Anno XX, n. 225
novembre 2024
 
La recensione libraria
Il disappunto di un ex sessantottino
che cerca di rigenerare la sua Napoli:
delusione tra fuoco e immaginazione
Pironti pubblica un romanzo sul disinganno
e le “bruttezze” di una città sporca e violenta
di Aurora Cusato
La Napoli dei nostri giorni, quella dei rifiuti e dei motorini sui marciapiedi, degli extracomunitari e degli scippi, della disoccupazione e della pavimentazione sconnessa, fa da cupo sfondo al romanzo di Attilio Belli Fuoco ai Quartieri spagnoli, edito da Pironti (pp. 174, € 12,00).
L’autore, nato a Roma, è professore ordinario di Urbanistica presso la Facoltà di Architettura dell’Università “Federico II” di Napoli.
Giacomo Molino, detto Comò, ex militante dei Nuclei armati proletari degli anni Settanta, dopo venticinque anni di esilio a Parigi, fa ritorno nella “sua” Napoli, che poi tanto “sua” non è più. Ormai sessantenne, egli può rivolgere uno sguardo disincantato alla città per la quale ha tanto lottato in gioventù, osservarne la “bruttezza” e iniziare a maturare il desiderio di salvarla, attraverso un estremo sacrificio. Dai libri, compagni fedeli di tutta la vita, ha imparato la lezione del “fuoco purificatore”, unico strumento in grado di innescare la rinascita della città. Inizia dunque la battaglia di Comò con se stesso e con la società di cui fa parte, nel desiderio esasperato di un connubio tra parole, immagini e azione, tra letteratura e politica. Ma tale confine è difficile da oltrepassare e Comò, difatti, non ci riuscirà mai, perdendosi tra mille indecisioni, prima di giungere al gesto estremo che suggellerà la sua vita.

La rêverie e il fuoco
Dopo la parentesi parigina, colui che un tempo era un fervente attivista si è ormai convertito in un premuroso badante al servizio di un anziano marchese semiparalizzato. Frantumati gli ideali giovanili e sempre più disgustato dalla realtà che lo circonda, Comò decide di “farsi prendere” dalle uniche cose che ha deciso di tenere in vita: la rêverie e il fuoco. Sulla scia di tale volontà, si prefigge tre grandi obiettivi: la biblioteca-isola; la stesura di un libro che narri della forza rigeneratrice del fuoco e il progetto dell’evento sacrificale, l’incendio simbolico di un monumento, emblema della storia di Napoli, dalle cui ceneri la città possa trarre nuova vita. Giacomo fa della rêverie, la fantasticheria, la sua filosofia: figlia della lettura è l’immaginazione, intimamente legata a ciò che è primitivo, alla verità, più di qualunque sapere scientifico. Solo da lì può scaturire un’azione rigeneratrice attraverso il sacrificio. Per tale ragione, Comò si circonda di libri, fino a creare nel suo bilocale una vera e propria biblioteca-isola, un ambiente definito esclusivamente da opere letterarie, spazio intimo e accogliente, isolato dal mondo, in cui trovare rifugio e sollievo.
Allo stesso tempo, Comò dà sfogo alla sua ossessione più grande: il fuoco. Legge avidamente quella che definisce «la letteratura del fuoco» e si perde in congetture senza fine sulla possibilità di far tesoro della Storia e riprodurre uno di quei grandi incendi purificatori nella città di Napoli, così come era stato per la Roma di Nerone, per Dresda nella Seconda guerra mondiale, o New York con le sue Twin Towers. Ma quelle fantasticherie si rivelano per Comò, più che altro, un ulteriore freno all’azione: chiuso nella sua fortezza di sogni e libri, straniero nei riguardi di un mondo ormai privo di significato, incapace di agire e prendere qualunque decisione, sceglie di abbandonarsi egli stesso al fuoco, quel fuoco rigeneratore tanto agognato, nella speranza che possa rinnovare se stesso e la sua Napoli.
Ad accompagnarlo nel suo processo di maturazione spirituale e psicologica ci sono l’ambiziosa e spregiudicata Sara, sociologa disposta a tutto per una vita autentica; l’amico Giorgio, poeta impegnato nel sociale; Abbas, espressione dell’ideale islamico e di quel terrorismo indiscriminato che Comò tanto ripudia; ’O Capitano, portavoce della criminalità organizzata napoletana; Gildo, ricco costruttore a caccia dei propri interessi; e infine, il marchese Cannavacciuolo, simbolo della città un tempo nobile e attualmente derelitta, di cui Giacomo inizia a prendersi cura, come badante e come intellettuale-attivista.

Il concetto di “violenza giusta”
Attraverso gli occhi dell’autore, rivediamo piazza Plebiscito, bella ma poco funzionale a detta di Comò, indignato per la pratica diffusa del “parcheggio abusivo” sui marciapiedi; il raffinato caffè Gambrinus e l’affollata via Toledo; le stradine dei Quartieri ormai dimora degli immigrati; la Facoltà di Architettura; e poi Scampia, realtà sottratta all’influenza dello Stato e luogo privilegiato dalla camorra napoletana. Una Napoli “sgradevole” alle cui problematiche l’autore non manca di proporre, per bocca dei personaggi, concrete soluzioni; una Napoli «non più milionaria», filtrata attraverso uno sguardo malinconico, tra compassione e risentimento, attaccamento e repulsione.
Ma l’occhio critico non si limita alla sola città campana: si estende all’intero panorama mondiale, focalizzandosi su alcuni degli ultimi tragici accadimenti, primo fra tutti l’attacco alle Torri Gemelle. Da qui la riflessione dell’autore sul terrorismo di oggi, manifestazione estrema della «violenza come mentalità diffusa», insensata, contrapposta a quella che Comò invoca come «violenza giusta», razionale e per questo salvifica. Solo quest’ultima è utile e, anzi, necessaria.
Comò aspira a un atto di violenza simbolica, senza spargimento di sangue, ben lontana da quella indiscriminata e senza frutti che dilaga nel mondo. Perché, se la violenza si diffonde, viene dispersa, bloccata, e non arriva a scardinare minimamente i rapporti di potere; al contrario, solo concentrando le forze, con uno scopo nobile, si può rompere la rete di potere che tutti ci avvolge e generare un futuro diverso, migliore.

Aurora Cusato

(direfarescrivere, anno VI, n. 56, agosto 2010)
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