Nella Calabria riarsa dal sole e dalle passioni, non è facile vincere i confini imposti da secoli di codici e di tradizioni. Nelle terre imbevute di bellezza ancestrale, in cui i paesaggi sembrano ancora partecipare delle vittorie e delle miserie umane, non è raro constatare come la storia di un singolo possa farsi paradigma di un intero popolo, modello splendido e temibile da custodire e allontanare insieme. In questi quadri abbacinati si muovono figure in bilico tra il passato e il futuro, cavalieri indomiti dai destini irrimediabili che segnano con le loro azioni la vita di intere comunità, cementando con esse legami indissolubili. La ’ndrangheta esplorata da Domenico Mercurio nel suo romanzo d’esordio, Il Contabile (Luigi Pellegrini editore, pp. 238, € 14,00), è una metastasi terribile ma umana. Una degenerazione implacabile alimentata da persone che scelgono di sacrificare ogni cosa al potere e di farsi strumento di trame oscure e insidiose. In questo abisso di illegalità e di cinismo, l’autore riesce con estrema bravura a fermare i tratti di una galleria umana che non viene mai giudicata. Il romanzo di Mercurio visita zone ammorbate senza mai sollevare anatemi. Con il garbo di un osservatore attento ma distaccato, lo scrittore riesce a fotografare e descrivere senza mai condannare, consegnando al lettore la responsabilità dell’eventuale giudizio.
Quando il potere si nutre della paura
A fare da scenario vi è il paese di Olmi, fazzoletto di terra calabra fatto di pietra e gesso e impreziosito dalla presenza degli ulivi. È da qui che si dipana l’epopea di una famiglia, quella dei Cirto, destinata a segnare la sorte di un’intera collettività. Il protagonista, Matteo, è un trentenne avviato alla carriera accademica; la sua vita sembra intraprendere un cammino parallelo a quello dei parenti rimasti a Olmi, ma un evento drammatico come la morte del padre riporta tutto verso il naturale e rovinoso binario. Il “deragliamento” imposto al giovane Matteo segnerà l’inizio di un’avventura faticosa e avvincente, disegnando i contorni di una storia umana raccontata al di là dei facili moralismi e dei vacui pregiudizi. Quando Matteo farà ritorno in Calabria per dividere con la famiglia il dolore per il recente lutto, sarà costretto a ritessere i rapporti troncati e immergersi in un mondo inedito, fatto di rispetto e di codici irrinunciabili. Un cambiamento traumatico e affascinante, destinato a inaugurare un conflitto interiore perenne e irresolubile. Nella lotta chiaroscurale che fa da sfondo alla nuova quotidianità di Matteo, sarà zio Leo a illustrare i meccanismi spietati che regolano le dinamiche relazionali del posto: «Lo sai perché la nostra famiglia è rispettata? – chiede il boss allo sprovveduto nipote – Per paura. Per questo la gente ci dimostra deferenza, quando non sfacciata adulazione. Ricordalo: è la paura la base del nostro potere. L’orgoglio passa sempre in seconda linea, perché il terrore ottura le orecchie».
L’eterno scontro tra il bene e il male
Nella ragnatela che si costruisce tutta intorno a lui, Matteo non fatica a trovare il suo nuovo posto, scoprendo dentro di sé il lato oscuro di un’ambizione vorace che lo spinge a curiosare e a inoltrasi in zone malferme della sua anima. È qui che il giovane professore universitario che cerca di conciliare gli impegni di Roma con i nuovi vincoli celebrati nella sua terra natia decide di rifugiarsi, per ricorrere a quella doppiezza capace di garantire la difficile convivenza. La faticosa coesistenza tra la parte sana del suo ego – quella sinceramente dedita al rapporto d’amore che lo lega alla fidanzata Perna – e quella ormai irrimediabilmente compromessa e vinta da appetiti rovinosi sembra azionare un gioco schizofrenico di bramosie e fobie, al quale il protagonista finisce per cedere arrendevolmente. «Matteo, da quando utilizzava la doppiezza come arma di sopravvivenza, era diventato tutto e il contrario di tutto. Egoista e generoso, indifferente e passionale. Inseguiva colori di arcobaleno e forti passioni, diventando sempre più cinico; banderuola al vento del tornaconto e del potere degli amici». Tutt’intorno un vorticare di eventi efferati e un susseguirsi di incontri destinati a segnare il confine sfumato e ingannevole tra il bene e il male. Tra la luce che può salvare e il buio che può rapire.
Nella lotta interiore che Matteo decide di combattere fino alle estreme conseguenze, egli appare vittima e carnefice insieme, autore di sventure e portatore di speranze. In questo dualismo drammatico, il protagonista visita i limiti della sua natura, decidendo di abbandonarsi alle forze inconciliabili che abitano la sua anima e molestano i suoi giorni. Fino alle scelte più pesanti, quelle destinate a segnare per sempre l’esistenza e a spalancare scenari ineluttabili. Perché il male è fatto dagli uomini e si nutre degli stessi tormenti degli uomini. Quella di Domenico Mercurio è la cronaca di un’esperienza intensa, visitata nella sua complessità emotiva e psicologica; non a caso l’autore evita di soffermarsi sulla caratterizzazione fisica del protagonista (e di tutti gli altri personaggi che popolano le pagine del suo romanzo), preferendo focalizzare ogni attenzione sull’indagine interiore che rivela la reale natura degli uomini. Con tratto generoso, invece, Mercurio pennella i quadri paesaggistici che fanno da sfondo alle storie dei protagonisti, rivelando nei suoi affreschi descrittivi l’amore incontenibile di chi ha dovuto allontanarsi dalla sua terra, senza però mai dimenticarne la generosa bellezza.
Maria Saporito
(direfarescrivere, anno VII, n. 70, ottobre 2011) |