Anno XX, n. 225
novembre 2024
 
La recensione libraria
Se l’orologio biologico va all’indietro:
una storia e una critica alla società
incapace di accettare chi è “diverso”
Benjamin Button: il breve racconto originale
che ha ispirato il recente film. Edito da Donzelli
di Lidia Passarelli
«Avvolto in una voluminosa coperta bianca, e in parte ficcato in una culla, stava seduto un vecchio dall’apparenza sui settant’anni. I radi capelli erano quasi bianchi, e dal mento stillava una lunga barba grigio fumo».
Prende inizio così il breve racconto di vita al contrario dal titolo Il curioso caso di Benjamin Button, scritto negli anni Venti da Francis Scott Fitzgerald, autore di numerosi romanzi, tra cui Tenera è la notte e Belli e dannati. Rileggiamo il racconto nell’edizione targata Donzelli (pp. 59, € 11,50) in un’inedita veste. Grazie infatti alle illustrazioni del noto pittore statunitense Calef Brown, che accompagna l’intera storia con i suoi disegni pregni di raffinatezza nel tratto e nel colore, e grazie all’impeccabile traduzione di Bianca Lazzaro, il libro risulta essere particolarmente piacevole e accattivante.
Lo stesso Fitzgerald lo considerava uno dei suoi racconti più divertenti. Lo spunto per questa storia gli fu dato da una considerazione di Mark Twain; quest’ultimo riteneva che la parte migliore della vita fosse all’inizio e la peggiore si concentrasse alla fine.
Partendo da tale affermazione l’autore riuscì così a “mettere in scena” questa parabola sulla vita che giunge in modo diretto al lettore. Un racconto breve e brillante, capace di trasportarci nella realtà senza tempo del protagonista, recentemente riadattato per il grande schermo da David Fincher (vincitore di tre Premi Oscar), con protagonista un convincente Brad Pitt (Il curioso caso di Benjamin Button, 2008).

Una storia al contrario
Ambientata nella Baltimora del 1860, in pochissime pagine (poco più di cinquanta), l’autore riesce a descrivere con semplicità e fluidità il “percorso inverso” di Benjamin Button, che per uno strano caso del destino nasce “vecchio”.
Intrappolato nella sua insensata senilità, derelitto e incapace di capire dove sia il suo posto nell’ordine delle cose, Benjamin cresce sotto lo sguardo critico della borghesia di Baltimora e di suo padre che fatica ad accettarlo.
Se pur a ritroso, gli anni continuano a passare per il senescente bambino che, incapace di fermare il tempo, si ritrova ben presto uomo dall’aspetto “maturo”. Sono proprio “questi anni di mezzo” a regalare un po’ di serenità a Benjamin, che nel tratto centrale del percorso della sua vita riesce ad andare a tempo con la realtà circostante. Felicità che per il protagonista è, purtroppo, solo un’effimera illusione, la parentesi di una vita che lo rende protagonista e spettatore del tempo.
Gli anni continuano a scivolargli addosso trasportandolo in una realtà ben lontana da quella che hanno attraversato i suoi, ormai vecchi, coetanei; una realtà che pian piano sbiadisce i ricordi di quel percorso vissuto al contrario, una realtà che documenta la sua curiosa “de-crescita”, ma soprattutto una realtà che, impotente dinanzi al suo percorso inverso, lo abbandona, infine, tra le braccia di una donna che si prende cura di lui, fino a quando tutto non diventa altro che solo e semplice buio e le fatiche di quella vita sono un ricordo ormai lontano, senza più sogni… finalmente senza memoria.
«Poi, fu tutto buio... la culla bianca e le facce scure che si spostavano sopra di lui, e il profumo caldo e dolce del latte, svanirono tutt’a un tratto dalla sua mente».
L’innovativo Fitzgerald, rovesciando magistralmente le tappe naturali dell’uomo, riesce a donarci il “gusto del tempo”; il lettore emotivamente identificato con la “curiosa” realtà del fanciullo senescente si ritrova a dover fare i conti con la propria vita e la propria coscienza, ormai scandita dai ritmi di una società, vittima distratta dell’attimo. Il curioso caso di Benjamin Button, infatti, mira a rendere evidente la bellezza di ogni tappa del nostro “percorso”, una sorta di carpe diem omesso si fa strada tra le attente e dolci parole dell’autore arrivando in modo diretto all’inconsapevole lettore. Un vortice di emozioni contrastanti avvolge l’intera narrazione che prende forma pagina dopo pagina.
Una lettura certamente accattivante e stravagante, capace di coinvolgere e sconvolgere chi si appresta a farla propria. È una parabola di cui non ci si può privare, è un sogno vissuto al contrario, in cui il frastuono del reale si affievolisce fino a scomparire, è un attimo che vede il concretizzarsi dell’astratto. Inoltre, realtà e finzione si fondono perfettamente dando vita a questa fiaba senza tempo.

Una storia anche per oggi
A un secolo di distanza, l’irreale condizione del protagonista risulta incastrarsi perfettamente nel nostro multiforme puzzle sociale; Benjamin si fa inconsapevolmente portavoce dell’odierno “disagio del diverso”, mettendo in evidenza la superficialità di noi uomini e la mancata corrispondenza che sussiste tra l’immagine e l’essenza. Il curioso caso di Benjamin Button è un racconto capace di cambiare nel suo piccolo il microcosmo del lettore, nella sua semplicità arriva al cuore di chi lo legge.
Non si può invece dire la stessa cosa per il multipremiato film che ne è derivato. Come succede sempre in questi casi, chi guarda il film dopo aver letto il libro rimane stupito da alcune differenze, prima tra tutte la durata. La brevità del libro si scontra a pieno con l’eccessiva lunghezza del film (166 minuti) in cui le tematiche e i momenti non sono particolarmente approfonditi e in cui sono presenti salti temporali che distraggono e confondono. Vi è inoltre un eccessivo sviluppo della trama, arricchita a volte di parti superflue. Il film è costruito per essere una fiaba romantica e colpire un pubblico dall’animo sensibile; in un pubblico più esigente invece potrebbe aver lasciato la sensazione di una storia per alcuni versi già “vista e rivista” al cinema.

Lidia Passarelli

(direfarescrivere, anno VI, n. 60, dicembre, 2010)
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