L’intricata sofferenza psicosomatica: l’importanza delle emozioni represse e gli aiuti nel campo psicoterapeutico
Un trattato di Renzo Rocca e Giorgio Stendoro,
edito da Armando, per avvicinarsi al problema
di Simone Vender
Non data da poco tempo la constatazione che talune malattie hanno un’origine psicologica: il termine “psicosomatico” è stato, infatti, foggiato dallo psichiatra Johann Christian August Heinroth (1773-1843) nel 1818, mentre il celebre psicanalista Donald Meltzer preferisce la definizione jacobiana (1922) di “somato-psichico”, per sottolineare nella sequenza dei due aggettivi come al primo posto, temporalmente, stia il corpo, da cui la mente poi si differenzia.
La cura di tali “malattie organiche ad eziologia psicologica”, come riduttivamente si potrebbero definire quelle di pertinenza della medicina psicosomatica, hanno costituito da sempre una questione molto controversa, che proprio per questo ha attirato l’interesse degli studiosi. D’altro canto, la difficoltà del problema ha prodotto spesso una rinuncia da parte dei terapeuti che si sono trovati ad affrontare questa tipologia di malati, abdicazione dovuta ai frequenti fallimenti.
Oggi è prevalente un’interpretazione che considera il ricorrente interscambio tra “psichico” e “somatico” nelle varie forme patologiche, sia organiche che psichiatriche. Pertanto, si è passati dalla nosografia psicosomatica ai pazienti psicosomatici anche per descrivere elementi generali e personalità che li rendevano caratteristici.
In questi malati sono state evidenziate alcune caratteristiche comuni quali una rilevante difficoltà nell’espressione verbale delle emozioni, la mancanza di fantasie ed un contenuto del pensiero che palesava timori per i più piccoli dettagli dei sintomi somatici. E, ancora, la loro facile frustrabilità, nonché una propensione alla dipendenza o predilezione per la solitudine e l’evitamento degli altri.
Tali caratteri comuni ai pazienti psicosomatici vennero definiti «pensiero operatorio» da Christian David, Michel de M’Uzan e Pierre Marty nel 1963 e confermate nel termine «alessitimia» elaborato da John C. Nemiah e Peter E. Sifneos nel 1973.
Le difficoltà del dibattito teorico sul paziente
Intorno a queste concettualizzazioni si è, evidentemente, svolto un dibattito assai incalzante, massimamente da parte di quei ricercatori che mettevano in luce la problematicità di quantificare gli elementi specifici delle personalità del malato psicosomatico.
Ed allora, riguardo al concetto di alessitimia, Graeme J. Taylor e i suoi collaboratori, con altri ricercatori in varie nazioni europee e americane, hanno provato a definirne le caratteristiche, elaborando una scala – la Tas-20 –, variamente revisionata, che consentisse una quantificazione plausibile del sintomo.
Ma, come già si diceva, esistono altresì autori che postulano che il paziente psicosomatico non esiste: in realtà per loro si tratterebbe soltanto di modelli teorici, di costruzioni meramente astratte, distanti dalla realtà clinica, che cercano di decifrare o comprendere una sintomatologia che sfugge ad ogni possibilità di interpretazione secondo i concetti ordinariamente impiegati e a disposizione.
Resta il fatto che, per venir fuori da una disputa teorica, virtualmente sterile, è fondamentale ascoltare l’esperienza vissuta dal paziente circa il proprio corpo: questo è uno dei nodi primari della psicopatologia, come ci rammenta regolarmente Bruno Callieri.
Esperire il proprio corpo, infatti, secondo la magistrale lezione del filosofo francese Maurice Merleau-Ponty, è al contempo un fatto soggettivo ed oggettivo, in una irriducibile ambiguità, che conduce però alla scoperta dell’altro, pertanto alla concomitante scoperta dell’alterità e della propria identità.
La tecnica della «Procedura Immaginativa»
Questo ambito costituzionalmente intersoggettivo è la linea guida del bel libro di Renzo Rocca e Giorgio Stendoro, Psicosomatica. Una risposta dall'Immaginario (Armando Editore, pp. 128, € 12,50).
I due autori, fondatori dell’omonimo Istituto di Psicologia clinica, applicano la tecnica della «Procedura Immaginativa», da loro sperimentata nella cura del sintomo psicosomatico (anoressia, ansia cronica, disturbi sessuali, emicrania, inibizione, ecc.). Essi affermano che «smarrirsi nel sintomo, nel suo fluire continuo di soggettivi significati psicosomatici strettamente connessi tra loro, può essere un tentativo del paziente per autoguarirsi e/o organizzare una massiccia difesa-resistenza, spesso confusa con tratti caratteriali-comportamentali».
Attraverso la tecnica suddetta, il corpo diviene luogo privilegiato di ascolto clinico per il terapeuta, che presta attenzione al suo specifico linguaggio, difficile da decifrare e comprendere, se non per mezzo di una complicata modalità di identificazione/confusione con il paziente, narrata con efficacia in alcune pagine molto emozionanti di quest’opera.
In tal modo il corpo diventa portatore di messaggi, che via via possono assumere in un primo tempo rappresentazioni immaginarie e poi essere comunicati in forma verbale: teoricamente, ci si potrebbe domandare se si tratti della liberazione di una pena collocata nel corpo (tipo catarsi), oppure di un’elaborazione, come dicono gli autori, oppure ancora della costruzione ex novo, attraverso l’aiuto dello psicoterapeuta, di una capacità di manifestare con parole le proprie emozioni, capacità nuova che esprimerebbe la risoluzione di quel deficit emozionale del quale molti ricercatori parlano (come abbiamo affermato in precedenza).
La guarigione possibile
Il libro presenta – accanto al resoconto di sequenze di sedute, che, per la complessità del paziente trattato, necessitano dell’adozione anche di altre tecniche – riflessioni su quanto è accaduto in seduta, nonché interpretazioni teoriche ed i concetti base della tecnica con la «Procedura Immaginativa».
Così possiamo scorgere come i due autori considerino le varie catene immaginative del paziente e come l’intervento (spesso originato dal controtransfert) del terapeuta nel corso dell’associazione immaginativa produca uno “spostamento” ed una realizzabile riorganizzazione della personalità.
La cornice teorica scaturita dalle ricerche dell’Istituto Rocca-Stendoro e dagli studi effettuati include l’idea che la malattia abbia origine da una psychobiological disregulation avvenuta nel corso della simbiosi infantile madre-bambino e da un difetto nell’incorporazione e nell’uso dell’oggetto-sé anche come regolatore biologico. Da qui la particolare attenzione alla spazialità emozionale fra l’uno e l’altro, a quella zona cuscinetto che Mardi J. Horowitz definisce come spazio personale psicologico che ognuno plasma al fine di poter più o meno interagire con gli altri, frutto delle varie modalità usate per superare la simbiosi primaria.
Molteplici, pertanto, possono considerarsi gli stimoli ed i suggerimenti pratici e teorici che il lettore può trarre da questo libro di Rocca e Stendoro, al quale si possono accostare tutti coloro che, specialisti, psicologi o psichiatri, ma anche internisti e medici generici, hanno interesse per la cura dei sintomi psicosomatici e, infine, il semplice “curioso”.
Simone Vender
(direfarescrivere, anno II, n. 2, gennaio 2006)
Altri articoli sull’Istituto Rocca-Stendoro (per andare sul sito, clicca qui) e sulle sue attività sono comparsi su Scriptamanent n. 2 (clicca qui) e n. 11 (clicca qui).