause. Dovremmo fermarci, per poi riprendere, la nostra corsa alla vita impressa su pagine immaginarie. Se amassimo il “bello scrivere” e fossimo profondi conoscitori delle tecniche stilistiche, allora potremmo immergerci addirittura nella poesia.
La convivenza con essa ci porterebbe a stilare auliche forme che, una volta vissute, non resta che contemplare.
Quest’operazione effettua Enrica Meloni, giovane poetessa sarda che, con Eventi in versi (edizioni La rondine, pp.64, € 7,00), fa del quieto vivere, e non solo, un’arte, una musa a cui ispirarsi. Tra le righe ritroviamo quella sottile linea bianca che, sorpassando significante e significato, arriva al traguardo del sublime. Esso prevede come punto di partenza la generale incomprensione di ciò che accade nella nostra esistenza e come punto di arrivo il vago e il vacuo che mutano in fonte di riflessione e in sangue per le vene dell’anima.
Non è un semplice divagare esistenziale, ma un pensare ponderato che dalla mente si sposta allo stomaco. Probabilmente nemmeno i lettori più cinici, asettici e distratti potrebbero desistere dal coinvolgimento emozionale che Meloni scatena azionando un’armonica concatenazione di parole dense e forti.
L’aulico trattar…
Cinquanta componimenti poetici sono il fulcro e l’essenza di una silloge rara.
La contemporaneità abitua alla ricerca di termini semplici, contornati da uno stile ambiguo, percettivo e intuitivo quanto basta. La poetessa sarda, invece, scardina il modus operandi della letteratura odierna e ci riporta alla complessità artistica le cui immagini quotidiane, appartenenti alla collettività, sono tradotte in intrecci complessi e sottili d’emozioni e sensazioni. Tutto questo attraverso l’uso di termini colti, arcaici, aulici.
Figure e temi ricorrenti sono la donna, l’estasi di felicità data da un preciso momento, la morte, la scrittura.
In Nemica dell’inappetenza, Marea d’estro amato, Sposa, Insorta dignità, Falsamente grata, Materna indulgenza e Femminea veemenza, appare una donna perfetta ma spesso sofferente del proprio essere, a volte sublimato a volte affogato nella condizione di madre e sposa: «Novella consorte d’un impavido domani. / Fanciullezza trascritta sul fato vitale, / sorriso ineguagliabile d’ubertosa purezza». O ancora, «Donna, mai divenuta realmente tale, antagonista d’immeritati supplizi. / Del sangue tuo s’impresse la fanghiglia d’un capanno impenitente. / Madri inconsce ignorarono il tuo lamento imperando la tua vitalità».
Estemporanea libertà e Idillio di un incontro, invece, dimostrano quanto l’analisi di un solo attimo possa condurre il pensiero al godimento catartico che porta a riconoscere l’emblema di un’esistenza di cui spesso si fatica a trovare l’autentica forma: «Fuga dalla stasi morale, / lungi d’apatica posa, / oltre la fisica / d’ogni silenzio, / trascende verso la sua real volontà».
La morte è una sofferenza dolce e nobile. Spesso, come in Magistrale silenzio, Pietas d’un pianto silenzioso, Pianto miracolo, una madre piange un figlio. Nessun «lancinante grido» a descrivere il dolore. Emozioni sottili come una lama. Chi legge sente addosso la ferita in modo naturale e progressivo fino al termine della lettura, dove il rammarico lascia il posto ad una disperata nostalgia: «Ora solitaria, prosegui di reminiscenze passate / rimembrando lui e le fervide nozze che marchiarono / i giorni congiunti d’un pianto silenzioso».
I contenuti mutano e la spiccata sensibilità, oltre che abilità, di Meloni diventa palesemente chiara, interiorizzando accaduti apparentemente estranei alla vita individuale di ognuno di noi, come il «settecentesco Sturm und Drang, l’oltre dello spiritual suffragio» in Rievolversi passionale. O la morte di Cola di Rienzo, «discepolo d’un esistenziale enigma d’audace fardello», nell’omonima poesia. Ancora, riferimenti ad Euterpe, in Fautrice di Grazia: «Sii tu, Euterpe, manna d’ogni arte che di te porta l’essenza»; a Medea, in Rea giustizia: «Sarai secolarmente tu, Medea, dall’indelebile pianto»; a Dracone, in Draconiana intransigenza, che «tacendo in una non resa, congiunse le docili mani in un memore pregar».
Enrica Meloni questo scrive in La mia poesia: «Insostituibile e combattiva essenza, / sii tu nobil firmamento d’indelebil inchiostro. / D’un creato mirabile beatifichi cartigli mortali».
È ben consapevole, come poi i lettori, del ruolo esistenziale della scrittura, non necessaria ma incombente, se sentita e desiderata.
Vicende quotidiane d’altri tempi, correnti letterarie e, addirittura, metapoesia. Varietà d’argomenti accompagnati da una spiccata dote linguistico-letteraria. Così, il bisogno di scrivere si distingue dalla letteratura e il cantastorie ambulante dal poeta.
L’aulico scriver…
Non a caso il livello contenutistico, generalmente elevato, va di pari passo con il livello scrittorio, prettamente aulico e colto. Ritroviamo termini quali vir, mater, roboris, che sembrano scavare gli ancestrali concetti dell’esistenza umana, riportati in modo integro, senza nessuna “sporcatura”, tipica di una quotidianità e di un tempo che confondono.
Nella silloge, ogni verso sembra essere frutto di lenti e travagliati parti morali. Alla luce di lunghe ore di gestazione, esce fuori la parola più candida e pura, quella che mai ci aspetteremmo, perché fuori uso, lontana dal nostro parlare. Ma eccola lì, su quella pagina, a spiegare perfettamente il tumulto della poetessa, che un po’ è anche il nostro. Vuoi per convergenze interiori, vuoi per la bella scrittura che si ha di fronte. Sensazione rara, non comune se non in Gozzano e Montale.
Francesca Ielpo
(direfarescrivere, anno VIII, n. 78, giugno 2012)
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