Anno XX, n. 225
novembre 2024
 
La recensione libraria
L’Italia medievale di Cassiodoro:
scuola di filosofia e cristianesimo
all’interno del monastero vivariense
Un mirabile saggio storico sulla vita culturale
nell’era del regno gotico. Da Edizioni la rondine
di Guglielmo Colombero
Scrive il latinista Giovanni Polara nella sua Prefazione al saggio di Lorenzo Viscido Ricerche sulle fondazioni monastiche di Cassiodoro e sulle sue Institutiones (Edizioni la rondine, pp. 86, € 10,00) che l’ex senatore romano Cassiodoro, originario di Squillace, vissuto fra il 485 e il 580, e più volte eminenza grigia dei regnanti gotici in Italia (gli fu affidato, infatti, il timone del governo da Teodorico, Atalarico, Teodato, Vitige e dalla reggente Amalasunta), una volta presa la decisione di immergersi nella vita contemplativa, fondando proprio nella sua terra natia il monastero di Vivarium, decise di «scommettere sulla possibilità di fare ancora qualcosa di buono dopo tanti fallimenti dei grandiosi progetti che era stato capace di inventare nella sua vita di grande ma sfortunato politico. Non era riuscito a tenere insieme Goti e Romani a dispetto di quello che era lecito auspicare nei tempi buoni di Teodorico e di Eutarico, ma anche in quelli di Amalasunta e Atalarico; non era riuscito ad evitare la guerra goto-bizantina, con tutte le devastazioni che ne conseguirono; non era riuscito, dopo la presa di Ravenna, ad evitare che lo scontro si concludesse con la definitiva distruzione del popolo gotico e con la fine di ogni speranza di dar vita a un Regno d’Italia magari destinato ad un futuro paragonabile a quello della Spagna e della Francia».

Il senatore romano che depose la toga per indossare il saio
Laureato in Lettere classiche presso l’Università degli studi di Salerno, Lorenzo Viscido è stato per alcuni anni ricercatore nel Dipartimento di Scienze dell’antichità di quel medesimo ateneo e nel Dipartimento di Filologia classica dell’Università degli studi della Calabria. Dal 1981 vive e insegna a New York. Viscido nutre una grande passione per la poesia in lingua latina (nella quale ha primeggiato in svariati certami vaticani e catulliani) e per la filologia, collaborando con numerose e prestigiose riviste. Ha dedicato i suoi studi anche a Clemente Alessandrino, a Paolo Diacono e all’iconografia bizantina. Ha inoltre pubblicato diverse monografie sulla figura di Cassiodoro, come Cassiodoro senatore: lettere scelte (Frama Sud, 1981), Rispetto per le romanità nelle Variae di Cassiodoro (Rubbettino, 1984), Segni critici nelle opere cassiodoree (Istituto di letteratura cristiana antica, 1984), Studi sulle Variae di Cassiodoro (Calabria letteraria, 1987), Cassiodoro, uomo politico e maestro di Sacra Scrittura (Il Corriere Calabrese, s.d.), nonché opere più generiche, come Scritti sulla Calabria medievale (Sudgrafica, 2002).
L’epoca che fa da sfondo alla vita e al pensiero di Cassiodoro è tormentata e luttuosa. Corre l’Anno Domini 540, l’armata bizantina al comando di Belisario sta per espugnare Ravenna, capitale del re ostrogoto Vitige. In tutta Italia imperversano fame, epidemie e sterminio. La megalomania di Giustiniano, l’autocrate di Costantinopoli smanioso di riportare l’Occidente sotto il suo scettro, ha trasformato la penisola in un campo di battaglia, in un sanguinoso teatro di stupri, incendi e saccheggi. È molto probabile che Cassiodoro, bollato come “collaborazionista” dei Goti, sia stato condotto in catene a Costantinopoli. Già da tempo meditava di abbandonare la politica: in una sua opera di due anni prima, De anima, affermava che «servire il Signore è cosa più nobile che conquistare i regni del mondo».
Dopo quasi tre lustri di esilio, attorno al 554, all’età non più verde di una settantina d’anni, Cassiodoro torna in terra di Calabria e fonda a Squillace il monastero di Vivarium, «il cui sito, in base alla sua dettagliata descrizione, corrisponde a quello odierno compreso fra il litorale roccioso di Copanello e gli orti irrigati del vicino fiume Pellena». Egli stesso nelle Variae descriveva Vivarium come «sede dei sapienti in quanto, adorna di aria pura, aveva predisposto i lucidissimi sensi alla parte speculativa». Il nome deriva dalla presenza, nei dintorni del monastero, di alcuni vivai ricchi di pesci. Riallacciandosi al patrimonio della filosofia greca, Cassiodoro rivaluta il concetto di crasis, l’equilibrio tra i fluidi corporei teorizzato dalla medicina di Ippocrate: Squillace è una città inondata di lux perspicua, la trasparenza interiore che favorisce la meditazione, che libera l’uomo dal giogo dei sensi. Una nuova Atene, un vivaio pullulante di fermenti culturali, un’incubatrice di pensieri. Afferma Viscido che Cassiodoro privilegia «la conoscenza dettagliata della Sacra Scrittura, che andava letta su un testo criticamente corretto, commentata sulla scia della tradizione patristica e penetrata con l’aiuto della scienza profana». Il fattore di novità riscontrabile nelle Institutiones di Cassiodoro – vera e propria enciclopedia delle sette arti liberali, e cioè grammatica, retorica, dialettica, aritmetica, musica, geometria e astronomia – consiste nella sua convinzione che per gli studi biblici fosse fondamentale «l’ausilio delle artes saeculares. Queste erano per lui essenziali all’esegesi in quanto solo attraverso la loro conoscenza si poteva giungere al nucleo principale della Sacra Scrittura.

La scuola vivariense, oasi del sapere in mezzo a tumulti e tragedie
Dopo la morte del suo fondatore, avvenuta attorno al 580, uno dei tanti buchi neri della storia medievale inghiotte la scuola di Vivarium. Dodici anni prima, infatti, la marea dei Longobardi aveva travolto gli argini, dilagando in Italia e travolgendo l’effimero sogno di restaurazione giustinianea (il tiranno di Costantinopoli era morto nel 565: cancellando la barriera frapposta dal popolo guerriero dei Goti, aveva spalancato le porte agli invasori Longobardi). Pare che i monaci, minacciati dall’orda barbarica, si fossero rifugiati sulle alture di Montecastello: la loro preziosa biblioteca, purtroppo, andò dispersa, a causa dell’impossibilità materiale di trovare una asilo sicuro per i codici miniati. A tale proposito esiste una testimonianza preziosa, quella di Gregorio Magno, che nell’estate del 598 indirizzò due lettere a un monasterium Castelliense nei cui paraggi era sorta una piazzaforte, detta Scillacinum castrum.
Ma in cosa consisteva veramente l’attività culturale del Vivarium? Secondo Viscido, l’enciclopedia cassiodorea insita nelle Institutiones «fu considerata una banca di dati, alla quale facilmente si attinse per la conoscenza del sapere antico». Prova ne è che l’illustre storico Paolo Diacono, vissuto oltre due secoli dopo Cassiodoro, «utilizzò il prontuario di Cassiodoro per ricavarne degli escerti ad uso didattico, un’antologia, insomma». E che, inoltre, l’abate di Montecassino «seguì anche la movenza cassiodorea nell’attuare il suo programma di studi». Paolo Diacono nutriva un’ammirazione profonda per Cassiodoro, scrivendo che l’erudito di Squillace «tam saeculari quam divina scientia claruit»: in altre parole, lo definiva come un esempio luminoso di divulgazione del sapere, capace di gettare un ponte tra il pensiero laico e la dottrina religiosa. In definitiva, l’opera monumentale di Cassiodoro accompagna l’ultima fase di sviluppo storico della classicità e la innesta sul ceppo del cristianesimo, realizzando una visione sincretica da cui prenderà forma il substrato culturale dell’Europa moderna.

Alla ricerca delle profonde radici cristiane dell’Occidente
Ricercatore straordinariamente appassionato della Calabria medievale, Viscido sostiene che, nel pensiero cassiodoreo, la cultura profana è ritenuta «piattaforma indispensabile […] alla comprensione del testo scritturale», e sulla base di tale presupposto afferma che «il programma di studi di Cassiodoro, qual concepito nelle Insitutiones, il bagaglio di cultura sacra e pagana in esse contenuto e la metodicità con cui vennero da lui trattati elementi delle varie discipline del II libro, sufficienti a fornire una basilare istruzione enciclopedica, fecero dell’opera cassiodorea un testo che costituì, per usare termini del Polara, “una delle letture indispensabili per gli uomini di cultura del medioevo”». Puntualizza, infatti, l’autore che Rabano Mauro, l’abate benedettino di Fulda, vissuto due secoli dopo Cassiodoro, che mise insieme tra quelle mura una delle più ricche biblioteche d’Europa, attinse dal libro I delle Institutiones la concezione della scienza profana come «fondamento per lo studio della Sacra Scrittura». E che inoltre, attorno all’anno mille, il vescovo magiaro Gerardo di Czanad, (intransigente paladino del dogmatismo teologico contro la dialettica razionalista di matrice latina) si riferiva esplicitamente al capitolo XVI dell’opera di Cassiodoro in una sua Deliberatio mentre al capitolo XVII, nel secolo successivo, si ricollegava Radulfo di Diceto, il cronista londinese che indagò sulle complicate motivazioni politiche che avevano condotto all’assassinio dell’arcivescovo di Canterbury Thomas Becket.
Nella visione laica e pluralista di Cassiodoro, nel suo sforzo costante di amalgamare l’eredità classica e il pensiero cristiano in una nuova linfa vitale per la cultura, si intravede già l’embrione delle prime università italiane, che sorgeranno qualche secolo dopo nel contesto dell’Italia dei liberi Comuni.

Guglielmo Colombero

(direfarescrivere, anno VII, n. 68, agosto 2011)
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